di Tino Mantarro
Tra tutte i capoluoghi toscani Pistoia è forse il meno visitato, eppure è uno scrigno d'arte e un luogo in cui si vive assai bene. L'occasione giusta per visitarla può essere la terza edizione di Dialoghi sull'Uomo, la rassegna di antropologia del contemporaneo che quest'anno ha come tema il viaggio
La prima cosa di cui ti accorgi quando arrivi a Pistoia è che non ci sono giapponesi. Sei a 30 chilometri da Firenze, ma turisti del Sol Levante zero. E mentre dalla stazione ti addentri verso il centro, oltrepassando quel che resta delle mura di cinta medievali, ti accorgi che oltre a non esserci giapponesi non ci sono neanche le sfilze di cartelli che pubblicizzano menu completi a dieci euro, né le guide plurilingue che penzolano dalle edicole o le indicazioni di ostelli a buon mercato. Del sottobosco turistico da piazzale della stazione e dintorni non c’è traccia. E, nonostante sia stagione di gite scolastiche, non ci sono neanche torpedoni e comitive a razzolare per le piazze. Almeno non in un mercoledì di marzo. E dire che sei in Toscana. E allora mentre ti sorprendi per la bellezza delle chiese romaniche che incontri, finisce che te lo chiedi perché certe città siano più attrattive di altre. Perché alcune siano fuori dai circuiti turistici mentre altre sono invase di vacanzieri fino a non poterne più.
Se la domanda la fai a qualcuno di qui tutti rispondono che dipende dal carattere dei pistoiesi. Gente schiva che forse non ama abbastanza la propria città e comunque non l’ha mai valorizzata come merita. L’aveva intuito a fine Ottocento Eugène Müntz, alsaziano, storico dell’arte esperto di rinascimento: «Pistoia è una città che mantiene più di quanto promette: a considerare l’insieme delle strade e delle piazze, un po’ sonnolente, non vi sospetteremmo mai una tale quantità di testimonianze artistiche». Müntz aveva ragione. Mentre cammini verso piazza del Duomo, pensi che Pistoia riassuma in sé quelle caratteristiche dell’italianità che i viaggiatori vanno cercando nelle loro escursioni. Una architettura superba e ben conservata, un’impronta urbanistica antica e armonica, una vitalità quotidiana «da sabato del villaggio», un ricco tessuto di botteghe, chiese e musei che ne fanno la quintessenza di quel che gli stranieri amano dell’Italia.
Basta arrivare un mercoledì, giorno di mercato, per entrare in una dimensione sociale fatta di chiacchiere e saluti, battute e rilassatezza. Un assaggio di provincia che un tempo, senza vergogna si sarebbe detta sana. Come sano è quel che trovi sulle bancarelle del mercato alimentare di piazza della Sala, intorno al quattrocentesco pozzo del Leoncino. Staresti ore ad ascoltare il trippaio col suo banchetto che scherza con gli acquirenti. Oppure a origliare i crocicchi dei pensionati appoggiati all’angolo che discutono accoratamente di politica, mentre qualcuno al banco della frutta chiede un cavolo nero «ma che sia bono, veh». Tutto intorno alla piccola piazza si aprono botteghe di alimentari che sembrano bazar mediorientali senza i cumuli di spezie: sono stracolme di prosciutti e formaggi, bottiglioni di olio extravergine (l’orgoglio della provincia), salse, conserve e vini toscani.
E sorprende che tutta questa vita che altrove sarebbe rinchiusa in uno shopping center di periferia sia davvero a un passo dal cuore della città. Da quella piazza del Duomo su cui, nella maestosità dei rispettivi palazzi, si specchiano tutti i simboli del potere cittadino: il trecentesco Comune, la cattedrale di S. Zeno con la torre, il tribunale, il palazzo Pretorio, il palazzo dei Vescovi e quello della banca, con il battistero ottagonale a completare la composizione. E stupisce che tutti questi edifici non siano nobili sedi di rappresentanza, ma esercitino ancora le proprie funzioni. Così come, ancora per qualche mese, parte dell’ospedale cittadino si trova nell’antica sede cinquecentesca dello Spedale del Ceppo. Tutto sembra essere ancora armonicamente su misura. Come è armonica la basilica della Madonna dell’Umiltà, con la cupola del Vasari, o la chiesa di S. Andrea che al suo interno, quasi se nulla fosse, conserva tre opere di Giovanni Pisano. E, quando scopri che i crocifissi del Pisano sono esposti allo Stadtmuseum di Berlino e al Victoria&Albert Museum di Londra, mentre qui stanno nella penombra di una chiesa custoditi da due mendicanti seduti all’ingresso, vien da pensare: quanto siamo abituati a convivere con la bellezza in questo Paese? Tanto. Così tanto da non farci caso. Così tanto da non conoscere Pistoia. E se non lo facciamo noi, come possono pensarci i giapponesi?