di Giuseppe Scaraffia
Aperto nel 1865 da un esule francese, il Café Royal in Regent Street fu a lungo il luogo preferito di artisti e scrittori, da Rudyard Kipling fino a Brigitte Bardot. Da poche settimane ha riaperto i battenti e tutto il mondo ringrazia e si accomoda
Il Café Royal al 68 di Regent Street, a Londra, sembrava ormai adagiato verso una squisita, ma inarrestabile decadenza quando fu chiuso, nel 2009, dopo 148 anni di servizio. Niente sembrava più adatto a quell’armoniosa strada neoclassica di Piccadilly, disegnata da John Nash, l’architetto della Reggenza, nel 1821. Fortunatamente, ha da poche settimane riaperto all’interno dell’omonimo luxury hotel, restituendo alla capitale inglese uno dei suoi luoghi più chic.
A fondarlo, nel 1865, era stato Daniel Thévenon, un vinaio francese riparato oltremanica per sfuggire ai creditori. Alla cassa sedeva la moglie, Céléstine. Per evitare inconvenienti la coppia aveva deciso di chiamarsi Nichols e così il locale era stato battezzato Café-restaurant David Nichols. Solo dopo l’acquisto di un locale adiacente lo mutarono in Café Royal.
Memori della Francia perduta, gli esuli profusero uno sfarzo Luigi XVI con un profluvio di specchi e dorature a incorniciare gli affreschi sul soffitto. Le «N» che affioravano ovunque non erano un’allusione a Napoleone, ma al nome del padrone, che si arricchì rapidamente. Un successo che non gli impedì di conservare intatto il salone della prima versione del locale e il salotto detto del domino, dedicato ai pasti degli habitué che non apprezzavano il viavai delle sale nuove e le poltrone di velluto cremisi. Lì si rifugiava Rudyard Kipling per ritrovare l’atmosfera dei caffè di Parigi. Un’impressione più che attendibile visto che Gustave Doré, venuto a Londra per rappresentare la capitale devastata dall’industrializzazione selvaggia, si era innamorato di quella lussuosa oasi. Ben presto il Café Royal era diventato il luogo preferito di intellettuali e artisti, Arthur Conan Doyle, Herbert G. Wells, George Bernard Shaw, Rudyard Kipling, William B. Yeats, Walter Sickert, Winston Churchill, sir Max Beerbohm, George Bernard Shaw.
Oscar Wlde lo frequentava con l’amato lord Alfred Douglas. Un giorno furono sorpresi al caffè dal padre di Alfred che, invece di fare una scenata al figlio, si lasciò convincere a cenare con loro e si lasciò sfuggire: «Non mi stupisce che tu gli sia tanto affezionato, è un uomo straordinario». L’atmosfera era tragicamente mutata quando Wilde, processato per omosessualità, vi aveva pranzato con Shaw e un altro amico, che l’avevano vanamente messo in guardia, esortandolo a riparare in Francia.
Filippo Tommaso Marinetti, che amava creare scandali presentando il futurismo nei caffè più eleganti delle metropoli, aveva deciso di dare battaglia nello sfarzoso teatro del Café Royal. Nessuno avrebbe degnato di uno sguardo quello che sembrava uno dei tanti avventori in smoking, se Marinetti non avesse cominciato a tempestarsi il petto di pugni, esclamando: «Bisogna avere polmoni robusti per queste battaglie!» La lettura del manifesto, prima in italiano, incomprensibile alla maggior parte dei presenti, e poi in inglese, non aveva destato curiosità tra quei bohémien d’alto bordo. Lo appoggiava moralmente un curioso personaggio, il pittore Wyndham Lewis, che però, dopo avere ascoltato il collega italiano, gli voltò le spalle attaccandolo e annunciando che l’avanguardia britannica del vorticismo stava per dare «il colpo di grazia all’impressionismo, al futurismo e a tutti i rifiuti della scienza ingenua».
In quella «casa delle chiacchiere e delle cause perse», Katherine Mansfield, sentendo due avventori leggere ad alta voce, ridendo, alcune poesie di D.H. Lawrence, aveva strappato loro di mano il volume. L’autore dell’Amante di lady Chatterley detestava il sottile snobismo di quel ritrovo, «l’atmosfera di vizi meschini e meschine gelosie e arte altrettanto meschina». Eppure, doveva ammetterlo, era difficile resistere alle sue attrattive.
Che l’amata Vita Sackville West sedesse tra quei velluti con un’altra indispettiva Virginia Woolf. «Che tu fossi stata a colazione al Café Royal senza venirmi a trovare è stata per me una bruciante ferita!... Oh, il Café Royal!».Nel 1937 il barman del locale, Billy Tarling, pubblicò nel Café Royal cocktail book le ricette che avevano attirato tante celebrità. Da Elizabeth Taylor a Mick Jagger, da Brigitte Bardot a Muhammad Ali-Cassius Clay, fino alla principessa Diana, Nessuno resisteva al fascino un po’ fané del Café Royal. Si diceva anche che Michael Collins, il leader indipendista irlandese, fosse stato arrestato proprio in quel tempio della civiltà inglese. Ma (questa) era solo una leggenda.