di Marco Merola | Fotografie di: Marco Ansaloni
In giro per l’Anatolia con il libro di San Giovanni evangelista come guida. Tra Efeso, Smirne, Pergamo, Sardi... le sette città (e le sette chiese) che formano un ideale cerchio magico in cui si mescolano, da millenni, religione, storia, cultura e ora soprattutto archeologia
Viaggiare nel cuore della Turchia avendo in mano uno dei libri più sacri e visionari della cristianità non è cosa da poco. L’Apocalisse di San Giovanni evangelista, scritta nel I secolo d.C., parla dell’ira divina che si sarebbe abbattuta su Efeso, Smirne, Pergamo, Tiatira, Sardi, Filadelfia e Laodicea. Città ree di corruzione, lascivia, fede troppo tiepida e altalenante nel Dio del Nuovo Testamento. Le chiamavano le sette chiese d’Asia, in omaggio al loro ruolo di presidi della religiosità. Oggi ospitano siti archeologici di una bellezza struggente. Alcuni inglobati in centri abitati moderni, altri che invece proliferano e si ingrandiscono. Una genia di studiosi turchi si mostra orgogliosa di riscoprire tracce del passato cristiano del Paese e, cosa nient’affatto scontata, lo Stato offre loro il supporto necessario. Le sette chiese, infatti, rappresentano una formidabile arma politica per riaffermare l’ecumenismo dei figli di Ataturk e la loro vicinanza all’Occidente, ma anche un network proficuo per il turismo. I siti formano un’ellisse ideale che copre un fazzoletto di terra molto piccolo: appena 280 chilometri da nord a sud. Siamo nella parte più a ovest dell’Anatolia, la porta verso l’Egeo. Un’area che al tempo del dominio romano pullulava di carovane commerciali. La prima tappa è Pergamo, la città che possedeva un santuario dedicato al dio medico Asclepio ed esportava unguenti, oli profumati e pergamene, ovviamente, in tutto il Mediterraneo. «Voleva essere una seconda Atene e quasi ci riuscì», spiega Felix Pirson, direttore del Deutsches Archäologisches Institut di Istanbul, mentre ci guida con passo svelto tra le colonne del grande tempio dedicato all’imperatore Traiano, sull’acropoli.
«Nel II secolo a.C. gli Attalidi stabilirono qui la capitale di un regno ellenistico che si estendeva dalla costa egea fino all’odierna Ankara». Sulla collina che domina la città moderna, Bergama, ci sono resti monumentali di edifici pubblici, biblioteche e persino uno spettacolare teatro a gradoni costruito sfruttando le pendenze naturali. Purtroppo, secondo la visione giovannea, questa era la dimora di Satana i cui abitanti erano dediti a culti pagani e mangiavano «carni immolate agli idoli». La giusta punizione sarebbe arrivata.
Nel II secolo d.C. l’epicentro religioso si trasferì nella parte bassa della città dove ancora oggi ci sono i resti della Basilica rossa (per il colore dei mattoni). A sud-est di Pergamo, nella splendida valle del Lico, si incontra Akhisar che duemila anni fa ospitò la comunità di Tiatira. Anche a essa il sacro libro non fa sconti accusandola di indulgere in pratiche libertine e di seguire falsi profeti. L’area archeologica è un grosso quadrato recintato che interrompe la monotonia dei palazzi circostanti. Per godere bene l’effetto che fa, abbiamo chiesto ai bidelli di una scuola, che ha un affaccio sugli scavi, di aprirci le porte dell’istituto. Dall’alto la vista è d’impatto. «Sono venuto qui con i miei studenti per scavare il più possibile», dice Engin Akdeniz dell’Adnan Menderes Üniversitesi di Aydin, «perché è giusto che la gente si riappropri della propria storia». Il piano dell’amministrazione locale è ambizioso e tutto proteso verso lo sviluppo turistico.
Il viaggio continua verso Sardi, la città-emporio, paradiso dei commercianti e patria del ricco Creso. Le imponenti rovine del tempio di Artemide riposano placide nella conca naturale di Gediz. La strada carrozzabile è lontana quanto basta. «Sardi si trovava sulla via Regia», racconta Eren Sulek, ricercatore presso il museo della vicina cittadina di Manisa.
«Vi viaggiavano tessuti e spezie, da Oriente a Occidente. Qui c’era tanto benessere». Con la vicina Filadelfia (Ala¸sehir), di cui rimangono pochi brani della basilica dedicata a S. Giovanni, si chiude la teoria delle piccole comunità dell’Apocalisse. Le altre città, al confronto, erano (e sono) delle metropoli. A cominciare da Laodicea, che si trova proprio di fronte al sito di Pamukkale, famoso nel mondo per le sue bianchissime vasche calcaree. «Tu dici: Sono ricco, mi sono arricchito; non ho bisogno di nulla, ma non sai di essere un infelice, un miserabile, un povero, cieco e nudo». La durezza delle parole contenute nelle scritture è legata all’episodio di un terremoto che la colpì nel 60 d.C. Laodicea, ben sicura dei propri mezzi economici, rifiutò sdegnosamente l’aiuto offerto da Roma per la ricostruzione. La percezione della passata grandeur di questa Pompei della cristianità antica trova conferma nei record snocciolati da Celal Simsek, archeologo della Pamukkale Üniversitesi. «C’erano quattro complessi termali di cui uno grande oltre settemila metri quadrati, secondo solo a quello di Caracalla, a Roma. E poi uno stadio che competeva, per importanza, con il Circo Massimo. La città, tra il I e il III secolo d.C. , arrivò ad avere 100mila abitanti». Era un mondo in cui la concorrenza tra le fedi era serratissima. E Laodicea non ne era certo immune. Ecco perché di fronte al tempio dedicato ad Artemide sorge una chiesa a tre navate fatta costruire da Costantino nel IV secolo d.C.
L’Anatolia era un allegro melting pot di razze e credenze. Si viveva gomito a gomito, si camminava sulle stesse strade. L’Apocalisse condannò anche Efeso per questo, alludendo al fatto che la comunità cristiana si era assopita o forse aveva scelto di contemperare la propria fede con le altre.
Quello efesino è sempre stato un banco di prova duro per tutti. Paolo di Tarso venne a predicare nel teatro e fu quasi linciato dalla folla che era devota ad Artemide. Una trentina d’anni dopo, alla fine del I secolo d.C., fu il vescovo Timoteo a essere lapidato per aver denigrato il culto di Dioniso. Scenario di questi fatti terribili fu il centro della città che si sviluppa attorno alla via dei Cureti. Non vi sfuggiranno, andando in giro per il sito, i cartelli con l’acronimo Oai, Österreichisches Archäologisches Institut, che attestano l’impegno degli archeologi austriaci guidati da Sabine Ladstaetter. «Grazie alla recente scoperta di tante chiese», raccontano i ragazzi del suo team, «sappiamo che Efeso fu senza dubbio uno dei luoghi di pellegrinaggio più importanti di tutto l’Oriente».
Il viaggio si conclude a Izmir, o Smirne. Un centro portuale che conta oltre tre milioni di abitanti e che ha sul suo stato di famiglia un figlio celebre: Omero. Tranne l’Agorà fatta ricostruire da Marco Aurelio nel II secolo d.C., dopo un terremoto, non si può dire che a Izmir siano tante le testimonianze archeologiche ancora in piedi, ma è l’aspetto sociale a destare più interesse. L’Apocalisse, ancora una volta, metteva in guardia i cristiani dai giudei, predicava la separazione tra le fedi. Oggi, invece, sacerdoti, rabbini e imam convivono pacificamente, consci dell’importanza dell’equilibrio raggiunto. L’atmosfera ecumenica non stona con quella di moderna città carovaniera. Insomma, il commercio val bene una messa.