di Alessandra Gesuelli
La tomba a camera dell’Aryballos scoperta pochi mesi fa dagli archeologi dell’università di Torino fornisce nuovi dati e ulteriori conferme sui riti funerari etruschi che risalgono alla tradizione greca raccontata da Omero nell’Iliade.
«Appena rimossa la lastra di copertura alta due metri sapevamo di essere di fronte a un evento unico: una tomba a camera intatta, rimasta come l’avevano lasciata 2.600 anni fa nel momento della sepoltura». Sta in queste parole di Alessandro Mandolesi, alla guida della équipe di archeologi che ha lavorato sul sito, l’importanza della scoperta fatta a Tarquinia, in località Doganaccia, nel settembre 2013. Erano almeno trent’anni che non si faceva nella zona un ritrovamento così importante. Gli scavi sono iniziati nel 2008, diretti da Alfonsina Russo, soprintendente per i Beni archeologici dell’Etruria meridionale e, appunto, da Mandolesi, docente di Etruscologia e Antichità italiche dell’università degli studi di Torino. La tomba dell’Aryballos sospeso è ai piedi del grande tumulo della Regina. Appena aperta, gli archeologi hanno trovato un servizio di simposio e resti di libagione, a testimoniare la festa prima della chiusura. Tra gli oggetti anche una curiosa grattugia, che richiama la tradizione omerica di miscelare formaggio al vino, in voga tra gli Etruschi di alto rango. La tomba, con piccola camera a volta a botte, è certamente di una ricca famiglia.
La costruzione risale a un periodo di splendore per Tarquinia, agli inizi del VI secolo a.C.. Siamo all’epoca di Demarato di Corinto, un ricco commerciante greco trasferitosi nella città e, secondo la tradizione, padre di Tarquinio Prisco, quinto re di Roma. In fondo alla camera c’è ancora, appeso a un chiodo, un unguentario dipinto o Aryballos, di produzione greco-corinzia, da cui il nome della tomba.
All’interno sono state trovate due banchine funerarie: su di una giaceva uno scheletro, aveva accanto una punta di lancia in ferro. All’inizio questo ritrovamento ha fatto pensare a un uomo. Si tratta in realtà di una donna, tra i 35 e i 40 anni. Lo dicono i resti di stoffa del vestito, le fibule e una splendida pisside in bronzo finemente decorata. Questo cofanetto è ora al Museo etrusco di Villa Giulia a Roma e dalla radiografia ha svelato la presenza di oggetti da ricamo, come aghi e un rocchetto, attributi femminili. Sull’altra banchina c’erano un vaso corinzio e i resti di un uomo incinerato. La freccia accanto al corpo della donna indicherebbe la nobiltà e il legame parentale con l’uomo. La deposizione di lui si rifà a un funerale con rito eroico, proprio come descritto da Omero nell’Iliade per Patroclo ed Ettore.