Sicilia dentro

Diego OrlandoDiego OrlandoDiego OrlandoDiego OrlandoDiego OrlandoDiego OrlandoDiego OrlandoDiego OrlandoDiego Orlando

Da Messina fino a Naro, nell’Agrigentino, attraversando i monti Peloritani, i Nebrodi e le Madonie. Un lungo viaggio tra le montagne dell’isola, su strade secondarie e poco battute per scoprire paesi dai nomi poetici, paesaggi inaspettatamente verdi e cime sconosciute 

È un'isola, ne ha quattordici intorno. Tre mari ne bagnano il perimetro su millecinquecento chilometri di coste. Le cinque città più popolose hanno tutte un porto. La Sicilia non è però solo regione di mare. È una terra di terre che il mare, quando lo vede, lo vede da lontano e dall’alto, con più cielo e rocce che onde e sabbia. Touring s’è messo in moto – letteralmente – su e giù per valli, monti, colline della Trinacria. Facendo il pieno di portelle, fiumare e valichi per seguire un «diktat orografico» facile da rispettare e generoso in ciò che, imponendo, regala. Segue l’Appennino Siculo lungo le sue catene (i Peloritani, i Nebrodi e le Madonie) e scende poi dai monti Sicani alla piana di Caltanissetta dove sono i rilievi isolati a stagliarsi su piane e colli. Tutto su strade in buone condizioni, niente exploit alla portata di pochi.

I Peloritani sono il prolungamento dell’Aspromonte oltre lo stretto. Monti a tutti gli effetti, aspri, asperrimi, per i messinesi sono colli. Il demanio forestale parla del «profilo di tormento» di questa catena e di una genesi della sua morfologia stropicciata che testimonia «sconvolgimenti apocalittici». L’epica va ricondotta alla ragione cartografica, il lessico smorzato. Non semplice ché a guardarli su una carta paiono un piedistallo su cui montare e godere di una vista su Calabria, Eolie e Ionio. Esaminando le stesse carte ci si rende però conto che i toponimi sono scarsi e le strade sparse. È un groviglio di dirupi, crinali, burroni et similia. Si fa fatica a capire come si arrivi alla linea di cresta, da zero metri sul lungomare ai novecento della dorsale.

Il verde c’è, ma lotta per radicarsi e resistere, alieno e ostinato. Introdotto per combattere il dissesto idrogeologico, è il risultato dell’incessante sfida per piantumare terreni sconnessi che delle foreste originarie conservano ridotte ma valide testimonianze. Una su tutte: Antinnamare. Sui Peloritani arbusti ispidi guarniscono steppe con i resti dei fortini umbertini persi sulla scena. Eretti troppo tardi e abbandonati troppo presto, altrove sarebbero avamposti che troneggiano su guglie e fessure. Qui sottolineano l’asperità del territorio piuttosto che stagliarsi su di esso. Si tratta di una dozzina di manufatti che il Regio Esercito d’Italia ha costruito tra il 1882 e il 1892.

Sul versante ionico valgono una visita Casalvecchio Siculo – per la chiesa dei Ss. Pietro e Paolo, compatto compendio di architettura normanna, bizantina e araba – e la vicina Savoca per due curiosità: una pop (sulla piazzetta con vista sulla valle Francis Ford Coppola ha girato la scena del rinfresco nuziale de Il padrino) e una pulp (la curiosa collezione di notabili mummificati e vestiti con velluti e sete d’epoca nell’ex convento dei Cappuccini). Lungo quello tirrenico i pendii che scendono tra Villafranca e Barcellona Pozzo di Gotto invitano a usare i freni di continuo: per non prendere velocità (tutte le strade qui hanno fretta di raggiungere il mare) e per fermarsi a guardare il paesaggio che ci si è appena lasciati alle spalle. La sottile striscia prima della costa è ingombra di case, traffico, persone. E grappoli delle uve, bianche e rosse, da cui si ricava il mamertino, una delle tre doc del Messinese e «nella top five della classifica enologica che nel­l’Impero Romano si stilava» assicura Ruggero Vasari, primo produttore del mamertino e ideatore degli Itinerari del gusto della zona. 

Dai Peloritani ai Nebrodi la transizione è netta, la geologia cambia e sorprende: schiude le porte di una Sicilia diversa. O graduale, se si segue il profilo delle dorsali. Selve di pale eoliche ne hanno martoriato le creste, alimentando un business controverso sotto il profilo ambientale e opaco sotto quello della legalità. Hanno preso il posto dei grifoni, dei lupi restano più racconti che tracce. Non sono solo i rapaci e i totem del vento a segnare il paesaggio. Si possono comporre itinerari archeologici lungo le costellazioni di tholos (le tombe a cupola di epoca greca) o seguire le suggestioni linguistiche del dialetto gallo-italico siculo parlato a Nicosia e Sperlinga, borghi che valgono un viaggio a sé per la bella strada che li collega. Il secondo merita una visita alle case rupestri e alla fortezza-castello, incastonata su un costone roccioso.

L’avvicinamento ai Nebrodi si completa, un sipario si spalanca e la retorica da fuori luogo si fa quasi inadeguata. Un pigmento di clorofilla su quattro in Sicilia si trova sui Nebrodi, scrigno verde d’alta quota. Non si tratta solo di quantità ma soprattutto di varietà. Due esempi: custodiscono le uniche foreste di tasso nell’isola e le faggete più meridionali al mondo. Freddo e neve d’inverno, fresco senz’afa d’estate, nebbia più spesso di quanto si pensi. Piogge occulte, condensazione lenta e deflusso graduale delle acque meteoriche fanno il resto. Il tutto modella (e si modella su) un paesaggio argilloso e ondulato. Sale a 1847 metri col monte Soro, scende al Tirreno lungo fiumare tortuose e scenografiche, avvolge picchi e gole con un manto che miscela macchia mediterranea a pascoli, prati e boscaglie. Quand’è il calcare a dominare tutto cambia: la scena si fa aspra e spigolosa, il paesaggio dolomitico. L’esempio migliore sono le Rocche del Crasto, accessibili a rapaci ed escursionisti esperti. Tra quelle guglie di pietra vicine a Longi, piccolo Comune che vale una lunga sosta, e a Cesarò, i Nebrodi sublimano la propria unicità tra i boschi di Mangalaviti (un trattato di botanica in 3D, denso e iperreale) e il lago Biviere, zona umida di valore naturalistico straordinario.

I Comuni del Parco sono due dozzine, impossibile sceglierne i pochi con cui ornare questo verde drappo roccioso, cucito tra Madonie e Peloritani, con le frange nel mare e qualche lembo sulle gole dell’Alcantara. Meglio limitarsi a Santo Stefano di Camastra, epicentro della ceramica (campeggia dalle bancarelle alle lapidi del cimitero) e Floresta, nel cuore di uno degli itinerari più belli dell’Appennino. Decine di curve in una manciata di chilometri salgono e scendono regalando scorci superlativi lungo due circuiti: uno passa per Raccuja e San Piero Patti, l’altro per Montalbano Elicona e Tripi. Chi ha tempo in più lo dedichi alla riserva Bosco di Malabotta, un ecosistema di rocce dalle forme curiose con una biodiversità più intatta e ricca che altrove.  

Il tris delle catene si completa con le Madonie. Qui la geologia ha lavorato al servizio del turismo, innalzando un palco di monti su Cefalù. Le comunità si sono date da fare e la microgalassia di sentieri, piste da sci, itinerari culturali e intrattenimento si fa sempre più ricca. Sostenuta da un’offerta ricettiva di qualità, è scandita da borghi di grande interesse con le vestigia dell’antica Himera e quelle più recenti della Fiat a Termini Imerese ai piedi. E il massiccio del Carbonara, con le vette siciliane più alte dopo l’Etna, intorno. Seguiamo il circuito della Targa Florio che partiva e terminava a Floriopoli: Isnello coi merletti, le sperimentazioni artistiche e il mondo sotterraneo di grotte e pertugi carsici; Castelbuono (nella foto) per la cappella Palatina del castello e i dolci di Fiasconaro, glassati di manna; Geraci Siculo e le due Petralie (Sottana e Soprana), condensati di chiese, storie e vicoli in posizioni scenografiche; Polizzi Generosa e Cerda per la gastronomia (dolci e carciofi, rispettivamente).

Il percorso si snoda verso sud e il centro dell’isola, dai Sicani verso l’Agrigentino e il Nisseno. Si parte da Portella della Ginestra – teatro del massacro del 1° maggio 1947, prima strage dell’era repubblicana – alla periferia di Piana degli Albanesi e ci si muove, costeggiando il Bosco della Ficuzza e Rocca Busambra, verso Corleone. Le strade che seguono il Belice conducono, tortuose e meravigliose, a Bisacquino, passando per Contessa Entellina. Sono zone di gessi, vitigni e viste quasi irreali sulle rocche di un entroterra prezioso. Da palazzo Adriano, culla delle avanguardie culturali siciliane e set di «Nuovo Cinema Paradiso», ci si muove lungo la piana del Platani e verso le ultime due tappe: Sutera – Bandiera arancione Tci, l’unica dell’isola – è una rocca enorme con un paesino sotto, o viceversa. È la città natale di Francesco Salamone, protagonista della disfida di Barletta, condottiero e rubacuori, come narrano le cronache. Su tutto si staglia il santuario sulla sommità del monte San Paolino, il patrono. Naro ha un’aria senza tempo, indolente eppure viva e ricca. Custodisce quasi distratta un patrimonio barocco notevole, ennesimo punto di arrivo o partenza di una Sicilia diversa. Interna e interiore, alta e altra.  

Fotografie di: Diego Orlando
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