Sweet home Chicago

Melissa Farlow/National Geographic TravelerMelissa Farlow/National Geographic TravelerMelissa Farlow/National Geographic TravelerMelissa Farlow/National Geographic TravelerMelissa Farlow/National Geographic TravelerMelissa Farlow/National Geographic TravelerMelissa Farlow/National Geographic Traveler

La città del presidente Barack Obama è il cuore pulsante degli Stati Uniti. Tra passioni popolari e virtuosismi culturali, contraddizioni e tanta voglia di primeggiare. Dallo sport all’arte fino alla nuova frontiera: la sostenibilità.

Il meglio deve ancora venire. Con queste parole, all’indomani della rielezione, il presidente Barack Obama ha salutato la folla festante di democratici riunitasi nella sua città, Chicago. In molti l’hanno definita Obamaland perché proprio qui si son formati i Chicago Boys che
l’hanno accompagnato nel primo mandato, cercando di cambiare radicalmente l’intero Paese.
In tutto questo, quella che spesso è definita come la città più sexy d’America cammina a testa alta per la sua strada, continuando nella sua perenne evoluzione che le ha fatto cambiare volto tante e tante volte nel corso dei decenni. Un laboratorio di idee, di creatività, di cultura, che ha messo a frutto in maniera positiva il melting pot umano che la caratterizza.

Basta fare una passeggiata una domenica pomeriggio intorno a Lincoln Square per vedere come, in questo sobborgo, la diversità etnica sia diventata la norma. Chicago è una grande città – quasi tre milioni di abitanti – e sebbene sia da sempre chiamata Second City, in realtà è da una decina d’anni la prima in molte cose, a partire dalla vivibilità e dal rispetto per l’ambiente. Per vedere se è vero sono venuto qui a controllare se esistono davvero dei primati “speciali”.
Per cominciare il sole qui splende realmente, nonostante spesso enormi nuvoloni si formino sul lago Michigan. I servizi di trasporto pubblico funzionano, ci sono parchi dappertutto (un po’ come gli hotdog) e le architetture lasciano letteralmente senza fiato, soprattutto salendo sul più alto edificio d’America, la Willis Tower (ex Sears Tower), e rimanendo un po’ sulla piattaforma in plexiglas che permette veramente di «galleggiare» a 103 piani d’altezza. E poi ancora: i musei sono favolosi, la scena artistica variegata e il cibo... Poi ci arriverò, ma per farla breve, c’è parecchio qui, comprese squadre sportive, i Bulls del basket, due di baseball, i White Sox e i Cubs, una di football, i Bears, che sono un nome conosciuto nel mondo.
 

Ma è dal punto di vista «green» che, negli ultimi tempi, chicago ha ingranato la marcia più veloce. L’ex sindaco Richard M. Daley ha dato la spinta iniziale, proclamandola la città del futuro per opportunità e qualità della vita, ma anche facendo realizzare addirittura un giardino sul tetto del palazzo del Comune. Purtroppo non è aperto al pubblico ma, da allora, circa quaranta ettari di tetti sono stati trasformati in giardini pensili, un buon modo anche per isolare gli edifici termicamente e conservare energia. Lo stesso Daley ha creato il Chicago Center for Green Technology dove i cittadini possono ricevere consigli su come realizzare costruzioni ecologiche o su come trasformarle secondo i dettami green. Persino la gastronomia e le scelte dei ristoratori virano in quella direzione. Sembra un controsenso nella città nota per i barbecue e le bistecche da un chilo, ma tant’è, la sostenibilità sta diventando il nuovo imperativo categorico.
Basta andare al ristorante Xoco, circa un miglio a nord del Loop, il centro cittadino. Xoco è celebre per il suo chef, Rick Bayless che ha rinnovato la tradizione messicana a tavola e lo spazio che occupa: il locale è luminoso ed è intenso il profumo di chili e di carne cucinata a fuoco lento. Il gestore e chef mantiene bassi i costi dell’elettricità combinando illuminazione a led e quella tradizionale riuscendo a mantenere l’ambiente amichevole e piacevole. Anche i fornelli sono studiati per non disperdere calore, una piccola rivoluzione, ma Bayless si affretta a dire che non è che la gente frequenti il suo ristorante per sentirsi la coscienza etica e ambientale a posto, ma ci va soprattutto per il buon cibo.
Insomma l’immagine di Chicago come paradiso del colesterolo e dei fanatici dello sport persiste, ma la città sta diventando sempre più sofisticata e decisamente all’avanguardia in molti settori.
 

Tutto ebbe inizio nel 1893 con l’esposizione universale che la riportò agli onori della cronaca dopo il terribile incendio che la rase al suolo nel 1871. Le architetture della città nuova si sono evolute nei decenni successivi, all’inizio seguendo un’ispirazione neoclassica sviluppata dall’architetto Daniel Burnham, ma poi altri stili presero piede. Il centro di Chicago oggi è una miscela bellissima: il Monadnock Building di John Wellborn Root è il più alto edificio commerciale fatto di mattoni al mondo; il Federal Building di Mies van der Rohe, con la spettacolare lobby; il 190 South LaSalle Building di Philip Johnson con il tetto che sembra quello di una cattedrale. Ma forse il migliore esempio di contrasto tra nuovo e vecchio è l’Istituto di belle arti dove l’architettura neoclassica originaria dialoga con la nuova ala tutta vetri e tecnologia che ospita un’enorme collezione di opere del XX e XXI secolo.
Dopo l’abbuffata culturale decido di incamminarmi verso il Millennium Park, dieci ettari dove spazi aperti e arte sono mixati alla perfezione. Questo è sicuramente il fiore all’occhiello di Chicago e il suo simbolo più amato dai cittadini e dai turisti è senza dubbio la Cloud Gate, una scultura meglio nota come il Fagiolo, per la sua forma curiosa, realizzata in acciaio inossidabile con le superfici a specchio che regalano una vera magia: i grattacieli, il lungolago e gli alberi ci si riflettono cambiando proporzioni e forme. Alle mie spalle la struttura a ragnatela progettata da Frank Gehry sovrasta il Jay Pritzker Pavilion, un ulteriore simbolo architettonico che dialoga amabilmente con il passato della città.
 

Nessuna visita a chicago è completa senza fare un giro sull’el train, la metropolitana sopraelevata immortalata in decine di film e telefilm (memorabili gli inseguimenti sotto i binari in The Blues Brothers). La mia corsa preferita è quella che va fino al Garfield Park Conservatory, una serra vittoriana di proporzioni epiche con una varietà incredibile di piante, in special modo tropicali. Un mondo a parte che avvolge quasi quanto il calore che lo caratterizza, soprattutto nell’ala riservata alle felci. Qui l’aria è densa, verdissima, si sentono quasi le piante crescere. Questa stanza potrebbe riflettere quella che doveva essere Chicago circa 200 milioni di anni fa. Un’evoluzione sorprendente per questa città che non finisce di stupirmi nemmeno camminando a sud del Millennium Park dove incontro la fontana Buckingham, il Museo di storia naturale con il suo scheletro di dinosauro all’ingresso, lo Shedd Aquarium e il planetario Adler, tutte istituzioni di prima classe che meriterebbero del tempo.

eppure è il lago michigan a ipnotizzare il mio sguardo. Forse è proprio questo elemento naturale a definire Chicago una città-giardino. Una delle glorie cittadine è proprio il Lake Shore Drive, trenta miglia (quasi 50 chilometri) di passeggiata da fare a piedi o in bicicletta attraversando parchi e fermandosi in spettacolari punti panoramici. Quando il cielo è particolarmente limpido, l’acqua del lago è azzurra e la vista oltre i frangiflutti sembra quasi mediterranea.
I miei pensieri poetici vengono interrotti da un gruppo di tifosi che stanno andando verso lo stadio Soldier Field dove stanno per giocare i Bears. Passano davanti ai palazzi della cultura ignorandoli. Qualcuno mi saluta con un sorriso, mentre altri alzano le loro tazze per brindare al poliziotto che passa pedalando senza nemmeno guardarli. E mi viene da pensare... tutto questo è davvero Chicago!

Fotografie di: Melissa Farlow/National Geographic Traveler
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