di Benedetta Pignatelli | Fotografie di: James Balog
In anteprima per l’Italia le straordinarie immagini d’autore, scattate in tutto il mondo, che documentano la riduzione e la trasformazione dei ghiacciai dovute al cambiamento climatico e all’inquinamento.
Le foto di queste pagine sono tratte dal volume illustrato «Ice: Portraits of Vanishing Glaciers» del fotografo naturalista James Balog. Pubblicato di recente negli Usa da Rizzoli International, il libro originale in inglese è acquistabile online su www.ibs.it; nel corso del 2013 ne è in programma l’edizione in italiano.
Il ripetersi di fenomeni naturali eccezionali non sorprende affatto James Balog, fotografo naturalista e padre del progetto Eis-Extreme Ice Survey. Un’iniziativa di ampio respiro, nata nel 2007, che mescola arte e sapere scientifico per dare una «voce visiva» (è l’espressione scelta da Balog stesso) ai fenomeni di trasformazione dell’ambiente.
Per il progetto Eis è stata adottata una tecnica di fotografia sequenziale che scatta immagini ogni mezz’ora. «Oggi abbiamo ancora 34 macchine disposte lungo 16 ghiacciai» spiega James Balog, «si trovano in Alaska, Canada, Montana, Groenlandia, Islanda e Nepal, vicino all’Everest. Ci sono poi i punti di repeated photography, dove torno a scattare la stessa foto ogni anno, in Bolivia, in British Columbia (Canada) e in Europa, in particolare sul ghiacciaio svizzero del Trift (nel cantone Berna), tra i più colpiti dal cambiamento climatico».
Tra i frutti del progetto Eis c’è il documentario di Jeff Orlowski Chasing Ice sull’attività di Balog, premiato al Sundance Film Festival 2012 e inserito nella shortlist per i premi Oscar, e il volume illustrato Ice: Portraits of Vanishing Glaciers, pubblicato nel settembre scorso da Rizzoli International, le cui spettacolari immagini documentano il ritirarsi delle grandi masse glaciali e l’assottigliarsi dei ghiacciai.
James Balog ha scelto proprio i ghiacciai perché sono «il canarino nelle miniere del globo». Ovvero il fenomeno naturale in cui si manifestano in termini più appariscenti le conseguenze del riscaldamento globale, facilmente comprensibili anche per l’occhio del neofita. «Solo così potremo catturare l’interesse del pubblico. Prima si attira l’attenzione visivamente, con la dimensione artistica della natura e le reazioni istintive che può suscitare. Poi si spiega che le foto si basano su una piattaforma d’informazioni ben precisa, impermeabili ai venti delle ideologie» incalza Balog dalla sua base del Colorado. «La violenza degli eventi atmosferici che stanno susseguendosi sul pianeta – uragani, inondazioni, grandi nevicate, incendi incontenibili – è stata prevista da decenni dalla comunità scientifica. Fa parte del ciclo di destabilizzazione legato al crescere della concentrazione di anidride carbonica nell’atmosfera»
Perché allora questo evidente scollamento tra il mondo della scienza, dove il dibattito su questi temi ambientali è già in atto da tempo, e la pubblica opinione, visto che il contesto è chiaramente universale? James Balog non ha dubbi: «Il potere del denaro si è rivelato incredibilmente efficace nel sopprimere i flussi d’informazione legati a questi argomenti. E gli scontri ideologici hanno creato una melassa burocratica che castra l’introduzione di nuove leggi. Ci sono luci che fanno sperare però. Durante il suo primo mandato l’amministrazione Obama ha approvato una norma che dimezzerà entro il 2025 i consumi medi delle auto (l’obiettivo è una media complessiva di 54,5 miglia per gallone di benzina, 23,17 chilometri/litro, per la produzione annua di ogni costruttore, ndr). Un assist prezioso per l’ambiente, per la qualità dell’aria e persino per la sicurezza militare». Può sembrare un paradosso, ma non lo è per Balog che segue da tempo l’interesse del Pentagono per le problematiche legate al clima. E ne ha utilizzato alcuni punti anche nelle sue presentazioni.
«Sebbene il cambiamento climatico in sé non sia causa di conflitti, può costituire un accelerante verso l’instabilità. Basti pensare alle popolazioni rese profughe dall’alzarsi del livello del mare, dalle tempeste, dall’annientamento dei raccolto», prosegue il fotografo. «Immaginiamo gli attriti che possono nascere anche solo dallo scarseggiare di cibo e acqua. E che spesso degenerano». James Balog ci mette perciò in guardia a tutto tondo. E forse, mentre le sue Nikon scattano ancora inesorabili, a Washington e negli altri palazzi del potere giungerà il momento della manovra decisiva per recuperare il nostro rapporto con la Natura.