di Paolo Rinaldi | Fotografie di: Vittorio Giannella
Sull'isola di Faial, alle Azzorre, capitani, avventurieri, miliardari, turisti e fuggitivi si danno appuntamento al Peter Café Sport, per un brindisi al mare, alle nebbie e al vulcano. Ultimo lembo di terra nella rotta che collega Europa e America del Nord, l'arcipelago portoghese è una destinazione da fine del mondo (in senso letterale)
Basta un nome, in tutto il mondo, per darsi appuntamento nel mezzo dell’Atlantico, nella sperduta isola di Faial, arcipelago delle Azzorre. Il Café Sport (e Peter, il suo proprietario) sono un’icona fissa, luminosa e imprescindibile nei manuali di navigazione dei velisti. Nella loro mente è come un faro che li guida, che provengano dall’Australia o dalla California o dall’Europa dell’Ovest e dell’Est. Sono milioni gli equipaggi che hanno avuto come meta quest’isola e il suo porto di Horta, uno dei luoghi più cosmopoliti e insieme popolari e popolati di variegata umanità. Democratico e civile: lì ciascuno è semplicemente una persona, senza la coscienza di una patria lontana e matrigna, senza il peso di storie civili o familiari, senza il ricordo di lotte e guerre. Tutti liberi nel mare, da cui si proviene, e per alcuni giorni e ore insieme, per dirsi dove si è andati e dove si andrà, in questo mondo che appare meraviglioso dalle banchine del porto, appena approdati o in procinto di spiegare le vele al vento. Per un attimo, è come se l’avventura si fosse condensata in un luogo, in un bar, appunto, divenuto mitico.
Un brano di storia del locale ce lo racconta Peter stesso, l’attuale proprietario, che in realtà si chiama José Henrique Gonçalves Azevedo. «Bisogna risalire al mio bisnonno, Ernesto Lourenço S. Azevedo, proprietario di un bazar di artigianato locale, cappelli e cesti di paglia, pizzi, merletti e altro ancora, attivo già alla fine dell’Ottocento. Nei primi anni del secolo scorso lasciò la vecchia sede e comprò l’edificio che ora fa parte del Café Sport, iniziando anche la vendita di bevande. Nel locale, in posizione privilegiata proprio sul porto, lavorarono anche i suoi figli». Di generazione in genera-zione la storia si dipana, di pari passo con quella dell’isola: prima, negli anni Trenta, base di appoggio dei rimorchiatori olandesi che correvano in aiuto alle barche dei balenieri in difficoltà e alle navi in generale, poi, con la seconda guerra mondiale, punto cruciale di manovre e approvvigionamenti. Il Lusitania trovò rifugio nel porto di Horta con la poppa lacerata da una bomba di profondità, e vi dimorò durante tutto il perdurare del conflitto. «E fu proprio sul Lusitania che nacque il nome Peter (nessuno di noi si era mai chiamato così in famiglia). José Azevedo, mio padre, aveva quindici anni all’inizio della guerra. A bordo del Lusitania vi era un ufficiale che l’aveva preso a benvolere, e gli piaceva chiamarlo con il nome del figlio lontano» racconta José Henrique.
I soprannomi sono dotati di una forza che li rende potenti: José divenne Peter e di conseguenza anche il suo bar. Peter, ovvero l’ormai compianto José Azevedo, cominciò poi a fare affari con la marina militare americana quando questa, di là, doveva per forza passare e fermarsi per i rifornimenti, prima di sbarcare in Normandia o in Sicilia. Finiti i periodi delle navi a carbone, delle avventure degli idrovolanti e dei viaggi transatlantici, e passate le notti di blackout durante la seconda guerra mondiale, a partire dagli anni Cinquanta del secolo scorso i velisti cominciano a visitare Faial e il Café Sport si guadagna una fama senza confronti. L’ospitalità è stata sempre il suo marchio di fabbrica, rendendolo riparo preferi-to dagli equipaggi dei velieri e degli yacht, allora considerati alla stregua di avventurieri, che a Faial facevano scalo.
Dal 1975, con José Henrique Gonçalves Azevedo detto ovviamente Peter, il Café Sport, o Peter’s, come è meglio conosciuto, assiste senza scomporsi alle sfilate dei più grandi navigatori del mondo, di molte celebrità e di una moltitudine anonima che qui continua a trovare riparo e ristoro. I marinai e gli skipper di tutto il mondo si fermano a bere un mitico gin tonic, dopo aver attraversato l’Atlantico, e senza tralasciare poi di aggiungere un nuovo dipinto all’ormai gigantesco e chilometrico murale che decora le banchine in cemento del porto di Horta. Giovani vichinghi e vecchi lupi di mare, famiglie con bambini al seguito e navigatori solitari, tutti sono stati segnati nell’animo dalla magia del luogo come fosse un polo ma-gnetico capace di attrarre da vicino e da lontano.
horta e faial non sono solo tesori per marinai e naviganti. Anche chi ama camminare per scoprire un territorio e conquistare una bella vista qui trova polvere per le sue scarpe. Quinta per grandezza tra le nove isole principali dell’arcipelago delle Azzorre, Faial è posta sopra una faglia vulcanica in perenne attività, che nei secoli ha disegnato il profilo di questi avamposti d’Europa sparpagliati in mezzo all’Atlantico, a un terzo della rotta tra il Vecchio Continente e l’America. Faial è dominata all’interno dal cono vulcanico della Caldeira, che con la sua cima più elevata, il Cabeço Gordo, raggiunge i 1043 metri d’altitudine. Salire sulla vetta del Cabeço Gordo è a portata di chiunque abbia dimestichezza con un’escursione in montagna, ma la guida è indispensabile perché una parte dell’ascensione è quasi sempre tra la nebbia ed è necessario avere qualcuno che conosca bene la via, oltre a saper indicare le tante piante endemiche, arricchendo l’esperienza. Sempre in tema di vulcani, da non mancare la visita all’enorme Caldeira: un cratere spento di oltre due chilometri di diametro e profondo trecento metri e anche al golfo adamantino, formato dalle due Caldeirinhas do Inferno (uno spettacolo straordinario dalla sommità del Monte da Guia).
C’è poi Capelinhos, l’ultimo arrivo, nel senso che, una volta, il limite occidentale di Faial era fissato al faro di Capelo. Poi, nel 1957, il mare lì davanti ha cominciato a ribollire e in pochi mesi la natura vulcanica di queste parti ha fatto emergere dalle acque un’ulteriore appendice all’isola: un parto di fuoco che ha costretto all’emigrazione un paio di comunità locali. Anche qui, la visita alla punta, magari preceduta da quella al piccolo museo, ospitato nel primo piano del faro, semisommerso dall’eruzione, è da non perdere.
Vulcani o no, l’emigrazione è sempre stata nel destino di queste terre. Passeggiando per Horta, il capoluogo dell’isola, si rimane stupiti da quante case espongano con orgoglio la bandiera a stelle e strisce. Chiuse undici mesi l’anno, sono di proprietà di azzorriani emigrati che ad agosto tornano al villaggio per fare sfoggio del raggiunto benessere e spesso di una famiglia che mastica lo slang della costa est. Perché da sempre gli abitanti delle Azzorre sono andati in America, soprattutto nelle città costiere del Massachusetts, Nantucket e New Bedford, i porti dove è ambientato Moby Dick. Quelli in cui gli abili marinai portoghesi si imbarcavano sulle baleniere e attraversavano l’Atlantico rischiando la vita per inseguire uno sbuffo. Lo scrive anche Melville in un capitolo del suo capolavoro: «Non pochi fra i cacciatori di balene sono ori-ginari delle Azzorre, dove le navi di Nantucket, che si dirigono verso mari di-stanti, attraccano spesso per aumentare il loro equipaggio con i coraggiosi contadini di queste coste rocciose. Non si sa bene il perché, ma la verità è che gli isolani sono i migliori cacciatori di balene».
La tradizione baleniera qui è rimasta viva fino agli anni Ottanta. L’ultimo cetaceo venne ucciso un venerdì di novembre del 1987, dalla compagnia di balenieri di Pico, l’isola di fronte a Faial, che dista giusto il tempo di una breve traversata. Per questo lo stretto di mare che le divide costituisce il luogo perfetto per il whalewatching, l’osservazione dei cetacei. In queste fredde acque ne passano 24 specie, dalla balenottera azzurra, il più grande animale della Terra, ai capidogli e ai delfini. Per documentarsi sulla tradizione baleniera, il luogo più adatto sull'isola di Faial è il curioso Museu do Scrimshaw, dove potrete ammirare una notevole collezione di opere incise su denti di capidoglio.
Faial deve il nome all’abbondanza di faia, il lauro originario delle Canarie, qui importato come altre specie vegetali. I campi e i pascoli sono divisi da chilometri di siepi di ortensie che da maggio a luglio fioriscono colmando Faial di colore. L’isola non è molto estesa, ma, nel suo piccolo, non lesina meraviglie naturali. Straordinario lo spettacolo dei neri scogli vulcanici perennemente fru-stati da acqua e spuma, e delle falesie a picco tra il verde brillante delle colline e il blu profondo dell’Atlantico.
Se andrete a Faial, è probabile che molto del vostro tempo lo passerete a Horta: le facciate dei suoi palazzi, in gran parte risalenti al XVIII e al XIX secolo, sono un esempio di eccezionale architettura. Affascinante il minuscolo borgo di pescatori di porto Pim, dove Antonio Tabucchi ha ambientato in un bote, una specie di osteria locale, il suo racconto Donna di Porto Pim. Ma gli appassionati di atmosfere letterarie abbandonino subito la loro impresa: non esiste più alcuna vecchia taverna a porto Pim. Se cercate l’atmosfera da avamposto sulla fine del mondo oggi dovete per forza andare da Peter, al Café Sport.