Sette isole d'oro

Ente del turismo Repubblica DominicanaEnte del turismo Repubblica DominicanaEnte del turismo Repubblica DominicanaEnte del turismo Repubblica DominicanaEnte del turismo Repubblica DominicanaEnte del turismo Repubblica DominicanaEnte del turismo Repubblica DominicanaEnte del turismo Repubblica DominicanaEnte del turismo Repubblica DominicanaEnte del turismo Repubblica DominicanaEnte del turismo Repubblica DominicanaEnte del turismo Repubblica DominicanaEnte del turismo Repubblica DominicanaEnte del turismo Repubblica DominicanaEnte del turismo Repubblica DominicanaEnte del turismo Repubblica DominicanaEnte del turismo Repubblica DominicanaEnte del turismo Repubblica Dominicana

Ecco le mete da sogno per una vacanza esclusiva all’insegna del sole, del mare e della natura lussureggiante, fra i Tropici e l’Equatore.

REPUBBLICA DOMINICANA
Potenza delle immagini, per non dire degli stereotipi. Pensi (meglio: sogni) la Repubblica Dominicana e ti scorre davanti agli occhi una sequenza di scatti indimenticabili: spiagge bianche accecanti, mare cristallino bordato di palme, barriere coralline incontaminate e, nell’entroterra, una natura di bellezza dirompente, dove trionfano orchidee che paiono un inno alla sensualità. Punta Cana, La Romana, Playa Grande, il paradiso dei surfisti di Barahona, l’isola corallina di Cayo Arena: siamo nel Caribe e questi sono tutti luoghi che già da soli valgono una vacanza. O anche qualcosa di più...
Basta scorrere l’indice del sito www.godominicanrepublic.com per scoprire infatti una sibillina voce «trasferimento». Uno spazio web dove non si discute né di navette per gli aeroporti né di voli o mezzi di trasporto. Ma nel quale, forti di poter annoverare tra i primi clienti un turista un po’ speciale come Cristoforo Colombo, i dominicani parlano apertamente: «È difficile visitare il Paese senza sognare di vivere qui. Il nostro clima tropicale, la gente calda e accogliente, l’ambiente sicuro, gli sviluppi tecnologici e gli incentivi fiscali hanno fatto decidere a molti viaggiatori di trasformare in permanente la loro vacanza».
Tornando alla vacanza, la dimensione tropicale della Repubblica Dominicana non può far dimenticare che la straordinaria varietà di occasioni di relax va ben oltre le immagini da cartolina. Santo Domingo, la capitale, vanta un patrimonio storico-artistico tale da essere stata inserita tra i luoghi tutelati dall’Unesco come Patrimonio dell’umanità. Così che, a una vivacissima nightlife con spettacoli e concerti, dal jazz al merengue, può affiancare il fascino delle architetture della Ciudad Colonial, prima tra tutte la cattedrale di S. Maria de la Encarnación di fondazione cinquecentesca. E autentici gioielli come la meridiana Reloj de Sol, capolavoro di orologeria solare realizzato nel 1753 per volere del capitano generale della colonia Francisco de Rubio y Peñaranda: sorge davanti a quello che oggi è il Museo de las Casas Reales.

Adrenalina e sostenibilità ambientale sono invece gli ingredienti base del Bávaro Adventure Park di Punta Cana, inaugurato da poche settimane: un parco di divertimenti da oltre 40 ettari che è stato concepito nel totale rispetto dell’ambiente e offre insolite occasioni di attività all’aria aperta, tra cui una spettacolare zip line, teleferica tra gli alberi a una dozzina di metri dal suolo. Altrettanto coinvolgente, sempre a Punta Cana, lo scenografico spettacolo-escursione notturna Caribbean Buccaneers che prevede di navigare lungo la costa a bordo di un galeone pirata del XVI secolo e, dopo avere partecipato a uno scontro tra «buoni e cattivi», di concludere la serata con una cena a base di aragosta. Siamo o non siamo tra i pirati dei Caraibi?

 

ANGUILLA
«Il mare non è mai stato amico dell'uomo. Tuttalpiù è stato complice della sua irrequietezza». Una giornata sulla spiaggia di Anguilla basta a dare la certezza che Joseph Conrad, autore di questo aforisma, da queste parti non ha mai messo piede. Perché questa straordinaria collezione di 33 archi di candida arena corallina, affacciati sulle acque turchesi del mar dei Caraibi, incarna la dimensione più amichevole e pacifica che si possa immaginare del rapporto tra uomo e natura. Serenità che neppure l’etichetta di meta del turismo esclusivo è riuscita a scalfire. Vero, verissimo che i personaggi dello spettacolo di tutto il mondo vi si rifugiano in cerca di relax e di privacy. Ma a differenza di Saint-Tropez o della Costa Smeralda, la dimensione vip di Anguilla ha preso tutt’altra strada. Senza shopping di lusso, locali eleganti e prosperità ostentata.

Niente bermuda firmati o tubino in valigia, quindi. Il soggiorno ad Anguilla è “una vacanza a piedi scalzi”. Il fascino dell’isola, certo, è nell’accoppiata tra natura selvaggia e strutture alberghiere superconfortevoli mimetizzate tra la vegetazione tropicale. Ma ancora di più nel suo minimalismo: nei piccoli ristoranti e nei locali notturni dove si suonano reggae, soca e calipso, fatti di travi in legno e presenti un po’ ovunque sulle spiagge, l’atmosfera è totalmente informale ed è impossibile distinguere tra l’attore di Hollywood, la star del calcio, la giornalista tv e il turista di passaggio. Fin quasi a sembrare paradossale per chi non ha un po’ di esperienza dell’isola. Un esempio? La tappa a le Dune, da Banky’s Banx, cantante e compositore di reggae, è di quelle da non perdere. Però l’aspetto del locale, delle barche assemblate insieme in qualche modo sulla spiaggia, può sconcertare. Inutile cercare di riservare un tavolo: non c’è telefono. E, nel bere un buon rum, si scopre pure che Banky canta e suona seduto tra la gente. Non c’è poi da stupirsi se, sempre più spesso, l’isola è meta di viaggi di nozze, o addirittura di chi vuole celebrare un matrimonio in una cornice tanto indimenticabile quanto lontana da chiasso e mondanità. Anche il tempo, ad Anguilla, ha una misura particolare. Dal punto di vista meteorologico, prima di tutto, con un clima piacevolmente caldo tutto l’anno, in cui i momenti di pioggia sono misurabili in minuti. E poi nel dimenticare quegli strani oggetti tondi, con le lancette, che si portano al polso, del tutto superflui su questi 102 chilometri quadrati di sabbia e palme. Dove le giornate hanno un ritmo tutto loro, dalla prima colazione consumata sulla terrazza affacciata su un mare turchese al tuffo tra i pesciolini colorati della barriera corallina, alla passeggiata lungo la spiaggia, alla cena in un ristorantino romantico con i piedi che affondano nella sabbia bianca e impalpabile, per finire la serata ballando nei locali di Sandy Ground. Buona vacanza!

 

CUBA
«Quest’isola è la più bella terra che abbiano mai visto occhi umani ed è piena di buoni porti e di fiumi profondi e l’erba dalla spiaggia giunge quasi al mare», così scriveva Cristoforo Colombo poco dopo essere giunto a Cuba (che lui, convinto di essere in Oriente, chiamò Cipango). Sono passati 521 anni da allora e questo incredibile arcipelago caraibico ha mantenuto intatta la bellezza naturale, accrescendo quella artistica, architettonica e culturale. Per questo è una di quelle destinazioni che tutti sognano, almeno una volta nella vita, di vedere.

La prima cosa che viene in mente pensando a Cuba sono le spiagge, il mare blu, le decine di isole, o cayos, che ne punteggiano la costa. Eppure la magia di questo Paese sta anche nella sua incredibile storia, nelle eredità artistiche di mille diverse culture che sono passate di qui. Le città coloniali sono la manifestazione più evidente di questa unicità che tanto la differenzia dalle altre isole caraibiche. Da Baracoa, sull’estremità orientale, con forti, castelli e un piccolo ma poetico malecón, a Santiago de Cuba che sprizza vitalità in ogni angolo. Anche qui castelli, basiliche e cattedrali definiscono un paesaggio intenso da scoprire a piedi, infilandosi in vicoli pieni di vita, tra anziani che giocano a domino e ragazzi che alternano il calcio al baseball, lo sport nazionale. Un viaggio ideale prosegue verso l’interno, alla volta di Camagüey, una bella scoperta per chi è alla ricerca del ricco passato coloniale dell’isola. Ancora più stupefacente, Trinidad, Patrimonio dell’umanità già nel 1988 per le sue caratteristiche basse casette colorate. Deve la sua bellezza all’importanza economica che ha sempre rivestito per Cuba, prima con le piantagioni di canna da zucchero, poi con il tabacco e ora col turismo. Dalla Plaza Mayor si sale su una dolce collina per osservare il mare e un magico tramonto. E se proprio non si vuole rinunciare a un tuffo basta andare alla penisola di Ancón dove sabbia bianca e palme creano un effetto da cartolina.

Meta imprescindibile di un tour delle città coloniali cubane non può che essere L’Avana, la capitale, celebre per il suo centro storico, i suoi palazzi, il lungo ed emozionante malecón, la musica che esce da ogni locale, i bar storici frequentati da scrittori e artisti di ogni epoca e storia, come la celebre Bodeguita del medio, la preferita da Ernest Hemingway. L’Havana vieja è una collezione di edifici coloniali spagnoli anch’essi tutelati dall’Unesco che, un po’ alla volta, stanno tornando all’antico splendore grazie a complesse ma efficaci ristrutturazioni. Qui si concentra tutta quella storia che ha reso unica e speciale Cuba. Le spiagge di sabbia bianca e il mare blu non sono lontani, ma non c’è fretta, prima è meglio gustarsi un mojito al ritmo storico dell’Avana, la bella tra le belle.

 

GUADALUPA E MARTINICA
Non siamo venuti qui pensando a Paul Gauguin, bisogna ammetterlo: ma è altrettanto vero che ritrovare nel museo a lui dedicato i libri e le lettere legate al suo breve soggiorno martinicano ha una suggestione particolare. Nel 1887 il pittore impressionista giunse sull’«isola dei fiori» (questo il significato di Madinina, come gli indiani Arawak indicavano la futura Martinica), nelle sue intenzioni voleva «rappresentare l’armonia che lega la vita umana a tutte le altre specie naturali». Martinica divenne il suo Eden artistico, la sua musa. Una musa che Gauguin tornerà a inseguire alcuni anni dopo sulle spiagge di Tahiti. Dopo aver esplorato l’isola, lunga appena 80 chilometri, seguendo la strada del rhum agricole, uno dei pochi al mondo estratto direttamente dalla canna da zucchero (di cui Martinica è ricca), e una sosta all’Habitation Clément, storica distilleria del XVIII secolo, l’isola vi conquisterà con la sua grande varietà di paesaggi naturali - colline, foreste, cascate e i Pitons del Nord, le vette montuose che sfiorano i 1400 metri di altitudine e formano le spettacolari Gorges de la Falaise. A tutto questo aggiungete le spiagge di sabbia bianca che caratterizzano le coste occidentale e meridionale, mentre lungo la costa est vi aspettano sorprendenti scogliere selvagge.

La Martinica è poi destinazione ideale per chi ama lo sport, non solo in mare: alle immersioni subacquee, lo sci nautico e il kitesurfing si aggiungono il canyoning e le escursioni. Nuovi percorsi a piedi oppure via mare, chiamati RandosEco, sono stati infatti realizzati nel Parco naturale regionale della Martinica, nella Riserva naturale della Caravelle e a Château Dubuc. Per i golosi ci sono invece itinerari gastronomici presso i più rinomati ristoratori dell’isola.

Guadalupa punterà a sorprendervi, a disorientarvi con quel suo fascino tutto francese e anche con un uso insolito dei nomi: l’isola principale, ricca di vegetazione, si divide in due come le ali di una farfalla: Basse-Terre, che a dispetto del nome è montuosa, e Grande-Terre, che invece è piatta, rilassante e invoglia alla classica vacanza sotto l’ombrellone. L’arcipelago è composto poi da Marie-Galante, le piccole Les Saintes (Terre-de-Haut e Terre-de-Bas) e La Désirade. All’arrivo, aspettatevi il tradizionale benvenuto: Nou kontan wê zot! «Siamo contenti di vedervi!», accompagnato dal ritmo della biguine e da un bicchiere di ti-punch.
La varietà di ambienti naturali in così poco spazio permette anche qui di scegliere fra diverse tipologie di soggiorno, alcune anche sorprendenti, come le attività di canyoning e di tarzaning nei parchi attrezzati o le immersioni. Per gli irriducibili delle 18 buche, l’hotel Golf Village sulle alture di Saint-François è a due passi dal campo disegnato dal guru Robert Trent Jones.

 

NUOVA CALEDONIA
La prima cosa di cui ci si accorge quando dopo ore e ore di volo (con Alitalia e AirCalin, via Tokyo, grazie a cui si risparmiano uno scalo e una manciata di ore) si arriva finalmente a Nouméa, la capitale della Nuova Caledonia, è che si è arrivati in un posto particolare. E non tanto, o non solo, perché si è letteralmente agli antipodi, immersi in una natura lussureggiante che richiama le visioni paradisiache di Gauguin con una biodiversità che ha pochi uguali al mondo. Quanto perché mettendo piede a Grande Terre, che con i suoi oltre 400 chilometri di lunghezza rappresenta l’isola principale dell’arcipelago, ci si confronta da subito con una cultura radicalmente diversa da qualsiasi altra presente nei Mari del Sud. C’è infatti uno strano melting pot, in Nuova Caledonia. Gli abitanti originari sono i kanaki: nella loro lingua si definiscono Ti-Va-Ouere, ovvero Fratelli della Terra. Si tratta di una popolazione melanesiana che appartiene alla stessa famiglia etnica degli aborigeni australiani e dei maori neozelandesi. Oggi i kanaki costituiscono meno del 50 per cento dei 230mila abitanti e aspirano all’indipendenza completa anche se dopo i turbolenti anni Ottanta, costellati di rivolte e scontri, hanno conquistato un’autonomia preludio di un referendum che potrebbe sancire l’indipendenza dalla Francia, di cui è un possedimento d’oltremare. Accanto a loro ci sono i caldoche, i bianchi della Nuova Caledonia come li chiamano i nativi kanaki. I caldoche si sono creati una propria cultura, molto più vicina a quella rurale australiana che a quella francese. Sono i discendenti diretti dei primi occidentali che abitarono l’isola dopo che fu avvistata nel 1774 dal capitano James Cook, il quale la battezzò Nuova Caledonia perché il paesaggio gli ricordava le colline della Scozia, la Caledonia dei Romani. Erano cacciatori di balene inglesi e taglialegna americani, cui dal 1864 al 1897 si unirono un gran numero di galeotti francesi.
Gli uni e gli altri danno vita a una cultura particolare che è ben raccontata allo spettacolare Centro culturale di Jean-Marie Tjibaou. Una struttura con dieci grandi capanne di legno edificate su progetto di Renzo Piano a circa 10 chilometri dal centro di Nouméa che rappresenta il luogo migliore per approfondire la cultura kanaka e delle varie popolazioni dell’Oceania.

Ma la Nuova Caledonia non è solo uno scrigno di culture, è anche un luogo naturalisticamente impressionante che può vantare oltre 1.800 chilometri di barriera corallina e la laguna più grande del mondo, diventata Patrimonio Unesco. Questo si accompagna a una biodiversità eccezionale: con oltre mille specie di pesci, 6.500 di invertebrati marini, 350 tipi di corallo duro e circa 500 di corallo morbido che rendono Grande Terre, le isole Bélep, l’isola dei Pini e le isole Loyauté una meta particolare per gli amanti delle immersioni e del mare.

SEYCHELLES
Lo sbarco dall'aereo è sul continente africano, ma le Seychelles sono un’altra cosa. Mahé è però solo uno scalo: ci aspetta un ulteriore volo di 30 minuti per raggiungere Denis, una delle 115 isole dell’arcipelago. L’isola, assolutamente privata, è il paradiso della pesca, dello snorkeling, dei sentieri di sabbia (non ci sono strade!) e... della noce di cocco. L’alloggio è sulla punta nordoccidentale dell’isola: ci sono 25 cottage a cinque stelle, dislocati sulla spiaggia e separati l’uno dall’altro da siepi e giardini lussureggianti.

Ciò che colpisce qui a Denis è la vegetazione rigogliosa e l’attenzione estrema nei confronti dell’ambiente; d’altra parte sono luoghi fragilissimi e bastano pochi comportamenti scorretti per compromettere un sistema davvero molto particolare. Non a caso le costruzioni sono realizzate con materiali locali, le acque sono trattate, il riciclaggio dei rifiuti è totale. Lo stesso cibo è per buona parte locale; arriva dalla fattoria dove si allevano mucche e pollame, dall’orto da cui si ricavano verdure ed erbe aromatiche, dai frutteti che producono tutto l’anno frutta esotica e dai palmeti da cui si ricavano noci di cocco e il relativo olio. Le giornate qui passano nel più assoluto ed esclusivo riposo, anche se inframmezzate da emozionanti battute di pesca al marlin, al tonno, al barracuda e al pesce spada.

Silhouette È la terza isola dell’arcipelago: vi si arriva da Mahé in barca; occorrono circa trenta minuti di traversata. Dell’isola, che ha una natura spettacolare, colpiscono la montagna che la domina, il mont Dauban, alto 740 m, e la verdeggiante vegetazione: qui si trova infatti l’unica foresta equatoriale dell’arcipelago, protetta oggi come parco nazionale.
Un tempo rifugio dei pirati, oggi Silhouette – che prende il nome da un cortigiano di re Luigi XV – si propone come un paradiso della biodiversità per l’enorme quantità di fauna e flora presenti, tra cui il sandalo e la pianta carnivora nepente, tra i vegetali, e uccelli marini, tartarughe e pipistrelli tra gli animali. Il turista che soggiorna sull’isola ha a disposizione vari itinerari per fare jogging e trekking, in modo da raggiungere le sette splendide spiagge, vanto dell’isola (tra cui una di sabbia bianca lunga circa un chilometro e mezzo). Il soggiorno all’hotel Hilton risulta indimenticabile per l’alloggio ricercato, per il ristorante gastronomico allestito nell’edificio che fu residenza della famiglia Dauban, proprietaria dell’isola per un secolo, e per la Spa costruita sugli scogli, da dove si sentono le onde che si frangono sulle rocce.

 

ISOLE COOK
Il viaggio supera le 24 ore, ma ne vale la pena è il commento che abbiamo sentito più spesso riguardo alle isole Cook. E in effetti questo arcipelago della Polinesia agli antipodi dell’Italia (in volo si raggiunge da Sydney o Los Angeles) è un luogo da fiaba, sorprendente nella sua autenticità e nella sua semplicità. Ci sono 15 isole (la più grande non raggiunge i 70 km quadrati) e 18mila abitanti. Una delle parole d’ordine è accoglienza: alle Cook non si è mai turisti, si diventa subito cookislander, isolani, amici. Sarà perché la vita è semplice, gioiosa, immediata. Ecco una nostra selezione di cose da non perdere, per vivere l’arcipelago: a Rarotonga, l’isola principale, visitare il Pananga Nui market del sabato; prendere il Going Troppo, il discobus che la sera fa il giro dei locali notturni e poi ti riporta in albergo; incontrare Pa’a, lo sciamano locale, uomo dall’intensa spiritualità, profondo conoscitore delle erbe medicinali. Sull’isola di Atiu, imparare a lavorare i chicchi di caffè nella piantagione locale, visitare le grotte scavate nel corallo e fare il bagno nella laguna interna; e ancora, su Aitutaki, imbarcarsi su un vaka (tradizionale canoa) all’interno della laguna.

Nell’antica Polinesia, artisti e sacerdoti godevano di uno status speciale: l’arte era considerata sacra e veniva per lo più espressa attraverso la danza e i tatuaggi (siamo in terra maori). L’arte tessile è una delle forme di più alto profilo nelle isole Cook, e la pittura è molto diffusa. Soprattutto a Rarotonga si è sviluppata una scena artistica vigorosa, che incoraggia i giovani. Nella galleria d’arte di Kay e Jan George, sulla costa ovest, per esempio, potete ammirare tessuti disegnati e stampati a mano, abiti, sculture in legno, ricami. Judith Künzle è conosciuta per i suoi dipinti e disegni che ritraggono ballerini delle isole (la danza tradizionale è una delle forme d’arte più emozionanti e coinvolgenti, non perdetevela). A Muri, su Rarotonga, potete incontrare Tokerau Jim, uno dei pochi intagliatori di perle al mondo.

Gli italiani, si sa, sono particolarmente attenti alla cucina, anche in viaggio. E anche in questo ambito resteranno piacevolmente sorpresi. Il pesce è, come in ogni isola del Pacifico che si rispetti, l’elemento base: alla griglia, in minestre o stufati, marinato con succo di lime o con latte di cocco. Sono diffuse le patate dolci, spesso cotte nell’umukai, forno tradizionale scavato nella terra. Non manca comunque la carne, importata dalla Nuova Zelanda. Molto popolare è la frutta esotica: papaya, mango, avocado, noci di cocco, banane sono ingredienti essenziali per la prima colazione e nei dolci locali. E se proprio non potete fare a meno della gastronomia italiana, presso il Crown Beach Resort & Spa di Rarotonga, il Windjammer Restaurant & Bar aperto di recente è il regno dello chef Carlo Poli, italiano doc, che vi farà sentire a casa. Come tutti gli altri cookislander, del resto.

 

Fotografie di: Ente del turismo Repubblica Dominicana,/,Publicitur Ministerio de Turismo de Cuba,A Tout France,Martial Dosdane/NCTPS,Stephane Ducandas/NCTPS,Seychelles Tourism Board,Ente del Turismo delle Isole Cook
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