Un museo per il ferro dei Borbone

A Mongiana, in provincia di Vibo Valentia, il racconto del polo siderurgico del Regno delle due Sicilie. Ai cui manufatti dobbiamo, tra gli altri primati, la linea ferroviaria Napoli-Portici, la prima del nostro Paese. Una realtà industriale cancellata dall'Unità d'Italia.

Per scoprire un pezzo inedito di storia della Calabria la meta ideale è il nuovo Museo delle reali ferriere borboniche, inaugurato il 22 ottobre a Mongiana in provincia di Vibo Valentia nell’edificio, appositamente restaurato, che un tempo ospitava la Fabbrica d’armi del Regno delle due Sicilie, eretto nel 1852 su progetto dell’ingegnere e architetto Domenico Fortunato Savino. L’esposizione, articolata in sei sale, racconta del periodo in cui le risorse del territorio, ricco di ferro, carbone e acqua per gli opifici, furono valorizzate e trasformate industrialmente divenendo un polo siderurgico ante litteram di tutto rispetto che coinvolse un’ampia area delle Serre, con le miniere di ferro di Pazzano, i boschi per la produzione di carbone per le fornaci e i fiumi come fornitori di forza motrice per i macchinari.

In realtà già in epoca normanna le miniere di ferro della Calabria erano conosciute,
apprezzate e abbondantemente sfruttate e, verso la metà del XVII secolo, ecco nascere a Stilo la prima vera ferriera calabrese. Ma la nostra storia inizia nel 1771, anno in cui apre i battenti la fonderia di Mongiana, dimostrandosi subito strategica per il giovane Regno delle due Sicilie che vi stabilisce una fabbrica d’armi alle dipendenze del ministero della Guerra. È però in epoca borbonica che la fonderia si sviluppa gradatamente fino a raggiungere la dignità di una vera e propria cittadella del ferro con le case degli operai, del comandante, del capitano, la caserma per la truppa e la chiesa. E raggiunge una produzione annua di 1.150 tonnellate di ferro lavorato: oltre alle armi, oggetti d’uso quotidiano e materiale ferroviario. Non è un caso che sia proprio la Napoli-Portici la prima linea costruita in Italia, inaugurata nel 1839. Nel 1833 a Mongiana è affiancata una succursale, la fonderia Ferdinandea, che dispone di edifici per la produzione, alloggi per operai e soldati, e di un Casino reale con oltre duemila ettari di bosco da cui si ricava il carbone.

 

Il ferro, prodotto dal minerale estratto nelle vicine miniere di Pazzano, è trasportato con carri a Pizzo Calabro e da qui spedito a Napoli dove è lavorato nuovamente e trasformato in prodotti di uso civile e militare presso i cantieri navali di Castellammare, la fabbrica dei fucili di Torre Annunziata o quella dei treni di Pietrarsa. Il minerale calabrese è utilizzato pure per la costruzione dei primi ponti metallici sospesi sui fiumi Calore e Garigliano. Intorno al 1840 sono attivi tre altiforni e, dopo il 1850, con l’introduzione della macchina a vapore, la produzione viene estesa a tutto l’anno. Dunque, una perfetta organizzazione industriale che ci fornisce l’immagine di un Sud efficiente, produttivo e laborioso.

Ma dopo l’Unità d’Italia lo scenario cambia e per le ferriere calabresi inizia un inesorabile declino nonostante i buoni risultati raggiunti. Fra le cause, l’arretratezza degli impianti non adatti all’impiego del carbon fossile e, soprattutto, la volontà politica del governo unitario che interviene con aggravi fiscali, riduzione delle commesse statali e soppressione dei dazi protezionisti sulle importazioni dall’estero. Il complesso siderurgico sospende la sua produzione nel 1864 e, dieci anni dopo, una volta messo all’asta dall’Intendenza di Catanzaro, è acquistato con un’offerta di circa un milione di lire dal senatore Achille Fazzari. È un ex sarto, poi garibaldino, che dopo qualche anno rivende la nuova proprietà a privati tenendo per sé la Ferdinandea e i duemila ettari di bosco annessi. Da qui comincia la diaspora di macchinari e uomini: i primi sono reimpiegati nel nuovo stabilimento siderurgico fondato a Terni nel 1884; i secondi scelgono la via dell’emigrazione: a Terni, nel Norditalia, negli Stati Uniti, in Canada.

Scomparse dalla storiografia postunitaria, Mongiana e le sue attività siderurgiche riaffiorano di recente anche grazie alle ricerche di Brunello De Stefano Manno e Gennaro Matacena, che ha coordinato il progetto di restauro e di allestimento del nuovo museo delle ferriere. Ed ecco l’antica fonderia tornare in vita per continuare il racconto anche attraverso documenti storici, oggetti, armi prodotti nel villaggio operaio e dispersi, soprattutto nel Norditalia, di cui l’esposizione favorirà di certo la raccolta. Una storia che non appartiene solo alla Calabria, ma all’Italia tutta.