Vicenza oltre l'apparenza

Cesare ColomboCesare ColomboCesare ColomboCesare ColomboCesare ColomboCesare ColomboCesare ColomboCesare ColomboCesare ColomboCesare ColomboCesare ColomboCesare Colombo

L’immagine di una Bella addormentata sbiadisce di fronte alle tante iniziative e ai nuovi musei che si aggiungono alle tradizionali mete firmate da Andrea Palladio e Giambattista Tiepolo. Ecco una guida aggiornata a una città sorprendentemente votata alla cultura
 

In un video pubblicitario degli anni Ottanta, prodotto dall’Apt e intitolato Ecco Vicenza, Alba Parietti in veste di Bella addormentata interpretava la città che, appena sveglia, emergeva da un’antica villa vicentina un po’ délabrée, si guardava allo specchio e procedeva a farsi bella, fino a mostrarsi in tutto il suo splendore. Non deve essere stato un gran successo di marketing se, a oltre due decenni di distanza, nell’opinione corrente siamo ancora a quel punto.
Nessuno discute sulla venustà di Vicenza, una bellezza quasi ideale, armonica e proporzionata nelle forme, una misura urbana creata dal giusto rapporto fra spazi, volumi e percorsi. E naturalmente tutti conoscono Palladio, che qui ha lasciato l’impronta più forte del suo genio, e un linguaggio architettonico poi dilagato. Che le ha fruttato l’ingresso nella lista Unesco del Patrimonio dell’umanità insieme con le sue ville come l’archetipica Rotonda, magari passando per i Nani (villa Valmarana), che pure di Palladio non è ma contiene uno dei più belli e completi cicli di affreschi dei Tiepolo, padre e figlio.
L’essere città d’arte però non ha trasformato automaticamente Vicenza in una meta turistica di grido, anche se poi, per chi ci abita, questo ha indubbiamente i suoi lati positivi. Forse è per il bagaglio di bellezza classica d’altri tempi, che se da un lato incute un certo timore reverenziale dall’altro le ha associato un’idea di sonnolenza, di un immobilismo al fondo del quale non c’è nulla da scoprire, di un’invisibilità percepita ma dettata dalla discrezione più che dall’ignavia. L’impressione è che Vicenza, oltre che per i monumenti, abbia scelto di non far parlare di sé…

Quando succede, sembra sempre suo malgrado e che la città se ne schermisca, sebbene ciò non significhi che non ne sia coinvolta Così è stato per la mobilitazione nazionale contro la nuova base militare Usa, che nel 2007 ha portato a sfilare per le vie non meno di 150mila persone, per la maggioranza scaricate da pullman provenienti da tutto il Paese, ma fra le quali molti locali. O come per l’alluvione del 2010, quando tutt’Italia ha visto le immagini simbolo del Retrone dilagato nel centro storico, le onde limacciose sotto i portici di corso Palladio; dopo di che i vicentini si sono messi a lavorare nel fango, caparbiamente, senza troppe parole.

Immobile la città non è mai stata. Non s’è svegliata ora, per il semplice fatto che non ha mai dormito. Non si tratta solo di intraprendenza imprenditoriale, dell’attivismo nei fatti, comune peraltro a gran parte del Veneto e del Nordest, e di un’alacrità produttiva che ne ha fatto nella seconda metà del Cinquecento l’area più dinamica d’Europa e oggi la terza provincia italiana per volume di esportazioni, dopo Milano e Torino. La ricchezza che l’ha saziata non l’ha impigrita. E questa vitalità che sta ora emergendo, grazie a grandi operazioni culturali di cui la mostra sul ritratto appena chiusa alla Basilica Palladiana (rinata a nuova vita dopo cinque anni di radicali restauri costati oltre 20 milioni di euro) è l’episodio più recente, ha davvero poco di eccezionale.

Vicenza da secoli investe in cultura: a partire dal rinascimento, in cui l’interesse per arti e scienze fioriva nelle tante attivissime accademie (a quella degli Olimpici si deve la nascita di uno dei più bei teatri d’Europa) per arrivare al secondo dopoguerra: quando, spazzate le macerie e rimesse in funzione le macchine, pensò a creare, ancora negli anni Cinquanta, il Centro internazionale di studi di architettura Andrea Palladio (Cisa) fra i più importanti istituti di ricerca sulla storia dell’architettura, nel cui consiglio siedono ancor oggi i maggiori specialisti europei e nordamericani. Ma l’ha fatto per sé, non per autopromuoversi all’esterno: perché la città non voleva vivere di turismo e sfruttamento culturale.

Alcune tra le ultime operazioni sono eclatanti. La creazione del Palladio Museum, per esempio, inaugurato lo scorso autunno proprio nel palazzo Barbaran da Porto (ovviamente di Palladio e dove dal 1997 ha sede il Cisa), una casa di studi, laboratori e incontri, raccolte permanenti e mostre temporanee. Quella in corso (fino al 31 marzo), Genealogie, documenta nelle foto dello statunitense Max Belcher, scattate negli anni Settanta in Liberia, la curiosa edilizia ottocentesca creata dagli schiavi d’America liberati che ha riprodotto i modelli architettonici delle dimore della Georgia e della Carolina del Sud, e quindi lo stile palladiano. O ancora il radicale riammodernamento di palazzo Chiericati, altra opera del Palladio, che ospita il Museo civico: qui sono stati appena recuperati, e resi visitabili per la prima volta in occasione di una mostra appena conclusa sulla collezione di ritratti, i cavernosi sotterranei.
 

Appena inaugurato è anche lo spazio sottotetto di palazzo Thiene, storica sede della Banca popolare di Vicenza (altra opera di Palladio) e del quale erano già stati restaurati i sotterranei: ora negli ambienti all’ultimo piano trova posto la galleria di sculture di Arturo Martini e del vicentino Nereo Quagliato, che si affianca a quelle di pittura veneziana dal Quattro all’Ottocento, di incisioni settecentesche dei bassanesi fratelli Remondini, di ceramica popolare vicentina, di oselle veneziane (le monete dei dogi, dal 1521)... E, a proposito di banche, la prima delle Gallerie d’Italia di Intesa Sanpaolo è nata qui, nel 1999, nel palazzo Leoni Montanari riempito di capolavori (fra cui la più grande raccolta di icone russe fuori dalla Russia).

Un altro edificio storico che ha da poco rivisto la luce è il settecentesco palazzo Cordellina, che dopo cinque anni di restauri ha riaccolto i preziosi volumi della Biblioteca Bertoliana, donata tre secoli fa da uno dei tanti umanisti benefattori della città. E anche il restauro della statua di Andrea Palladio, punto di sosta preferito dai turisti, accanto alla Basilica, come pure la riapertura della chiesa di S. Corona, con il ritorno delle tele di Veronese, Mantegna e Giovanni Bellini, sono altrettanti segni di una volontà di riconoscimento e identificazione civica, e di una cura della propria memoria che Vicenza trasmette poi impercettibilmente per osmosi, quasi in maniera subliminale, a quanti la visitano. Lo fa, ed è un’altra virtù sottile di questa città superdotata, riuscendo a non intimorirli con il suo monumentale corredo artistico; che resta sullo sfondo di una normale vita sociale gradevole per la sua scala ridotta ma non angusta.
 

Fotografie di: Cesare Colombo
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