L'esperienza di Donnavventura

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Qualcuna si è ritirata dopo poche settimane, qualcun’altra non avrebbe mai voluto tornare a casa. Ma tutte le partecipanti all’ultima edizione di Donnavventura concordano: è un viaggio duro, impegnativo, in cui bisogna dare il massimo. Anche perché, per una volta, quello che si vede in tv è tutto vero. In onda dal 20 gennaio su Rete 4 alle 14.30.
 

«Dopo 16 ore di volo vedo le ande innevate dal finestrino e un brivido mi attraversa la schiena. Sono ancora incredula... Sta accadendo realmente?» Con queste parole Paola racconta nel suo diario online l’emozione della partenza, anzi, dell’arrivo a Santiago del Cile, prima tappa del viaggio. Ventisettenne di Lotzorai (Nuoro), Paola Demurtas è l’inviata di Touring per la spedizione Donnavventura 2012. Con le altre cinque ragazze selezionate è partita il 20 luglio per il Grand Raid dell’Oceano Pacifico, che le porterà in Patagonia, lungo la Ruta 40, nel deserto di Atacama, all’Isola di Pasqua. Una lunga storia in costante evoluzione, quella di Donnavventura: oltre vent’anni, durante i quali i cinque continenti sono stati esplorati, fotografati, filmati e raccontati da più di duecento ragazze che hanno realizzato il sogno, fra centinaia di migliaia di candidate, di vivere un’esperienza unica. Viaggi molto diversi e donne altrettanto differenti, tutte con una caratteristica in comune: la voglia di riuscire in un’impresa. «La vera soddisfazione», scrive ancora Paola, «sono le prove che giorno dopo giorno ci permetteranno di superare i nostri limiti». Ancora non immagina che il suo viaggio durerà molto meno del previsto.
Infatti, dopo sole tre settimane di viaggio, da Santiago del Cile a Ushuaia, tre ragazze del team hanno gettato la spugna e sono tornate a casa: tra loro anche la nostra Paola. Alla faccia di chi sostiene che sia una passeggiata, che Donnavventura è poco più faticoso di una vacanza. «Vorrei vederli laggiù, questi criticoni» si sfoga. «Possibile che la gente non capisca quanto lavoro c’è dietro a un programma televisivo come questo? Lo posso confermare, è tutto vero: siamo solo noi ragazze, un cameraman e il capo spedizione. Quindi tutto è sulle nostre spalle, letteralmente. Non possiamo permetterci di sbagliare, ed è davvero dura.» A malincuore, Paola si è arresa: «Ero sfinita, mi sono resa conto che non potevo più essere utile, e che neppure riuscivo a godermi i posti bellissimi che vedevo. Allora ho deciso di tornare a casa».
Un peccato, anche perché, superato il freddo e i ghiacci della Patagonia, ritornati a Santiago del Cile le aspettava la parte più invidiata del Grand Raid 2012. Certo, ci sono volute tre settimane perché le Donnavventura rientrassero a Santiago da Ushuaia a bordo dei loro Mitsubishi e poi prendessero il volo. Destinazione, isole da sogno nell’oceano Pacifico: Papeete, Castaway Island, Bora Bora, Tahiti, Rapa Nui. Prima di decollare, l’8 settembre, un altro cambio: Ana e Francesca sono rientrate in Italia e un’altra veterana, Michela, ha raggiunto Rossella, Stefania e Valentina.

Le Donnavventura al mare sono dunque quattro: torneranno sei, quando Ana e Francesca si riuniranno alle altre a Santiago del Cile per riprendere la strada verso nord.
Sarà proprio Ana a raccogliere il testimone di Paola e a diventare l’inviata Touring in questa edizione di Donnavventura. Nata nel 1983 a Lubiana, in Slovenia, ma friulana d’adozione (vive a Udine), è laureata in Scienze internazionali e diplomatiche ed è una veterana di Donnavventura: è alla sua quarta spedizione. A dispetto del sorriso e degli occhi sognanti, è una ragazza davvero determinata e piena d’iniziativa. Quello che segue è il suo diario di viaggio, il racconto di quello che le ragazze hanno visto e provato e non vedremo mai in televisione.

26 agosto 2012. in argentina lungo la ruta 40
«236, 18, 13, 20, 27 non sono numeri da giocare al lotto, anche se probabilmente porterebbero fortuna considerando la magia che regna qui. Tuttavia sono molto più di questo: sono ponti, fiumi, laghi, riserve naturali e parchi nazionali, passi della Cordigliera delle Ande. Unico comune denominatore? La Ruta 40. È lei che li attraversa, avvicina e raggiunge… sempre e solo lei!
La prima pietra di questa infinita pista sterrata è stata posta nel 1935, e da allora custodisce segreti e desideri di impavidi e intrepidi esploratori. Taglia la Patagonia e l’Argentina, percorrendola da Sud a Nord per oltre 5mila chilometri in un continuo susseguirsi di estancias, un tempo fattorie dedite per lo più all’allevamento, ora accoglienti punti di riferimento per viaggiatori. Arriviamo all’estancia Don José: tetti rossi e pareti bianchissime, piccole sedie di legno e tavolini fatti a mano, carretti a cui manca solo il cavallo e bandiere dell’Argentina che orgogliose sventolano in cielo: Luis ci accoglie e spiega in due parole quello che abbiamo cercato di capire per migliaia di chilometri: un Paese con tanto da visitare necessita di un cammino che aiuti a percorrerlo. Gli Stati Uniti hanno la Route 66, l’Australia la Savannah Way, l’Argentina la Ruta 40…»

21 ottobre 2012. di nuovo Cile, di nuovo Santiago
«La mia quarta volta inizia lì dove tutto era finito… stesso volo, stessa destinazione, stessa carovana… nuove emozioni.
Nemmeno Santiago, a dire il vero, sembra uguale. Al mio arrivo mi accoglie una città familiare: verde e pulita, allegra e ordinata, colorata e multietnica e io mi sento a mio agio quando, passeggiando tra le sue vie che sanno di primavera, penso che sono, di nuovo, una privilegiata.
L’Argentina, la Patagonia e la Ruta 40 sono già archiviate. È ora di guardare avanti e rivolgere lo sguardo verso Nord. Il deserto di Atacama e il Perú mi aspettano, e chissà in quale altro luogo sconosciuto e isolato vorrà portarmi Jolly (il nome che Ana ha dato al suo pick up, ndr)…»

12 novembre 2012. Perù, Iquitos
«Lo spettacolo della natura che mi si staglia davanti agli occhi lascia a bocca aperta: Iquitos è l’agglomerato urbano più grande al mondo senza strade d’accesso, è raggiungibile solo con l’aereo o via fiume. Oggi conta migliaia di abitanti, grazie al boom del caucciù alla fine del XIX secolo, e porta ancora sulle facciate degli edifici retaggi degli sfarzi coloniali, che le conferiscono un’aria bohémienne, da respirare e gustare a bordo di un motocarro, originale mezzo di trasporto a tre ruote che qui va per la maggiore.
Questo pueblo sarà il punto di partenza per la mia settimana selvaggia alla scoperta di questa parte di Perú che occupa oltre la metà del territorio nazionale, ma in cui ci vive solo il cinque per cento della popolazione.
Navigo per la prima volta nella mia vita sul rio delle Amazzoni, e in un battito d’ali di una farfalla mi ritrovo nel letto, mentre fuori i rumori della selva mi ricordano che domani si chiude un altro capitolo di questa spedizione. Preparo il bagaglio e i ricordi saltano fuori uno a uno: un delfino rosa che al tramonto emerge dalle acque marroni del Rio e colora tutto ciò che gli sta intorno… Un bradipo che in una pausa del suo perenne sonno alza gli occhi al cielo, quasi a volermi sgridare per averlo disturbato… Una scimmietta dispettosa che prova ad aprire il mio marsupio in cerca di cibo… Un boa constrictor che, immobile, fissa la sua preda… Una tarantola che alla luce della pila in un’escursione notturna si muove di scatto per catturare una falena…
Il mondo si muove intorno a me, e io non ho nessuna intenzione di fermarlo, vorrei solo continuare a stare qui.
Purtroppo, invece, il tempo è tiranno e a me non resta altro da fare che chiudere il bagaglio».

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