Il Viaggiatore. Occhio al coccodrillo

Gita di famiglia alla scoperta del British Museum e della mostra su Pompei. E ognuno segue il suo “percorso” individuale.

Aspettavo sulla scalinata del British Museum la famiglia del figlio maggiore. Ci incontrammo con largo anticipo: la nuora inglese aveva organizzato il tutto, da settimane, incluso il poster della mostra su Pompei ed Ercolano, appeso sul muro dietro il tavolo dei bambini. L’ingresso era fissato per le tre. Non proprio un orario d’imbarco, ma quasi. Non c’era bisogno di documenti, ma la prenotazione anticipata, la pianificazione del viaggio e il sollievo procurato dall’arrivo ben più che in orario erano abbastanza per ricordare un volo aereo.

Mi è sempre piaciuto aggirarmi per le sale polverose osservando i reperti e leggere le scarne targhette descrittive chiedendomi cosa fossero e immaginando i posti da cui erano arrivati: Mesopotamia, Persia, Sparta. Ma quel giorno oltre ad avere un orario, c’era una tabella di marcia. Con tempo a disposizione e nessun duty free, ci infilammo, come programmato, in una delle sale meno frequentate: la Room 1, la Sala dell’Illuminismo, nell’ala destra del pianterreno. 
Negli anni Settanta, quando visitai per la prima volta The British, come i londinesi chiamano affettuosamente il loro museo archeologico, frutto di donazioni di privati e di acquisizioni più o meno trasparenti, gli oggetti erano per la maggior parte esposti in base alla collezione del benefattore e non per area di provenienza, aumentando la confusione oltre alla curiosità. E così la pompa a vuoto in vetro e ottone del Settecento, usata per dimostrare l’esistenza del volume e del peso dell’aria, è sistemata accanto alla palla di cristallo e allo specchio di John Dee, l’astrologo di Elisabetta I, come erano esposti nella collezione donata al museo. Il pensiero del collezionista vittoriano, che cercava di individuare i gradini della scala del progresso imperiale britannico, è interessante quanto gli oggetti stessi. Le sale sistemate secondo questo criterio lasciano spazio tanto all’immaginazione quanto ai sensi del visitatore.

Room 1 era ancora come me la ricordavo. Oggetti disposti in teche di vetro e sulle mensole che ricoprono le pareti. File di libri con il dorso di cuoio ancora in perfetto stato, con titoli in latino, francese e inglese che formano gran parte della collezione intonsa dei re hannoveriani di madrelingua tedesca. Tra le librerie si trovano alcune fontane romane, i busti dei fondatori del museo e un piede troncato all’altezza del malleolo e calzato in un sandalo. Descritto semplicemente come “piede colossale”, è un enorme piede in marmo di quasi un metro di lunghezza. Se ne sta lì, in netto contrasto con le dimensioni piu “umane” del resto. La statua completa doveva misurare intorno ai quindici metri. Il Piede incanta il suo pubblico, che non può fare a meno di chiedersi a chi appartenesse, se a un uomo o a una donna, quanto alto e perché. Pochi gli indizi.
Lì accanto, alto due metri e mezzo, il Vaso Piranesi. Dai pochi frammenti trovati alla villa di Adriano – una testa di toro, il bassorilievo di un satiro, una zampa di leone – Piranesi ha creato un vaso romano usando la sua fantasia per il resto. Sono gli oggetti meno descritti quelli che più colpiscono l’immaginazione e toccano chi li guarda.
Alle tre in punto entrammo nella Reading Room, trasformata in un padiglione circolare per esposizioni, con un piano sopra ai tavoli di studio e schermi che coprono le librerie. Soltanto le finestre e il soffitto a cupola fanno capire che ci troviamo nella sala in cui Marx, Hayek e Gandhi furono improbabili compagni di banco, a distanza di anni.
Ci incolonnammo per vedere la culla carbonizzata, per osservare il calco in resina della donna morta e provare compassione e orrore di fronte alle forme in gesso della giovane famiglia pietrificata dal calore e dalla cenere del vulcano. I nipotini, curiosi, chiedevano. A volte non avevamo risposte, come quando Frankie – dieci anni – puntò con il dito il piccolo pene di bronzo che spuntava a metà di una colonna di marmo. Mio figlio diede una scorsa alla guida e rispose: «Uno schiavo liberato ha voluto fare questa statua per ringraziare il padrone che gli ha dato la libertà». Ma Frankie era già attratto da altro.

All’uscita mia nuora chiese ai figli cosa gli era piaciuto di più. La risposta di Frankie ci spiazzò tutti. «Il coccodrillo!» esclamò indicando l’angolo a sinistra del timpano del frontone del museo. Incastrato nell’angolo acuto il rettile si affaccia guardando dalla parte opposta rispetto all’angelo dell’Illuminismo che gli offre la lampada della conoscenza. Per un attimo pensai che forse non era servito a nulla portare i nipotini a vedere la mostra. Ma mi sbagliavo. L’importante è che il British Museum continui a suscitare l’interesse di tutti, che sia per un piede colossale o per un coccodrillo. E la mostra su Pompei ed Ercolano non è affatto male.
 

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