Ritorno a Calcata

Paolo SimoncelliPaolo SimoncelliPaolo SimoncelliPaolo SimoncelliPaolo SimoncelliPaolo SimoncelliPaolo SimoncelliPaolo SimoncelliPaolo Simoncelli

Sono passati quarant'anni da quando un gruppo di artisti italiani e stranieri scelse come rifugio questo borgo medievale abbandonato a mezz’ora da Roma. Ancora oggi vivono su questa rupe, rinata, dove - soprattutto grazie a loro - fioriscono ristoranti, negozi, b&b e gallerie d’arte. E dove sventola la Bandiera arancione Tci

La prima volta è stata per curiosità. Come molti, volevo capire che cosa ci fosse di vero nelle leggende di Calcata, che cosa ci fosse di autentico nel borgo degli artisti. Non sono rimasto deluso. Anzitutto, ho scoperto che ci sono due Calcata, quella vecchia, che è il borgo che tutti visitano e di cui tutti parlano, e quella nuova, un paese tutto sommato normale, che vive di luce riflessa e più spesso resta in ombra, poiché i due centri non sono così vicini, per spostarsi serve l’automobile e nessuno (o quasi) dei turisti di Calcata vecchia va a visitare anche il paese nuovo.
Sulla rupe oggi vivono una sessantina di persone. Un terzo sono italiani, nessuno è nato qui. Sono arrivati tra la fine degli anni Settanta e gli anni Ottanta. Allora Calcata stava morendo, spopolata. Costantino Morosin, pittore, scultore di Castelfranco Veneto (Tv), è stato uno dei primi. Quelli della rinascita. Quelli del mito del muratore Pasquale e della città degli artisti.

«Di ritorno dall’Africa, dove ero andato per girare documentari di antrolopogia sociale, un giorno da Roma capitai qui ed ebbi come una visione: la Storia affiora dappertutto. Sotto quella che poi divenne casa mia, ho riscoperto e collegato quattro livelli di grotte che risalgono al 700 a.C». Assieme a un gruppo di dieci artisti Morosin acquista e ristruttura le abitazioni del centro storico abbandonate. Pasquale è il muratore che lo aiuta, che aiuta un po’ tutti. Lavora spesso da solo e non ha grandi pretese economiche. Spesso si ferma la sera a bere qualcosa con i nuovi cittadini di Calcata. Nasce così la leggenda del muratore che ha ristrutturato tutto il paese da solo, facendosi pagare in vino e non in lire. Ma è, appunto, una leggenda. Di vero c’è che in vent’anni queste poche persone hanno messo in sicurezza il borgo sobbarcandosi lavori di consolidamento e chiodatura, scongiurando rischi di crolli.

In quegli anni arrivano jazzisti, architetti, burattinai, attori e anche Anna Demyttenaere, pittrice e scultrice belga. Insieme a Morosin nel 1994 crea il museo d’arte naturale Opera bosco, un percorso di installazioni realizzate con materiali trovati sul posto e visitabile tutto l’anno: basta chiedere a lei, o a lui, o anche andarci da soli seguendo le indicazioni per la località Colle. Spiega Anna: «La straordinaria anomalia del borgo medievale di Calcata è quella di contenere, in un piccolo e suggestivo spazio, un’altissima concentrazione di artisti. Tale caratteristica va salvaguardata e promossa». Per questo è nata un’associazione senza scopo di lucro, Calcata Borgo Medievale, che mette in rete tutti gli artisti e gli artigiani del borgo.

All’epoca arrivò anche Giancarlo Croce, insegnante, fotografo e pittore. Racconta: «Un’amica mi disse, ho una casa vuota a Calcata, perché non vai a vederla? Ti piacerà... e come è successo a tanti, è stato un colpo di fulmine, perché Calcata è così: o scappi subito o te ne innamori».
Questa, grosso modo, è la storia della rinascita di Calcata vecchia, arroccata su un minuscolo sperone tufaceo nel Viterbese, Bandiera arancione Tci. Arrivarci da Roma, basta un’ora. Venire via, è tutta un’altra storia. Per capirla, però, ho voluto tornarci.

La seconda volta è stata per vedere che cosa c’è dietro, anzi, sotto. Non solo metaforicamente: il sottosuolo è traforato, ci sono case che scendono per decine di metri nel tufo. Volevo aggirare gli stereotipi, trovare una mia Calcata che non fosse uguale identica quella descritta nelle guide. Volevo capire se e che cosa avevo capito la prima volta. E non avevo capito molto, onestamente. Anzitutto, non avevo capito che qui nessuno si nasconde, si chiama fuori, si dedica a uno snobistico buen retiro lontano dal mondo e dalle modernità. Dice Morosin: «Io faccio lo scultore perché la gente deve avere oggetti tra le mani. Ma sono fondamentalmente uno studioso, ho dedicato la mia vita allo studio». Certo, nessuno usa il cellulare a Calcata: ma è perché non c’è campo. Ma tutti hanno internet, il tablet, e usano Facebook o Instagram.
Passato ancestrale e presente futuribile trovano un senso comune nella Porta segreta, la galleria d’arte collettiva che Giancarlo Croce ha aperto nel ventre di Calcata: 62 gradini scendono nella roccia tufacea a raggiungere un ipogeo probabilmente di origine etrusca. «La apro solo la domenica pomeriggio, quando ci sono i turisti, ma tutti possono vederla su Facebook». Tra i lavori di Croce suscitano particolare meraviglia i disegni anamorfici, di cui avete un esempio nella foto. «All’epoca questi disegni erano quasi visti come magia, ed erano talvolta utilizzati per trasmettere messaggi cifrati, criptati. Affascinato da questa tecnica diffusa nel Quattro e Cinquecento, e poi praticamente scomparsa, ho voluto risuscitarla».

Un’altra cosa che ho capito è che non ci sono solo due Calcata, quella che tutti visitano e quella indecisa tra l’invidia per il fratello viziato dai genitori e l’orgoglio di chi può dire siamo lo stesso paese. Ce ne sono molte di più.

Ce n’è una per ogni «anziano» artista della città vecchia. Perché ognuno di coloro che è qui da 40 anni, cioè da quando Calcata vecchia è diventata «il borgo degli artisti», ha un suo mondo, una sua Weltanschauung, le sue amicizie indistruttibili e i suoi rivali acerrimi. Nessuno ha perso la propria identità: Croce, marchigiano di Treja, ha conservato l’inflessione; Morosin ha mantenuto inalterato quel morbido accento veneto. E spiega: «Sto attrezzando uno spazio dove sia possibile portare avanti una ricerca creativa. Abbiamo avuto il consumismo di massa, perché non potremmo avere la creatività di massa? Diamo ai giovani gli strumenti per creare e per conoscere, conoscere anzitutto la bellezza della natura che li circonda: la ameranno e la proteggeranno. C’è in ballo il futuro, un futuro più loro che nostro».

Ho capito che gli «anziani» sono ancora quasi tutti qui, e i «giovani», quelli arrivati negli anni Novanta, quando Calcata era trendy, l’alternativa country alla mondana Capalbio e attirava turisti come il miele le mosche, quelli che hanno aperto mille negozi di souvenir tutti uguali, piccole botteghe artigiane e qualche galleria sperando di diventare ricchi, quei giovani, son durati pochi anni. Perché questo è un luogo duro e forte. Vivere qui non è facile, perché il borgo è freddo, umido e oltretutto costantemente da monitorare, per evitare che piccole frane o smottamenti vadano a minare la stabilità di una casa, dell’intero abitato.
Chi è arrivato qui e poi è rimasto, l’ha fatto perché è duro e forte e solitario come queste rocce, come le ombre che anche d’estate calano presto fra le stradine strette. Ma non è ostile: la gentilezza che ho trovato a Calcata è stata memorabile. Morosin (nella foto) mi ha aperto la sua casa – una casa che è un’opera d’arte, primitiva e viva, a sua volta ricolma di opere, sue e di amici calcatesi –. Del resto, anche gli eremiti non cacciavano i visitatori, se questi andavano da loro per osservare e imparare: cacciavano i disturbatori. Ecco, un cartello che starebbe bene all’ingresso di Calcata è «Non disturbare».
Aggiunge Croce: «Amo creare, sperimentare, ma preferisco la zappa al computer. È una scelta fatta tanti anni fa e non torno indietro». Come è lontana dal resto del mondo, Calcata.  

Fotografie di: Paolo Simoncelli
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