Gioielli di famiglia. A Verucchio

Vittorio Emiliani inaugura una nuova rubrica, dedicata alle bellezze d’Italia: uno spazio per valorizzare i casi virtuosi di tutela e salvaguardia del Belpaese. E comincia il suo percorso dal Museo archeologico di Verucchio. In Romagna.
 

Quando si sale dall’enorme letto del Marecchia verso lo sperone roccioso di Verucchio, sopra Rimini, si nota subito la rocca di sasso e mattoni rossi del dantesco Mastin Vecchio, da cui provengono i Malatesta, geniali e feroci. Noi però ci dirigiamo al piccolo convento porticato di S. Agostino, sede del civico Museo archeologico al quale hanno in modo esemplare collaborato lo Stato e il Comune che lo gestisce.

Entrando, la prima cosa che vi colpirà, nella generale bellezza degli arredi e dei corredi esposti, sarà un trono ligneo, intarsiato, colorato, dorato, in una parola raffinatissimo.
è il simbolo di una comunità ancora misteriosa che si insediò su questo colle alto quasi 300 metri in vista dell’Adriatico forse nel IX secolo a.C. e vi rimase fino al V, quando scomparve (o si imbarbarì). Forse attratta dal mare, dai più agevoli commerci. Laggiù nasceva Ariminum poi città-chiave per giungere da Roma con la Via Flaminia e inoltrarsi nella valle del Po, allora in gran parte acque e foresta nordica, con la Via Aemilia proiettata, dopo l’etrusca Félsina, fino a Placentia.

I numerosi, stupendi monili del prezioso Museo Archeologico di Verucchio danno conto di una comunità di origine villanoviana (da Villanova, vicino a Bologna), che sbrigativamente chiameremo proto-etrusca. Forse a regime matriarcale, tanto presenti sono qui corredi femminili. Comprese – ecco una delle sorprese – stoffe di lana che le argille delle necropoli fin qui scoperte (negli anni Settanta) hanno incredibilmente conservato e che sembrano cashmere blu scuro.

Nel museo di Verucchio c’è anche molta ambra, così amata dagli Etruschi fino a tracciare, da nord a sud, una Via dell’ambra. Ci sono collane, fibule, anelli, piatti, ciotole. Ma anche elmi, guerrieri e spade. Atte a difendere questa arcaica comunità che non sappiamo se venuta sin qui direttamente dall’Anatolia, giunta invece da altri mari o dalla Toscana, oppure autoctona. Certo già di una eleganza strepitosa.
Di essa si conoscono soltanto le sei necropoli situate sotto il colle sul quale poggia il borgo dei Malatesta, edificato, con ogni probabilità, sopra l’abitato villanoviano.

Qui c’è anche molto trecento, e il Trecento dei pittori riminesi è largamente da scoprire per il turista. Una volta si parlava sempre e solo di Giotto (del quale a Rimini esiste davvero uno splendido crocifisso, nel Tempio Malatestiano). Oggi si parla anche di Pietro, Giuliano, Baronzio e di altri riminesi, sulle cui vite poco si sa (Baronzio perì nelle terribile peste di metà Trecento).

A Verucchio, nella chiesa dei Ss. Martino e Francesco, spicca un grande crocifisso su tavola di ignota, ma preziosa, mano sicuramente riminese.

A Villa Verucchio, a quattro chilometri da qui, si erge la chiesa della Croce, dal bel portale gotico, che la tradizione vuole fondata nel 1215 da San Francesco. Che avrebbe pure piantato il colossale cipresso del chiostro. Affacciatevi dal Museo di Verucchio. All’interno, verso la rocciosa San Leo, il paesaggio vi suggerirà un nome solo: Dante.
 

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