di Gianluca Biscalchin | Fotografie di: Elisia Menduni
Cosa ci fa uno chef pluridecorato fra la Maiella e il Gran Sasso? Esalta i prodotti della sua terra nel ristorante, nel resort, nella scuola di cucina, nell’orto e nella vigna. Ma non chiedetegli di trasferirsi in una grande città...
Due anni fa, per raggiungere Milano ha usato il cavallo. Lo chef Niko Romito, tre stelle Michelin, non aveva alternativa: il suo ristorante di Castel di Sangro (Aq) era sepolto sotto metri di neve. Solo, in mezzo alla tempesta bianca, con pentole e padelle, ha affrontato le intemperie per raggiungere il congresso di cucina d’autore Identità golose. E tenere la sua lezione.
L’episodio spiega bene l’uomo. Nonostante i suoi studi d’economia a Roma e una rapida ascesa nel gotha della gastronomia, una, due e ora tre stelle Michelin a consacrarlo in pochi anni, Romito ha scelto di rimanere in questo angolo di paradiso, tra la Maiella e il Parco nazionale d’Abruzzo.
All’inizio, nel piccolo ristorante che aveva a Rivisondoli (Aq) era partito dai piatti classici abruzzesi: «Avevo le tovagliette a scacchi bianchi e rossi» ricorda. «Servivamo la grigliata, le bruschette di ricotta, pomodoro o ventricina. Poi abbiamo pensato di presentare il pecorino con miele e castagne, e tutti a riempirmi di complimenti». Il turismo in zona è costituito soprattutto da napoletani che vengono d’inverno per sciare: un turismo molto tradizionale. E la cucina di Romito era pensata per soddisfare quel pubblico. Per questo lo chef è rimasto sempre legato ai sapori di montagna. Poi ha cercato una sua strada: «Fino al 2008 nei miei piatti c’era molto Abruzzo. Oggi è diverso. I piatti partono dalla mia terra per arrivare altrove. Il mio agnello affumicato nasce qui ma è ripensato in maniera moderna. È la mia idea di come cucinare un agnello».
Oggi l’ ex convento del Seicento poco fuori da Castel di Sangro, dopo un faticoso ma felice restauro, è diventato un luogo di pace e d’eleganza, di ristoro e di piacere gastronomico. Il complesso comprende ristorante, resort, scuola di cucina, una vigna sperimentale e un orto con antiche varietà di frutta quasi scomparse. Con la montagna alle spalle e la valle del Sangro davanti. E la natura regna sovrana: «L’anno scorso è venuto a visitarci un lupo, ho dovuto chiamare la forestale. E un orso si è mangiato il miele dalle arnie». In questo territorio selvatico e splendente Romito ha costruito una delle cucine più originali d’Europa. Anche grazie alle meraviglie alimentari che la zona regala. Da Castel di Sangro si raggiungono facilmente Scanno per i formaggi, Sulmona per i celeberrimi confetti e lo strepitoso aglio rosso, Paganica per i salumi, Navelli per i ceci e Santo Stefano di Sessanio per le lenticchie. Su tutto regna quella meraviglia che risponde al nome di zafferano dell’Aquila dop.
«A me piace anche giocare su ingredienti che tutti conosciamo: cipolla, carota, mandorla, melanzana», confessa Romito. È così che crea le emozioni più forti, partendo dai sapori conosciuti per arrivare a nuove sorprese del palato. «Nel mio gel di vitello c’è tanto Abruzzo. La mandorla, il tartufo nero, il rosmarino. C’è dentro la mia montagna con i suoi sapori».
L'Abruzzo è una terra difficile: «Questo territorio è un tesoro, ma può rappresentare un ostacolo. Fare alta ristorazione in un’area economicamente depressa è complicato». Nonostante questi limiti (e forse proprio grazie a questi) sono nati i piatti apparentemente semplici di Romito: «La crisi è servita a sviluppare la mia idea di cucina. Avevo a disposizione solo cipolla e pecorino, ma volevo creare lo stesso un’emozione. Sono diventato famoso per il lavoro sul quinto quarto (interiora come lingua, animella, trippa, nda), ma sono partito da lì perché le materie prime sono a costo basso».
Sempre con una grande cura del cliente, coccolato in sala dalla sorella Cristiana e seguito da uno staff giovane e gentile, Niko Romito ha creato una cucina accogliente e avventurosa al tempo stesso. Che si può riassumere in un carciofo. Un semplice carciofo. Glassato con un’estrazione di carciofo (ovvero un concentrato dell’ortaggio). Nient’altro. Ma il piatto sprigiona sapori che vanno dalla menta all’acciuga alla liquerizia. Per crearlo ha usato una macchina per l’estrazione dei sapori che riassume la sua filosofia di cucina: «È uno strumento tecnico, ma è soprattutto l’estensione di un’idea: estrarre il cuore e l’anima di un ingrediente». Ed è proprio l’anima a essere nutrita prima di tutto a Reale.