di Isabella Brega | Fotografie di: Filippo Mutani
Il bicentenario della nascita del compositore è l’occasione per rivisitare i suoi rapporti con il sulfureo direttore d’orchestra e con quella che per tradizione è considerata la capitale della musica italiana. Una città che è anche sede dell’Istituto studi verdiani e di un importante Conservatorio, di cui fu direttore il poeta e librettista Arrigo Boito. A sinistra, la presentazione di Isabella Brega, autrice del reportage.
Appuntamento il 14 settembre al Teatro Regio per conoscere Touring e il suo rapporto con Parma! (vedi qui a destra)
Si fa presto a dire Verdi. Facile la retorica: il cigno di Busseto, il grande vecchio del melodramma, il bardo del risorgimento, il contadino proprietario terriero, l’uomo di mondo in cilindro e sciarpa bianca ritratto da Boldini. Va pensiero e Viva V.E.R.D.I, squilli di tromba e rulli di tamburi: mito e realtà, agiografia e verità. Il tempo ha decantato e sopito passioni e contraddizioni e questo duecentesimo è l’occasione per analizzare con lucidità l’uomo e l’artista. Studiando anche il suo rapporto con un altro grande, Toscanini, fra i massimi direttori d’orchestra di tutti i tempi. Giuseppe e Arturo: insopprimibile istinto morale, senso aspro e austero dell’esistenza, disciplina e duro lavoro. Piacentini d’origine, emiliani per temperamento: volitivi, ombrosi, ruvidi, sanguigni, alieni ai compromessi e agli eccessi del genio. Venuti da quella Bassa madre e matrigna, ricca di umori e di passioni, cara a Giovanni Guareschi: filari serrati di pioppi, acqua pesante del grande fiume, rami ingemmati dalla galaverna, grasse zolle a pancia all’aria. Terra sfrontata e inquieta, impastata di musica e anarchia, processioni e bestemmie, zanzare e sangue di maiale. Cuore che batte veloce, religione che piega le ginocchia, politica che strozza la voce, donne che fanno ribollire il cervello: la Bassa delle notti sgangherate di Ligabue, del lambrusco di Zucchero, del rombo della Ferrari corre incontro alla vita ribellandosi all’abbraccio mortale dell’orizzonte che schiaccia uomini e animali e fiacca sogni e speranze nella snervante monotonia di rogge livide e campi spezzati dall’afa o accecati dalla nebbia. In un paesaggio rassicurante ma monotono, piatto e opaco, grappoli di cascine covano grandi aie assopite, galline pettegole e porte nascoste da tende di cotonina sbiadite ma aperte, a condividere nozze e funerali. Stradine polverose crepate dalla canicola costeggiano edicole sbrecciate di vergini madri dalle guance rosate ornate di mazzolini stropicciati.
Retaggio di un'antica schiatta contadina, con un droghiere come mecenate, Verdi cosmopolita, che trionfa a Parigi come a San Pietroburgo restituendo a un pubblico internazionale la nostalgia dell’eroico, non rinnega le proprie origini. Non rinuncia al respiro della terra emiliana e costruisce una fortuna economica che lo porta a essere il maggior possidente terriero e il primo contribuente del Parmense. Ed è proprio la villa di Sant’Agata a Villanova sull’Arda, provincia della provincia di una terra di confine, il frutto di undici opere in nove anni, il baricentro di tutto. Qui fra il laghetto, il viale dei platani sul quale sgambetta l’amato maltese Lulù e la ghiacciaia, fra gli impegni politici come senatore, la conduzione delle aziende agricole, gli allevamenti di bovini e bachi da seta e la sistemazione di campi e cascine – «Sono lavori inutili per me... queste fabbriche non faranno che i fondi mi diano un centesimo più di rendita: ma tanto tanto, la gente guadagna, e nel mio villaggio la gente non emigra» – dal 1851 nascono un capolavoro dopo l'altro.
L’uomo non è meno complesso e volitivo del direttore. Una moglie-assistente comprensiva, quattro figli, i migliori sarti, scarpe sempre lucide e acqua di colonia D’Orsay, niente fumo, alcol, gioco. Ma i grandi uomini hanno spesso grandi passioni. Brucianti quelle di Toscanini, per la montagna, per l’arte moderna, ma soprattutto per cantanti e signore bene, come la giovane pianista Ada Colleoni. Arturo non conosce i compromessi e la paura e la sua carriera musicale va di pari passo con le sue prese di posizione politiche, come il suo appassionato interventismo durante la prima guerra mondiale, il rifiuto del nazismo e del fascismo, la simpatia per il popolo ebreo, la fedeltà alla patria. Toscanini dirige concerti per i soldati sul fronte dell’Isonzo e per il neonato Stato di Israele e nel 1931, aggredito per aver rifiutato di eseguire Giovinezza durante un concerto a Bologna, lascia l’Italia per gli Usa, pronti a fargli ponti d’oro per dirigere l’orchestra della Nbc. In quegli anni guadagna più di 100mila dollari netti l’anno, quasi tre miliardi di oggi. Tradito dalla memoria, depone la bacchetta a 87 anni, rifiutando la nomina a senatore a vita per meriti artistici: «desidererei finire la mia esistenza nella stessa semplicità in cui l’ho sempre percorsa» scrive a Einaudi.
Dimentichi dell’ossessione commemorativa, bello affrontare con occhi e cuori nuovi le stazioni del pellegrinaggio verdiano. La modesta casa natale alle Roncole, i palazzi pretenziosi e i porticati densi di ombre e vibranti di luce di Busseto, la villa di Sant’Agata di Villanova sull’Arda: tappezzerie e mobili francesi, giardino all’inglese, parlata larga emiliana. Posti cari all’agiografia verdiana, infarciti di retorica e luoghi comuni, corone di alloro appassite, busti e lapidi, brocantage cimiteriale della memoria e di lontane reminiscenze scolastiche. Luoghi visti non per quello che sono o sono stati ma ridotti a icone celebrative, che rispondono a un generico rimpianto non dell’uomo ma del genio. Grattando sotto la vernice della retorica emergono però la verità di una provincia che da limite diventa epicentro e stimolo, e il colore e il calore di una parabola chiusa musicalmente a ottant’anni dalla vitalità graffiante del Falstaff. Si possono ricostruire i rapporti di Verdi con Manzoni e la pittura storica di Hayez, la sua conoscenza dei drammaturghi europei e dei maggiori esponenti del mondo culturale italiano, il suo gusto del teatro. Ma anche l’impegno politico e sociale da cui nascono l’ospedale di Villanova e la casa di riposo per musicisti di Milano e il suo senso per gli affari. Verdi infatti fu uno dei primi compositori a trattare direttamente con editori e impresari. Stabilì i termini del pagamento e si riservò per contratto la scelta degli interpreti, le modalità delle prove e, con il noleggio della partitura, introdusse il principio del diritto d’autore, precedentemente liquidato con un compenso forfettario che permetteva ai teatri di fare di un’opera ciò che volevano.