di Vittorio Emiliani | Fotografie di: Franco Spuri Zampetti
Questo mese Vittorio Emiliani ci guida a Cagli, nelle Marche. Un borgo che ha rappresentato la città ideale del Ducato di Montefeltro. Un patrimonio a misura d'uomo da riscoprire
Basterebbe, come “gioiello di famiglia”, l’impressionante torrione che sovrasta la cittadina di Cagli vicino a Urbino, “firmato” dal senese Francesco di Giorgio Martini (1439-1501) “ingegnaro e architettore” del duca Federico da Montefeltro per il quale curava 130 cantieri contemporaneamente. Risalente al 1481, faceva parte di un autentico sistema di fortificazioni. È il solo sopravvissuto alle devastazioni operate dalle truppe di Cesare Borgia, che demolirono l’intera rocca di avveniristica forma romboidale. Insieme a un paesaggio agrario che, superate le tante, troppe cave di pietra di Gubbio, si presenta ancora verde e antico, esso costituisce una sorta di biglietto da visita di Cagli.
Completamente riedificata dopo l’alto medioevo nel sito pianeggiante del Mercatale, essa si offre con una unitarietà, con una qualità architettonica e urbanistica così rare da far pensare a una Città Ideale. Siamo in pieno Ducato di Urbino, ma Cagli ha una propria storia, ha famiglie ricche di capitali e di orgoglio (Berardi, Mochi Onori, Agostini Zamperoli, Felici, Preziosi Brancaleoni, Tiranni-Castracane). Ognuna col proprio palazzo, per lo più rinascimentale, dalla bella pietra bianca locale. Anche se a svettare è soprattutto Palazzo pubblico, medievale, ma “rivisto” da Francesco di Giorgio su incarico di Federico da Montefeltro, guerriero e intellettuale supremo, e che ha insieme il fascino dell’antico e del “non finito”.
Se l’architettura civile è così ricca, non lo è meno quella religiosa. Le chiese entro le mura sono infatti una ventina. Dal Duomo con portale ogivale quattrocentesco a S. Francesco, romanico-gotica dalla bella abside, a S. Angelo di origine trecentesca, e poi S. Filippo, S. Angelo minore, S. Domenico dove, nella Cappella Tiranni, Giovanni Santi, padre di Raffaello, realizza il proprio capolavoro. Fino a S. Niccolò da poco restaurata, tutta un merletto, con la pala del cagliese Gaetano Lapis (1706-1773) recuperata in Lombardia dalla “razzia” operata dal Regno Italico, da cui ebbe origine Brera. Ma più di trenta sono le chiese foranee, remote e dai nomi curiosi: S. Donato dei Pecorari (quercia e pecora hanno retto coi cereali l’economia antica), S. Martino di Montepaganuccio e soprattutto l’isolata millenaria Santa Maria in Val d’Abisso. Cagli conta poco più di novemila abitanti sparsi su 22.600 ettari (terzo Comune delle Marche), con terre in alta quota.
Un interessante museo archeologico dà conto delle presenze italiche, etrusche, galliche, romane di Cagli, legate alla vicina via Flaminia. Al torrione s’incontrano arte e scultura contemporanea. Ma il “gioiello di famiglia” che voglio segnalare è il Teatro comunale (1876, del perugino Giovanni Santini), con un interno inaspettatamente vasto e ricco. Restaurato alla fine del Novecento, è il cuore delle attività culturali cagliesi. Se n’è innamorato il giovane e valente pianista bachiano Ramin Bahrami, persiano, che vi registra i suoi dischi e tiene master class di piano con concerto finale.