Calabria, le speranze di Riace

Claudio MorelliClaudio MorelliClaudio MorelliClaudio MorelliClaudio MorelliClaudio MorelliClaudio Morelli

La nuova collocazione dei Bronzi può trasformarsi in un momento di riscatto della regione col reddito medio pro capite più basso d'Italia. Ne parliamo insieme venerdì 15 novembre presso il Museo Nazionale della Magna Grecia (piazza Giuseppe de Nava, 26) alle 18.30 per pomeriggio dedicato a Reggio Calabria e alla memorie antiche della città. Moderati da Isabella Brega, capo redattore centrale di Touring, si confrontano Mario Caligiuri, assessore regionale alla Cultura, Rossella Agostino, direttrice del Museo archeologico di Locri, Gennaro Matacena, progettista del restauro e allestimento delle Reali Ferriere Borboniche di Mongiana e Giuseppe Bombino, presidente Ente Parco Nazionale dell’Aspromonte.

Lo sguardo del vecchio è rassegnato, come a dire «Accetto ciò che il destino mi riserva»; il Giovane sogghigna e mostra pettorali da dio perché è con quelli che si affronta la vita. Chiuso nel suo camice Cosimo detto Nuccio guarda i suoi due eroi con amore: «Avevo un cugino che assomigliava al Giovane, un fico che faceva impazzire le donne, se n’è andato presto». L’essere umano muore, le statue sopravvivono. Come il Vecchio e il Giovane, ovvero le statue B e A (460 e 430 a.C.) dei Bronzi di Riace.

Eccoli, i due uomini di metallo, tra le braccia del restauratore Cosimo Schepis che dal 2010 li tiene in cura su due lettini nel laboratorio della sede del Consiglio regionale di Reggio Calabria. Due capolavori dell’umanità trasformati in feticci dalla comunità calabrese che in loro vede il riscatto di una terra depredata da uomini e cataclismi. La salvezza è a un chilometro, sempre a Reggio, in piazza De Nava dove sorge il Museo nazionale archeologico della Magna Grecia. Bianco e monumentale contro il mare cobalto, è stato rimesso a nuovo per dare dignità alle due statue e alle testimonianze delle colonie greche. Qui i nostri eroi approderanno a gennaio del 2014, in una sala dedicata; l’apertura ufficiale del complesso è prevista invece per la prossima primavera.

«È un buon momento qui, per i beni culturali» spiega Simonetta Bonomi, soprintendente per i beni archeologici della Calabria, «scesa» da Padova quattro anni fa per dare un senso a una realtà archeologica ricchissima, ma spesso sconosciuta e abbandonata. «Grazie alla sintonia tra le istituzioni sono stati sbloccati fondi comunitari per 70 milioni di euro. Parte dei quali è destinata a Sibari, Locri, il museo nel castello di Carlo V a Crotone, l’allestimento di sale sotterranee nel Museo della Magna Grecia e la sistemazione di piazza De Nava. Piazza che vorrei chiudere al traffico, ma per questo mi hanno crocifissa».

Terra dura quella di Calabria, basta guardare i capelli della Bonomi, neri appena quattro anni fa, incanutiti oggi. Tra l’incudine e il martello per il ritardo dell’apertura del museo dei bronzi, la padovana di ferro non ha mollato il timone perché crede che la regione possa trasformarsi finalmente in un meraviglioso parco archeologico, da Scolacium a Cirò, da Mileto a Monasterace dove si stanno cercando le risorse anche per il prezioso mosaico dei draghi e dei delfini dell’area archeologica di Kaulon, finito sotto l’ala protettiva del Touring attraverso il Club di territorio di Reggio Calabria e per la cui salvaguardia si è speso pure il presidente del Tci Franco Iseppi.

Il sogno di una nuova Magna Grecia e di un riscatto calabrese è rafforzato anche dall’aumento degli appassionati di archeologia che dal 2010 sono cresciuti di circa il 26 per cento, fino a poco meno di 150mila. Numeri piccoli, ma ecco perché nove milioni dei fondi comunitari sono rivolti ad aziende, cooperative e imprese sociali per valorizzare e gestire i siti archeologici in modo intelligente e accattivante. «Il personale dipendente è sempre meno – dice Francesco Prosperetti, direttore generale dei beni culturali della Regione – bisogna perciò incentivare collaborazioni esterne puntando a qualità ed efficienza. Penso a una rete di siti calabresi dotati di sistemi elettronici per biglietti integrati: così da offrire al turista una visita ragionata della Calabria ai tempi della Magna Grecia e organizzare meglio la forza lavoro che, specie in inverno e nelle aree più piccole, rappresenta uno spreco ingiustificabile di risorse rispetto al numero dei visitatori».

Non manca neppure l’arte contemporanea, obiettivo da qualche anno della Provincia di Ca­tanzaro con le esposizioni del museo Marca che riceve circa 25 mila visitatori l’anno (la mostra Bookhouse, appena terminata, ha superato le settemila presenze). Una nuova identità artistica che ha dato opportunità di lavoro e che, come dice il commissario della Provincia Wanda Ferro, «sarà preservata e valorizzata qualunque sia la sorte riservata alle amministrazioni provinciali».
 

Certo, credere che la cultura da sola rappresenti la soluzione per la crescita di una regione dove lo sviluppo industriale e la politica dell’assistenza sono stati fallimentari e dove il governo del territorio ha contribuito ad alimentare l’onnivora malavita organizzata sembra quasi fantascienza. Del resto non rimane granché su cui puntare: solo 38 persone su 100 hanno un’occupazione e le infrastrutture più che occasione di sviluppo sono un coacervo di malaffare: solo qui c’è una strada – la statale ionica 106 – con ponti risalenti agli anni Trenta del secolo scorso dove si circola a senso unico alternato; solo qui c’è una diga, quella del fiume Menta, che dopo circa 35 anni non è ancora terminata; solo qui non si è capaci di chiudere i lavori della famigerata autostrada Salerno-Reggio Calabria, iniziati nel 1990.

Ci mette la faccia Mario Caligiuri, assessore alla cultura della Regione che, con un filo di voce, auspica una terra che non sia più incendi boschivi o delitti efferati, e un anno zero della rinascita, il 2014, con i Bronzi, il museo e la festa della Varia di Palmi di cui si ventila la tutela come Patrimonio dell’umanità Unesco. «Se si punta all’eccellenza – dice – la cultura può divenire una risorsa decisiva: lo dimostra il successo della mostra a Taverna (Cz) per i 400 anni dalla nascita di Mattia Preti, pittore protagonista del Seicento italiano, con 18mila visitatori e 80mila euro di incasso».

Di un salto di qualità ha bisogno anche la ricettività: la regione conta una miriade di sistemazioni alberghiere (195.068 posti letto, di cui circa 44mila in strutture a 4 e 5 stelle) ma offre uno spettacolo e servizi mediocri. Per questo gli amministratori stanno puntando al suo rilancio, incoraggiati dal risultato che quest’estate il turismo, pur nella crisi generale, ha incassato con una crescita del 4 per cento dei turisti stranieri, secondo stime delle associazioni di categoria. Si comincia con un finanziamento di 50 milioni di euro che consentirà a 105 imprese di riqualificare le proprie strutture o di costruirne nuove. In realtà il sistema avrebbe assoluta necessità di imprenditori illuminati con progetti sostenibili, che diano vita nuova alle realtà esistenti e assorbano nel tempo il mare di cemento che ha imbruttito coste, golfi, capi, borghi e insenature, invadendo l’altro mare, quello vero. Ma questo è un miracolo che si può soltanto auspicare.
 

Un miracolo vero e proprio, che dà qualche speranza ai cittadini e fa intravedere possibili orizzonti positivi, sta avvenendo invece a Belmonte Calabro in provincia di Cosenza, dove in novembre appare nitido all’orizzonte l’arcipelago delle Eolie. Un gruppo di visionari appassionati della propria terra si è riunito in un’associazione e con il recupero di vecchie abitazioni abbandonate ha dato il via al modello dell’albergo diffuso. Una forma di ospitalità rispettosa di ambiente, tradizioni e uomini, che per ora garantisce cinquanta posti letto (ma punta a cento) spalmati tra gli archi e i giardini pensili del paese, celebre per i pomodori dop simili ai cuore di bue e per il gammune, salume Presidio Slow Food.

Ma i calabresi, politici, imprenditori e cittadini, avranno forza, volontà e capacità per guardare al futuro della regione e far sì che la bellezza, il paesaggio, il patrimonio artistico e culturale costituiscano finalmente un’alternativa al degrado, l’abbandono e l’esclusione? «La Calabria è una terra ferita e bellissima – risponde lo scrittore Carmine Abate, premio Campiello 2012 con La collina del vento (edito da Mondadori), che qui è nato e anche nel suo ultimo libro Il bacio del pane evoca la sua terra – se vogliamo che risorga dobbiamo rispettare il suo territorio di cui ogni zolla è intrisa di memoria. Io sono fiducioso e nei miei libri lascio sempre intravedere uno spiraglio di speranza. Certo è che se i politici puntano sui parchi eolici anziché sui parchi archeologici non credo abbiano piena coscienza delle ricchezze calabresi. Per fortuna ci sono persone, tra cui molti giovani, che questa coscienza ce l’hanno. Io credo in loro, in queste minoranze silenziose ma operose che non pensano al tornaconto personale, ma al bene della propria terra».

Fotografie di: Claudio Morelli
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