di Clelia Arduini
I depositi dei musei italiani traboccano di opere non esposte. Che fare? Venderle all'estero per fare cassa oppure aprire nuove sedi sul territorio seguendo l'esempio del Louvre francese? Inchiesta sulla valorizzazione possibile di un patrimonio del nostro Paese che è davvero tutto da scoprire e da capire.
Sotto il sole che colora di rosa l’acqua del ninfeo di Villa Giulia a Roma, si aprono i bunker del Museo nazionale etrusco con oltre 300mila reperti. Controllate da una telecamera centinaia di ori, bronzi e ceramiche sono imballate con delicatezza, adagiate in appositi contenitori e caricate in due furgoni blindati. La meta è Nepi, 45 chilometri dalla capitale, dove a primavera si aprirà il museo civico di cui le vestigia che in questo territorio sono state rinvenute costituiranno l’anima e il corpo. I cittadini potranno così conoscere le proprie origini. Anche i marmi romani dell’Età dell’equilibrio, fino agli inizi di maggio ai Musei capitolini, sono stati recuperati dai depositi, così come le opere esposte alla Galleria degli Uffizi per L’Alchimia e le arti in chiusura questo mese. E se la Pinacoteca di Brera ha integrato i reperti di un magazzino nel percorso di visita, il Museo archeologico di Napoli propone nelle sale espositive una selezione di ciò che non si vede. Dopo anni di umile lavoro al servizio dei musei, il patrimonio invisibile sta tornando alla luce. In tempi di magra i musei lo utilizzano per rimpolpare e rinnovare collezioni, creare nuovi poli espositivi, inventare aperture eccezionali al pubblico e, pur in assenza di capolavori assoluti, tentare di attirare più visitatori senza spendere troppo in allestimento o trasporto. Ha provato a conteggiarlo la Corte dei Conti nel 2011, scoprendo che non esiste né una stima dei reperti né una banca dati completa dei beni culturali statali, e ha ipotizzato che ciascun deposito dei 4.764 musei italiani (fonte Mibac) potrebbe contenere almeno lo stesso numero delle opere esposte. Si sono affastellate idee per monetizzarlo: chi si è inventato di emettere nuovi titoli di Stato chiamati art bond dandolo in garanzia in cambio di denaro a investitori privati; chi ha lanciato la proposta di cederlo ai musei internazionali con un comodato oneroso; chi ha addirittura suggerito di vendere i pezzi seriali.
«Una delle banalità che si sentono ripetere dai mille improvvisati soloni del patrimonio culturale è che i magazzini dei nostri musei sono stracolmi di materiali non in vista, e perciò “inutili”» dice Salvatore Settis, archeologo, storico dell’arte e docente alla Scuola Normale di Pisa. «Perché non venderli ai musei stranieri, ma anche a turisti di passaggio, per allietare villette a schiera, tinelli e pizzerie, o come souvenir? Le pretese superfluità dei magazzini diventano metafora (o simbolo) della ricchezza del nostro patrimonio culturale: ne abbiamo tanto, perché non darne via un po’? In realtà i depositi di un museo rappresentano una sorta di riserva aurea, in perenne rapporto con le collezioni esposte: devono essere anch’essi visitabili (per gli studiosi), e funzionano (anche) come un serbatoio di sorprese» commenta Settis.
Dall’alto dei “suoi” Musei Vaticani, il direttore Antonio Paolucci tuona che i numeri della Corte dei Conti lasciano il tempo che trovano e che l’apertura al pubblico dei caveau è una stupidaggine. «I depositi stanno al museo visibile così come i nostri organi interni stanno ai nostri occhi e alla nostra pelle. Devono semplicemente essere ben tenuti e resi visitabili a chi ha ragioni e titoli per vederli, non al pubblico generico al quale i depositi, giustamente, non interessano affatto» sottolinea Paolucci.
«Non chiamiamoli depositi, ma stanze della riserva. Luoghi dove oggi si trovano opere che ieri erano esposte in Galleria e che domani forse ci torneranno» specifica Antonio Natali, direttore degli Uffizi. Le nostre stanze custodiscono oltre duemila opere e sono allestite come una grande quadreria perfettamente catalogata che può essere visitata da chiunque faccia domanda motivata». Un tesoro senza uguali che qualche anno fa ha iniziato a mostrarsi con la stagione dei Mai visti: esposizioni di quadri estratti dai depositi che sono andate anche all’estero, con mostre in Slovenia, Giappone, Cina e Stati Uniti, hanno richiamato migliaia di visitatori. «Utilizzare i capolavori in Galleria per esposizioni internazionali non è corretto nei confronti dei visitatori che una volta a Firenze scoprono che sono altrove» continua Natali. «Per questo preferiamo usare le nostre riserve anche per recuperare e valorizzare opere di qualità finite nei depositi perché nel tempo il gusto cambia. Nella Tribuna degli Uffizi appena restaurata, infatti, abbiamo esposto 35 opere di cui 25 provenienti appunto dalle riserve. Certo non si può produrre economia realizzando nuovi musei con le opere dei depositi. L’apertura di un polo museale è una perdita secca in termini economici, quel che cresce è l’educazione al bello, all’arte, cioè la mission di un museo», conclude Natali.