di Isabella Brega | Fotografie di: Norman Carver Jr.
Come eravamo negli anni Sessanta ce lo mostra in queste foto l’architetto americano Norman Carver Jr. Così, l’oscuro paese umbro di Postignano, tra Spoleto e Assisi, diventa l’emblema dell’italian way of life, povera e semplice, e l’archetipo dei borghi collinari italiani. Poi l’abbandono e finalmente l’happy end, con il restauro e la riscoperta
C’era una volta un castello... E c’è ancora. Isolamento, miseria, spopolamento, emigrazione, terremoto, eppure Postignano è lì, a testimoniare quanto passione, tenacia (e un pizzico di sana follia) possano fare la differenza. Eretto intorno al IX secolo ai bordi della strada che collegava Spoleto, Foligno, Norcia e Assisi, il complesso abbraccia con le sue mura a forma triangolare un grumo di casette dominate dalla torre di avvistamento e adagiate sul fianco di una collina. Per anni, decenni, secoli il tempo è scorso piano a Postignano, investito dal fuoco delle rivalità fra guelfi e ghibellini, conteso da Foligno e Spoleto, sorretto economicamente da agricoltura, boschi, artigianato del ferro e canapa. Ma a partire dal Cinquecento tutto questo non è più bastato. Lo spopolamento inizia inesorabilmente a sottrarre forze e vita al borgo e, come tante altre piccole realtà rurali e montane italiane, il Novecento vede l’emigrazione mordere crudelmente famiglie e affetti.
La morte giunge negli anni Sessanta quando, a seguito di uno smottamento, gli ultimi abitanti di Postignano sono evacuati. Abbandonati case, scale, muretti. Abbandonate stalle e botteghe, serrata la chiesuccia di S. Lorenzo, solo la Vergine con il suo bambino dal ciuffo riccioluto e gli occhi biricchini rimangono a sorvegliare le case dagli occhi vuoti di camicie e tovaglie, le viuzze sorde di pallonate, gli usci privi di chiacchiericci donneschi, i pollai senza più galline, le mangiatoie fredde del fiato caldo di mucche e asini.
Una madre e un bambinello che tanto assomiglia a quelli che per anni hanno ruzzato sui gradini della cappella restano soli a guardarne le panche e le colonne affrescate sulle pareti, ornate di tendaggi con piccole gocce di cristallo dipinte dalla mano lieve e felice di un ignoto pittore arrivato dalle Marche. Come arrivato da quella Lammerica che parenti e amici descrivevano nelle poche lettere dalla grafia e dal lessico incerti e che piroscafi e posta aerea portavano fin quassù ai vecchi rimasti a casa, era nel 1969 un giovane architetto con la sua Hasselblad. Fu amore a prima vista quello di Norman Carver Jr., nato in una cittadina dal nome misterioso ed esotico, Kalamazoo, nel Michigan, per il paesello umbro. Vicoli, case, salite, galline, gatti, uomini e donne dai tratti scavati e intensi e gli sguardi di chi è cresciuto in una terra che non fa sconti. Giacche di fustagno e coppole, momenti di lavoro e giorni di festa da celebrare con processioni e crocicchi di fumo e pettegolezzi: tutto era stato catturato, metabolizzato dall’occhio empatico di un americano che in uomini e architetture aveva colto il segno di un progetto e di una storia comuni. Le foto di Postignano di Norman Carver, pubblicate insieme a quelle di altri borghi italiani nel 1979, restano l’omaggio di un uomo sensibile non solo all’inconsapevole perfezione dell’architettura spontanea italiana, ma anche al valore umile ma sincero di coloro che l’avevano generato.
Un omaggio che non basta però a salvare Postignano dal proprio destino.
Abbandonato a se stesso, il borgo va incontro a un rapido declino. Ma questa è una storia di innamoramenti, così un bel giorno del 1992 un altro forestiero varca le sue mura. Gennaro Matacena, architetto napoletano esperto nel restauro di edifici storici, alza lo sguardo sul paesello grigio e spento. E il futuro torna a scorrere nelle viuzze del paesello. Sudando sette camicie, sottoscrivendo una montagna di 300 rogiti, insieme a Matteo Scaramella acquista il borgo e dà inizio al restauro. Il fato però reclama i suoi diritti e nel 1997 il terremoto riapre le ferite. Ma tutte le favole hanno un finale positivo. I lavori riprendono e, nel rispetto di architetture, materiali e tecniche locali, sfruttando la tecnologia per ottenere una resistenza alle scosse sismiche e un alto grado di isolamento acustico e termico per un efficace risparmio energetico, restituiscono al borgo le sue forme e la vita. E scoprono piccoli tesori. Come, in S. Lorenzo, gli affreschi della cerchia del De Magistris, detto il Caldarola e, a seguito del terremoto, una Crocifissione del ’400, mentre in quella che forse era la cappella di un convento, una Madonna e un angelo di straordinaria fattura. Nascosto in una nicchia murata, un cappello da prete con un pugno di monete. Il dono di Postignano.