di Paolo Galliani | Fotografie di: Monica Vinella
Capitale europea della cultura? L’occasione che serviva perché Marsiglia, città portuale per eccellenza, riuscisse a darsi una bella ripulita: fabbriche abbandonate, depositi vuoti, moli deserti, tutto è stato sottoposto al «riciclaggio architettonico». Et voilà, l’arte ha magicamente trasformato – in meglio – la seconda città di Francia.
A Marsiglia l’inverno non si addice. Meglio la primavera: il sole già tiepido, il vento di maestrale che pulisce l’aria. E adesso c’è anche il 2013 che è molto più di un pretesto. Non capita spesso di diventare Capitale europea della cultura: è l’occasione giusta per riscattare zone depresse che chiedevano solo di tornare a vivere, di portare l’arte all’aperto, fuori da musei, gallerie e pinacoteche. Lo chiamano «riciclaggio architettonico» a Marsiglia, con un vago valore ecologico.
Ma l’idea è buona. Tutto diventa risorsa: le fabbriche abbandonate, i moli disertati, i depositi sventrati. Perché non c’è niente di più apprezzato di un hotel firmato Philippe Starck che offre design e tendenza a prezzi contenuti in un defilato quartiere popolare; di un ristorante ricavato sotto le volte di una ex fabbrica; di un teatro sperimentale in un magazzino dismesso.
L’arte ha il potere magico di colorare il grigio e il grigiore. Lo si intuisce alla stazione St.-Charles, un tempo malandata e oggi moderno terminal dei Tgv che portano a Parigi in poco più di tre ore; a La Friche, ex manifattura di tabacco del quartiere Belle de Mai, riqualificata come contenitore di studi per artisti e spazi per festival; o di fronte al mare, dove il vecchio silo per lo stoccaggio dei cereali, destinato a essere abbattuto, è stato invece recuperato come Le Silo, sala per spettacoli da duemila posti, a poca distanza dall’elegante grattacielo asimmetrico di Zaha Hadid già ultimato e da quelli che devono ancora crescere, disegnati da Jean Nouvel, Yves Lion e Jean-Baptiste Piétri.
Effetti speciali per una Marsiglia speciale, piena di vuoti e di correnti d’aria, dove niente è quello che sembra e in fondo ogni cosa può essere il suo contrario. E intanto nulla è più come prima. Lo sosteneva l’architetto Éric Castaldi, anni fa, tra i profeti del progetto Euroméditerranée, nel presentare la metamorfosi dei Docks de la Joliette in un fotogenico contenitore di boutique, ristoranti, gallerie d’arte. «Il disordine può diventare romantico, i luoghi disprezzati stimolano la creatività», amava ripetere. Come dargli torto? Oggi c’è Roland Carta a confermarlo, lui che è un paladino delle mutazioni urbanistiche e che lavora in tandem con Rudy Ricciotti nella realizzazione del MuCem, il Museo delle civiltà europee e mediterranee appena ultimato lungo la spianata del molo J4, parallelepipedo perfetto le cui pareti evocano le reti dei pescatori, fra cemento, vetri serigrafati, rampe elicoidali, con una passerella-prolungamento fino al vicino forte St.-Jean.
A fianco, c’è il CeReM, il Centre régional de la Méditerranée progettato dal collega italiano Stefano Boeri: una grande C letteralmente tagliata a metà da una darsena, con un corpo a sbalzo lungo 40 metri sospeso a 19 metri d’altezza e buona parte dell’edificio sommersa perché si possano guardare da sotto il mare che s’intrufola e le chiglie delle imbarcazioni all’ormeggio. È il giovane architetto Mario Bastianelli a fare la presentazione dell’agorà, dell’auditorium, delle sale per esposizioni temporanee e permanenti. E, mentre ne parla, ha anch’egli l’aria del bambino stupito davanti a tanta costruzione.
Certo, per il momento la topografia della città appare confusa: cantieri aperti, nuovi viadotti, strade perennemente piene di deviazioni. Pare quasi una condanna: Marsiglia, eterna incompiuta. Si annunciano lunghi anche i nuovi lavori sul Vieux-Port per trasformarlo in una bella promenade. Perfino la geografia urbana non è più quella di un tempo, quando i palazzi affacciati sulla Canebière ospitavano teste coronate, ricchi armatori e nobildonne, marcando rigidamente la frontiera fra i quartieri Nord e quelli Sud, fra la città proletaria e quella perbene: oggi è la grande arteria di tutti, banalizzata da un traffico ben poco fluido.
Ma l’idea di una nuova polis, ricca di qualità sembra piacere. Specie al Panier, tra Vieux-Port e Joliette, case color rosa che pendono leggermente, il bucato steso e gocciolante sulla strada e scalinate che corrono velocemente verso il mare, scivolo naturale dei marinai quando dovevano partire, roba buona per la macchina da scrivere di Jean-Claude Izzo quando diceva «Marsiglia non è un posto per turisti: non c’è niente da vedere». Philippe Carrese, regista ma anch’egli autore di gialli e disegnatore, è cresciuto proprio qui ed è sorprendente sentire raccontare del suo quartiere questo figlio di immigrati napoletani (papà di Castellammare, mamma di Procida) davanti a un caffè in piazza Cours d’Estienne d’Orves.
Parla della Marsiglia che c’era: popolare, generosa, solidale. E che non ritrova più: «Ha perso molto del suo aspetto familiare: il senso civico, la capacità di accogliere. Il 2013? Un’opportunità, una grande vetrina: spero sia un evento davvero di qualità», commenta, sospendendo il giudizio a fine anno. Curioso personaggio.
Marsiglia ha acquisito popolarità anche grazie alla serie televisiva Plus belle la vie che da anni spopola su France 3, fiction registrata nella Belle de Mai e ambientata in un fantasioso quartiere del Mistral che evoca proprio il Panier. Tanto basta perché ogni weekend centinaia di curiosi, dalla Francia ma anche dall’estero, chiedano ai tassisti, ormai rassegnati, di essere accompagnati in piazze o strade che in realtà nemmeno esistono. Che strano: la gente ha spesso diffidato della città di Zidane e Fernandel trovandola dura, inaffidabile, e ha cominciato ad amarla quando l’ha vista proiettata in una bella fiaba a puntate. Ennesimo paradosso tutto marsigliese: non c’è niente di più vero di una cosa falsa. Non che la realtà latiti. Tutt’altro. I benestanti continuano a starsene chiusi nelle belle ville di Roucas-Blanc e sui rilievi che guardano verso la Corniche e il Prado. E a volte la città sembra faticare a digerire le continue ondate di immigrati, presenza dominante nei tristi casermoni della banlieue nord o dalle parti di Belsunce, fra botteghe che vendono pasta di datteri e insegne naïf che fanno l’elogio di Ali il parrucchiere e di Jafaar il droghiere.
Una sedimentazione spesso segnata da tensioni sociali, con l’ossessione perenne della French Connection, il traffico di eroina verso gli Usa, i cui laboratori clandestini erano a Marsiglia. Ma con il tempo questa mescolanza di razze ha finito per trasformare la città in uno straordinario laboratorio culturale e sociale. Lo si vede dal dinamismo dei greeters, i volontari che accompagnano gratuitamente i turisti a scoprire gli angoli più segreti di Marsiglia ispirandosi a un famoso sodalizio nato a New York; e dalla scelta dell’associazione Hôtel du Nord di proporre insolite visite guidate nei quartieri più tosti della periferia settentrionale.
Quasi un’istigazione a girare Marsiglia lasciandosi guidare dall’istinto: assistere alla mimica delle signore che ogni mattina, poco dopo le 9, sul Quai des Belges riversano sui tavolini quello che i mariti pescatori hanno raccolto in mare; o prendere il bus 60 che porta al santuario di Nôtre-Dame-de-la-Garde, luogo di devozione popolare che domina la città dall’alto dei suoi 226 metri e pensa di essere il solo edificio della città a dover svettare: davanti ai nuovi oggetti del desiderio, i grattacieli, dovrà ricredersi.
Ovvio, la vita non è come nei film: non esistono finali bellissimi. Ma intanto nella seconda città di Francia, c’è voglia di recuperare il tempo perduto. Si lascia Marsiglia con l’impressione netta che abbia poco da spartire con Nizza, con Bordeaux, con Lione, insomma con le altre città del Paese. Più forte la sensazione che, nel bene e nel male, questa sia davvero l’unica vera metropoli dell’Esagono al di fuori di Parigi, e non solo per il numero di abitanti della municipalità. È quella che cambia più velocemente: la più incosciente, la più cosmopolita, la più cool. Il brutto anatroccolo sta diventando un cigno.