di Gianluca Biscalchin
A tu per tu con Oscar Farinetti. Imprenditore della gastronomia doc, ma anche ideologo di una rivoluzione culturale che parte proprio dalla tavola
Oggi l’Italia ha bisogno di coraggio. Tutti lo sanno, ma pochi lo dicono. Ci ha pensato a scriverlo forte Oscar Farinetti, l’inventore di Eataly, con il suo libro Storie di coraggio (Mondadori, 16,90 euro). Sono 12 racconti su produttori di vino esemplari che dimostrano quanto il nostro Paese sappia e possa fare. 12 storie molto diverse tra loro: dalle grandi cantine siciliane alle piccole realtà al femminile, dalle antiche casate toscane ai contadini-imprenditori. Come Walter Massa «che passa mille ore su un trattore e poi si trasforma in direttore commerciale, prende le sue bottiglie e va a New York dove è accolto come un dio perché fa uno dei più grandi bianchi del mondo».
Il libro è anche un programma per l’Italia, un manifesto politico, la summa del Farinetti-pensiero. Un imprenditore che con l’avventura di Eataly (il sistema di distribuzione alimentare che, con Slow Food, rivaluta piccoli produttori) ha dimostrato che il patrimonio agroalimentare italiano è una miniera da sfruttare per fare cultura. E business. Partendo dalle Langhe, la terra dove Farinetti è nato, dove il padre ha combattuto come partigiano. Un passato importante.
Ma oggi? Cosa direbbe a un ragazzo del 2013, così deluso da un Paese che sembra non amarsi più?
Gli direi di venire nelle Langhe a vedere gli effetti che ha prodotto un sistema che funziona. Che venga qui durante la Fiera del tartufo per vedere un pezzo di Italia efficiente. Vedrà un incremento del 40% di turisti. Vedrà l’effetto
di un luogo di cultura, un luogo di marketing, un luogo dove si produce roba vera: barolo, barbaresco, tartufo e la capacità di queste persone di narrarlo nel mondo.
Forse non è un caso che le Langhe sono la patria di scrittori come beppe Fenoglio e cesare Pavese. Quanto è importante raccontare?
È fondamentale. Ci sono altri luoghi d’Italia dove si fanno prodotti altrettanto interessanti, ma manca la capacità di narrazione. Questo luogo strano del Piemonte è abitato da personaggi che hanno imparato a raccontarsi e che hanno coraggio, un grandissimo coraggio. Vedi i produttori di vino che ho incontrato nel mio libro come Walter Massa o Angelo Gaja, il re, il numero uno, l’ambasciatore della qualità italiana nel mondo.
Cosa può insegnare il mondo del vino alla politica oggi in Italia?
Moltissimo. Primo, la capacità di analisi: lo studio dello scenario per poi agire nella direzione giusta. E ancora la semplificazione: riuscire a capire le priorità e realizzarle. Inoltre l’onestà, che poi vuol dire non sprecare le risorse. Continuiamo con l’umiltà, che significa non avere privilegi. L’altissima preparazione e infine la capacità di raccontare. In una parola: buon esempio. È quello che servirebbe al nostro Paese. L’Italia non si mette a posto solo con le regole, ne puoi fare mille ma le cose non cambieranno in poco tempo. Serve invece che tutti noi ci autoregolamentiamo e diventiamo più seri. Dobbiamo comportarci meglio, ma per farlo ci serve il buon esempio. Serve che nelle posizioni chiave vadano delle persone che diano il buon esempio. Come ha fatto la Chiesa che è riuscita in due mosse a cambiare una situazione di stallo e scandalo. Grande operazione di marketing.
La produttrice siciliana Francesca Planeta ha detto: «il vino buono si fa nei posti belli»…
È vero. Perché a fare un vino che non sia buono sembra di deturpare la bellezza del luogo dove nasce. In tutto il libro c’è questo mantra del paesaggio. I paesaggi concorrono fortissimamente a determinare le caratteristiche umane dei popoli. Ho notato che nelle case delle Langhe i tavoli sono rotondi come le loro colline, nelle Dolomiti invece sono spigolosi come le loro montagne. Impariamo tutto dal paesaggio. E il paesaggio lo fanno i contadini.
I posti belli fanno nascere cose belle. Non a caso il rinascimento nasce a Firenze.
A proposito, secondo lei è possibile un nuovo Rinascimento, partendo dalla bellezza e dalle eccellenze del nostro Paese?
Ma certo. Il nostro è un popolo fatto così: poche generazioni fa c’è stato il risorgimento, 16 generazioni fa da noi è nato il rinascimento. 78 generazioni fa eravamo i padroni del mondo: abbiamo inventato il design, il progetto, l’arte di costruire, le strade, la giustizia… il nostro è un popolo che può dare ancora molto. Il suo problema è che snobba la politica e non si è posto il problema di mandare i migliori al potere, non ha mandato Pericle a governare. Ma solo dei mediocri. Il coraggio di questi produttori di vino è il modello da seguire. Sono generosi, hanno una visione. Hanno capito le regole misteriose del processo che porta alla bellezza e possono far da traino al Nuovo Rinascimento Italiano.