Il viaggiatore. La fattoria cubana di Hemingway

A San Francisco de Paula, piccolo centro vicino all’Avana, lo scrittore americano acquistò una villa in stile coloniale. Che oggi ospita il museo a lui dedicato

«Uno vive su quest’isola – scrisse Ernest Hemingway a Cuba – perché per andare in città non devi fare altro che metterti le scarpe, perché basta mettere un giornale sul telefono per non sentirlo quando suona, e perché nella frescura del mattino si lavora meglio e con maggiore comodità che in qualsiasi altro posto». Era stata la terza moglie, Martha, a comprare la Finca Vigia (Fattoria della Guardia), una villa in stile coloniale spagnolo e la relativa tenuta di cinque ettari nel paesino di San Francisco de Paula, a pochi chilometri dall’Avana. Dalla collina della Finca Vigia, dove oggi c’è il museo Hemingway, si possono ancora vedere il mare e la città, ma lo spazio circostante è stato violato da innumerevoli costruzioni.

All’inizio Ernest aveva trovato la villa troppo malconcia, ma quando la moglie l’aveva restaurata, se n’era subito innamorato. Peccato che intanto a Martha stesse succedendo una graziosa biondina, Mary, da lui chiamata ironicamente miss Mary e destinata a diventare la quarta (e ultima) consorte.
In quel posto in cima a una collina, anche nelle giornate più calde c’era sempre un soffio di vento. Le stanze, arredate semplicemente, hanno le pareti bianche su cui spicca il marrone caldo dei mobili di legno. Semplici tavole e sedie che non pretendono di andare al di là del loro compito utilitario. L’unico lusso sono i trofei di caccia. Su un tavolo la testa impagliata di una belva ruggisce silenziosamente. Un bufalo minaccioso aggetta sulla scrivania. Le corna dei cervi sorvegliano la sala da pranzo.
Il benessere della coppia era affidato a nove camerieri, 52 gatti, 16 cani, tre mucche e quasi 200 piccioni. Affezionatissimo ai felini, Ernest aveva picchiato a morte il cane del vicino che gliene aveva sbranato uno.

La Finca Vigia è la casa servizievole di un autore di successo che non ha nulla da dimostrare. Librerie basse di legno dipinto di bianco fiancheggiano le calzature e le bottiglie del cacciatore più famoso del mondo. Lì Hemingway poteva isolarsi a scrivere, immergersi nei piaceri della pesca d’altura o in quelli della mondanità all’Avana. Se scendeva in città, girava con il viso abbronzato dal sole e dalle sbornie in un logoro costume da bagno e una camicia a maniche corte.
In quel calmo isolamento riusciva a scrivere molto. Finì Per chi suona la campana, scrisse Avere o non avere e alcuni dei suoi libri più belli, da Il vecchio e il mare a Festa mobile, in cui ripresero vita i ricordi della giovinezza a Parigi.
Quando finiva di lavorare, spesso saliva sul suo peschereccio, la Pilar, per andare al largo: gli piaceva l’aria del mare aperto. In alternativa si svagava con il tiro al piccione, i combattimenti tra galli, le partite di pelota. Ma soprattutto, beveva. Fu lui a far conoscere o forse – come alcuni sostengono – a inventare cocktail a base di rum come il mojito e il daiquiri. Per non parlare del Rago Hemingway, con rum, pompelmo e lime, e del Papa Doble, così chiamato in onore di quello straniero che, pur essendo cinquantenne, sembrava già anziano per la lunga barba bianca disordinata. Quando era troppo ubriaco per riuscire a guidare dall’Avana fino a casa si fermava in un albergo, l’Ambos Mundos, dove aveva una camera riservata che a volte usava per scrivere.

Romanticamente attratto dalla figura del rivoluzionario Fidel Castro, aveva avuto ottimi rapporti anche col suo predecessore, il dittatore Batista, e si teneva lontano dalla politica.
A Finca Vigia, nel 1954, Hemingway venne a sapere di avere ottenuto il premio Nobel per la Letteratura. Ogni tipo di celebrità veniva a trovarlo, da Ava Gardner a Marlene Dietrich. Le zuppe a base di tartaruga e baccalà di miss Mary erano molto apprezzate. Gli ospiti restavano stupiti dall’abbondanza di vini, liquori e champagne. Non mancava neppure l’assenzio con cui lo scrittore inaugurava le sue bevute quotidiane. Quando se ne andò, nel 1961, lasciò sul grammofono acceso un disco di Glenn Miller.

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