di Barbara Gallucci | Fotografie di: Michele Morosi
Da città industriale a capitale della cultura e del rock/pop/punk. La riscossa di questa città britannica comincia negli anni Ottanta grazie alla musica e prosegue ancora oggi tra nuovi gruppi, locali e tanta voglia di divertirsi senza spendere troppo. Alla faccia della crisi. A sinistra, la presentazione di Barbara Gallucci, autrice del reportage.
«Perché qui si fa così tanta musica?», «Beh… piove sempre!». Sono due ore che la guida Craig Gill parla, indica, racconta, pensa, si immalinconisce perfino. Ha fatto parte di un movimento che da musicale è diventato storico, rivoluzionario, internazionale. Alla fine degli anni Settanta, inizi Ottanta era un ragazzino qualsiasi di Manchester. Una Manchester che, prima di tutti, stava sperimentando la fine del boom industriale (predetto da Marx ed Engels che proprio qui, alla Chetham’s Library, cominciarono a buttare giù le prime idee del Capitale), anzi, stava entrando in una crisi che avrebbe reso famosa la Thatcher (per la gestione implacabile nonostante le proteste sindacali) e sconvolto intere generazioni di famiglie operaie. Gli enormi spazi in mattoni rossi e dalle grandi finestre un tempo pullulanti di lavoratori ora erano deserti, tristi.
Poi però, come accade talvolta in questo genere di situazioni, un gruppo di ragazzi figli di quella famosa classe operaia, che invece di andare in paradiso si trovava nell’inferno della povertà, si ribellò allo status quo e inforcò chitarre e bassi. Era l’epoca del punk (nel 1976 i Sex Pistols si esibirono alla Lesser Free Trade Hall ora albergo chic) e del rock progressivo. Bisognava essere brutti, sporchi e cattivi. Urlare la propria rabbia (o la noia). Ragazzini fastidiosi e forse molesti con poche prospettive lavorative vista la situazione. Per mettere insieme questa accozzaglia rumorosa e vederci qualcosa di più grande c’era bisogno di un adulto, almeno anagraficamente.
Di nuovo il cicerone nostalgico Craig fa lo stesso nome, decine di volte: Tony Wilson. In Inghilterra ebbe un discreto successo come conduttore televisivo della Bbc in quell’epoca, ma al resto del mondo non dice granché. Eppure è anche con lui che Manchester ha ritrovato la strada che l’ha condotta ora a essere una delle città più interessanti in Europa. Wilson amava la musica e ascoltava di tutto, ne parlava in tv, diffondeva un verbo fuori dai luoghi comuni e faceva pazzie. Una delle quali fu di comprare un vecchio magazzino e trasformarlo in un enorme locale noto come The factory o Hacienda.
Un tour musicale non può prescindere da questo posto… che non esiste più! Inoltre fondò un’etichetta discografica, la Factory Records, che promuovendo gruppi come gli Happy Mondays, i Joy Division e i New Order diede il la a quella che fu definita l’epoca di Mad(la matta)chester (gioco di parole che punta sulla follia della città perché un po’ suonati lo erano). «Nonostante 15 anni di onorata carriera e notevoli successi l’Hacienda era in netta perdita e Wilson fu costretto a chiuderla. Fu abbattuta e sopra costruirono appartamenti. Hanno lasciato il nome, però. Un bel tributo e una bella soddisfazione», racconta Craig e prosegue «anche il Boardwalk Bar qui vicino era un posto dove si suonava a tutte le ore. Chiuso anche quello. Ma con la musica è così, tutto cambia alla svelta e ora ce ne sono decine di altri posti».
Perché l’istinto musicale di questa città continua nel Terzo Millennio in posti come il Gorilla e il Soundcontrol, l’Attic e il Thirsty Scholar (lo scolaro assetato in effetti preso d’assalto dagli studenti dell’università, una delle più importanti dell’Inghilterra). E poi ancora Zoo, Band on the wall e Joshua Brooks. C’è persino l’istituto dei sordi (The Deaf Institute), trasformato in un bel locale con facciata gotica e interni su piani diversi, con bar, bistrot e ristorante. Come a dire: non si può essere sordi al richiamo della musica.
Festival, concerti ed eventi sono all’ordine del giorno tanto da soddisfare anche il musicofilo più incallito, ma anche il viaggiatore curioso che cerca un’alternativa a Londra. Nascosti tra la folla si rischia di incontrare i Mancunian (i cittadini di Manchester) che hanno fatto la storia. Da Morrissey degli Smiths che con le sue ballate malinconiche ha raccontato un’epoca, a Ian Brown, cantante degli Stone Roses il cui volto campeggia su magliette, poster, tazze in ogni negozio, ristorante, bar non solo musicale (stanno anche uscendo due film su di lui).
E poi ci sono loro: i fratelli Gallagher, Noel e Liam, che con gli Oasis hanno conquistato il mondo tra una litigata e una scazzottata. «E dire che Noel è stato il nostro roadie (il tuttofare che monta e smonta gli strumenti prima e dopo un concerto, ndr) per un lungo periodo», ricorda Craig Gill, ora guida cittadina, ma batterista del gruppo Inspiral Carpets «lo pagavamo in birre, che qui costano poco, o al massimo tre sterline a settimana che comunque spendeva bevendo!».
Tra un aneddoto e l’altro la manchester di oggi si svela. A piedi o su uno degli autobus gratuiti che continuano a girare per i diversi quartieri. Il centro è tipico di una cittadina britannica con via pedonale e decine di negozi visti ovunque. È stato ricostruito interamente dopo l’attentato da parte dell’Ira del 1996. Brutto colpo che la città ha deciso di ripulire e dimenticare, se possibile. Tutto intorno si sviluppano le zone più interessanti. Come il Northern Quarter di cui Oldham Street è l’arteria principale. Qui sembrano un po’ tutti delle rockstar vere o potenziali, ma non di quelle viziate e noiose, al contrario. Ridono, bevono tè e ascoltano musica in uno dei tanti negozi di dischi. Incredibile come qui la rivoluzione digitale degli mp3 non abbia messo in crisi l’economia dell’lp. Nemmeno del cd! Qui si comprano ancora i dischi, è più figo. C’è Vynil Revival in Hilton Street e Vynil Exchange in Oldham Street dove la discoteca alle spalle della cassa e del commesso è commovente per la quantità di dischi che ospita. Lo shopping continua nel centro commerciale più anticonformista del mondo, l’Affleck’s Palace (Tib Street). Vintage, memorabilia, nuovi designer, gadget “reali” (immancabili anche nella repubblicana Manchester), parrucche e scarpe. Entrare qui con un taglio di capelli normale fa sentire ancora più alternativi e se un commesso vi fa la linguaccia vuole dire che siete quasi amici per la pelle. Al primo giro si esce storditi, al secondo con qualche acquisto sconsiderato. Magari un orecchino a forma di teschio, una collana coi baffi o una posticcia coda di cavallo blu elettrico. Ottimi per la serata in uno dei suddetti locali. Al terzo ci si ferma a chiacchierare di musica e stile; sembra che il pregiudizio del look qui sia bandito.
Stessa cosa avviene in Canal Street, viuzza lungo uno dei tanti canali che ogni tanto si palesano inaspettatamente, il gay village dichiarato, esplosione costante di colori, rumori e divertimento un po’ fuori dagli schemi. In realtà ci si può bere tranquillamente una birra a qualsiasi ora, leggendo il giornale o semplicemente osservando il viavai.
Poco più a sud si incrocia Oxford Street. È qui che si concentra la maggioranza di pub e locali dove ascoltare musica più o meno a tutte le ore. Si tratta talvolta di scantinati e soffitte, bugigattoli da 20 persone o enormi magazzini convertiti alle note, ma con qualche problema di acustica. Si entra e si esce con nuovi motivetti nella testa che, chi sa, potrebbero diventare le hit del prossimo anno. Ci sono musicisti di 15 anni che si atteggiano a Mick Jagger e altri di 60 che imitano le boy band. È evidente che la stessa passione musicale non ha età e ogni barriera anagrafica o di genere (anche musicale) salta.
Fino a notte fonda si balla, si canta, si beve, fuori forse piove, ma anche se splendesse il sole l’urgenza ora è diversa. L’indomani si può sempre andare a ripigliarsi nei prati intorno al Rochdale Canal o al Bridgewater. C’è il mercatino artigiano alla domenica, c’è la musica, ma più delicata, ci sono le spremute rigeneranti e fiumi di tè depurativo. Volendo ci si può spingere in bici o in tram fino al Quays. Anche qui tanta acqua, il bel museo della guerra dell’archistar Daniel Libeskind, il centro espositivo The Lowry. Se c’è il sole di domenica il pienone è assicurato. Momenti di pausa tra una canzone e l’altra. Giusto il tempo per cambiare lato al disco e pulire la puntina. «Anche noi dobbiamo finire di incidere il nostro nuovo disco. Abbiamo i capelli un po’ più grigi, ma stando a Manchester è impossibile non mettersi a suonare, con o senza pioggia», conclude Gill.
P.s.: in tutto il tempo in cui siamo rimasti in città per realizzare questo servizio non è scesa una goccia.