di Tino Mantarro | Fotografie di: Charlie Mahoney/Corbis,Alan Powdrill/Getty Images,Tania A3/Contrasto,Lorenzo Meloni/Contrasto
Una ricerca realizzata dal Centro Studi Tci e Conai (consorzio nazionale imballaggi) dimostra che nei Comuni turistici durante l’alta stagione la produzione di rifiuti aumenta mentre la raccolta differenziata crolla. Le amministrazioni hanno l’obbligo di migliorare: ecco il decalogo redatto dal Touring e Conai
Lattine di coca-cola come briciole di pollicino. In Nepal, secondo quel che raccontano gli alpinisti che l’hanno percorso, il trekking dell’Annapurna era un tempo segnato da una lunga striscia di lattine gettate ai bordi del sentiero dalle spedizioni di passaggio; al punto che il tratto tra Pokhara e Jomson – forse il più battuto – è stato ribattezzato «the Coca-Cola Trail». In Italia non siamo ancora a questo livello e forse mai lo saremo, però è innegabile che nei periodi di alta stagione le capacità di resistenza dei sistemi di raccolta rifiuti delle località turistiche vengono messe a dura prova. E spesso non reggono l’urto. Del resto non è certo un mistero che tante delle nostre città, da Napoli a Palermo per restare ai casi più eclatanti, abbiano notevoli problemi nella gestione del ciclo dei rifiuti in tempi normali, figuriamoci in momenti di picco turistico, quando quello che gli studiosi chiamano «carico antropico» esplode. Per questo Touring Club Italiano e Conai, il Consorzio nazionale imballaggi, hanno dato vita a un progetto congiunto per approfondire il rapporto tra turismo e produzione di rifiuti, in modo da poter meglio capire i termini della questione e poter agire sensibilizzando operatori e turisti sull’importanza di adottare comportamenti virtuosi.
Che il rapporto tra turismo e rifiuti fosse stretto e assai problematico non è certo una scoperta recente. Già nel 1993, tra i principi enunciati dall’«Agenda 21 dell’industria turistica» redatta dal World Travel & Tourism Council, si elencavano «la riduzione dei consumi e della produzione dei rifiuti», sottolineando come fosse imprescindibile per le aziende del settore tendere alla «minimizzazione dei rifiuti prodotti, al riuso e al riciclo». Uno sforzo che da allora è stato ribadito e ripreso in tutte le sedi e in tutti modi, anche in Italia. La Carta di Rimini, approvata in occasione della prima Conferenza internazionale sul turismo sostenibile nel 2002, include indicazioni a favore dell’innovazione del prodotto turistico con l’introduzione di criteri di sostenibilità e la riduzione dell’impatto causato dal turismo stagionale e di massa. Ma per capire come intervenire occorre prima sapere. Ecco dunque la ricerca «La raccolta differenziata nelle destinazioni turistiche», realizzata dal centro studi del Tci e da Conai.
Uno studio che ha preso in esame cinque territori pilota, scelti per rappresentatività geografica e tipo di offerta turistica. Si va dalla val di Fassa, in Trentino, tempio del turismo montano, alla zona dell’Alto Garda/Ledro per il comparto lacustre; scendendo a Pisa, scelta come destinazione culturale; fino a toccare la costa della provincia di Latina (la riviera d’Ulisse) e il comune di Ostuni, che invece sono esempi significativi di destinazioni balneari. «Quel che emerge è piuttosto chiaro: la produzione di rifiuti è direttamente proporzionale alle presenze turistiche, più visitatori arrivano maggiore è la quantità prodotta e questo a prescindere dalla tipologia di destinazione e dalla specifica offerta turistica» spiega Massimiliano Vavassori, direttore del centro studi Tci. Così se nel mese di novembre in val di Fassa si raccolgono 420 tonnellate di rifiuti, nel mese di agosto, in alta stagione, si arriva a picchi di oltre 1.200 tonnellate.
Una proporzionalità che si inverte se parliamo di quota di raccolta differenziata sul totale: più turisti ci sono, meno si differenziano i rifiuti. A Pisa, dove nei mesi di bassa stagione la differenziata supera il 44 per cento, durante la stagione turistica scende al 36. Mentre nell’Alto Garda/Ledro si mantiene comunque sopra il 50, calando dal 59,2 per cento di novembre al 53 di agosto. Anche in situazioni assai virtuose come la val di Fassa, dove nei mesi non turistici la raccolta differenziata supera il 70 per cento dei rifiuti prodotti (in Italia la media è del 35,3, con picchi in Trentino Alto Adige, 57,9, e Veneto, 58,7) nei momenti di alta stagione il dato cala drasticamente. E se a Fassa si riduce a un pur notevole 61,8 per cento, segno che le politiche adottate comunque funzionano, a Ostuni cala a uno sconfortante 6 per cento da un dato non lusinghiero del 15-20 per cento nei mesi non turistici. Per quest’ultimo caso, come del resto per Sabaudia nella riviera di Ulisse, va segnalata una nota positiva: la recente introduzione di un nuovo ed efficace sistema di raccolta differenziata a partire dal 2012 ha permesso a queste destinazioni di raggiungere in pochi mesi performance simili ai casi studio trentini.
In sintesi, i dati confermano l’impatto sostanzialmente negativo del turismo sul sistema di raccolta differenziata dei rifiuti delle località studiate. E questo nonostante la ricerca metta in evidenza come in media i turisti producano giornalmente una quantità di rifiuti pro capite minore dei residenti. Con un valore che oscilla dagli 0,8 chili di chi sale in val di Fassa agli 1,2 chili di chi visita l’Alto Garda/Ledro.
E allora come agire? Gli attori da coinvolgere sono diversi. Se da un lato occorre un’adeguata campagna di sensibilizzazione dei turisti, dall’altro è necessario coinvolgere il più possibile le strutture alberghiere. Che spesso si sono dimostrate più avanti delle proprie amministrazioni, come dimostra l’hotel Royal di Napoli. «Dal 2008 abbiamo progettato e implementato un sistema di gestione ambientale specifico, il cui asse portante è l’adesione alla logica delle 3R: la riduzione dei rifiuti alla fonte, il riciclo dei materiali raccolti in modo differenziato e il recupero energetico» spiega il direttore generale, Luca Picone. Fatto il primo passo, l’hotel ha aderito al movimente Zero Waste. Ma senza l’azione delle amministrazioni locali per coordinare le differenti politiche si rischia che gli sforzi dei più intraprendenti vengano vanificati.
Per questo tci e Conai hanno elaborato un decalogo rivolto alle pubbliche amministrazioni dei Comuni turistici, responsabili ultime di una corretta e virtuosa gestione del ciclo dei rifiuti. Le amministrazioni sono esortate a dedicare un’attenzione specifica al turista, che deve essere destinatario di politiche di sensibilizzazione mirate, perché non è detto che a casa sua sia abituato a differenziare. Per farlo è necessario innanzitutto monitorare i flussi turistici in modo da calibrare gli sforzi e favorire il dialogo tra le differenti parti dell’amministrazione. Ma sarebbe innanzitutto necessario omogenizzare le modalità di raccolta locale, perché non è possibile che quel che a Milano finisce nel sacco giallo a Fassa finisca in quello blu, a Roma in quello verde e a Ostuni in quello nero. Il turista si trova perlomeno disorientato. Occorre poi sensibilizzare gli operatori turistici locali, perché sono loro la prima interfaccia con i visitatori e possono contribuire positivamente al buon funzionamento della raccolta.
Ma la battaglia passa anche dall’informazione. Se non si spiega ai singoli che ogni azione ha una conseguenza e che il mancato rispetto di piccole regole di buon senso genera, su larga scala, problemi ambientali enormi, difficilmente si riusciranno a ottenere i risultati sperati. Senza il coinvolgimento attivo del turista e la sua progressiva responsabilizzazione non si va lontano. Anche se, come sottolinea il decalogo, una volta convinto al turista va semplificata la vita, perché se la ricerca del cassonetto giusto diventa una caccia al tesoro succede che il vacanziere getta tutto dove capita e le buone politiche finiscono nel cestino. Uno sforzo che va intrapreso subito. Prima che qualcuno ribattezzi uno dei nostri tratti di costa, «la riviera dei rifiuti».