Storie. Pomodoro Doc

Si può conciliare il rispetto del paesaggio agricolo con grandi interventi d’architettura? Il noto scultore ci racconta la sua cantina... Progetto inaugurato lo scorso giugno nella campagna umbra, il Carapace della Tenuta Castelbuono rappresenta un unicum paesaggistico di grande valore.
 

«Una bella avventura». Così Arnaldo Pomodoro ha definito il suo coinvolgimento nella realizzazione della Cantina Il Carapace, in Umbria. Ed è proprio da questa ultima esperienza che sono nate alcune riflessioni sul tema arte contemporanea e territorio.
«È stato proprio studiando i luoghi che il progetto per Bevagna ha avuto un momento decisivo: la Tenuta Castelbuono è immersa in un ambiente naturale straordinariamente bello che ricorda i paesaggi raffigurati nei quadri di Piero della Francesca e degli artisti del Rinascimento, che sono affini ai luoghi del Montefeltro dove io sono nato. Il mio intervento non doveva turbare la dolcezza di quelle colline, dove protagonisti sono i vigneti, anzi doveva integrarsi perfettamente con l’ambiente».

Come mai ha accettato di partecipare a questa esperienza? Cosa l'ha convinta?
Ho sempre desiderato andare dentro la materia, ho sempre avuto grande curiosità di sapere cosa c’è all’interno della terra. Nella mia scultura è sempre presente una possibile e «impossibile» architettura, un’evoluzione verso la grande dimensione e un desiderio di vivere dentro l’opera... Perciò, quando la famiglia Lunelli mi ha chiesto di «disegnare» una cantina, ho accettato con grande entusiasmo e ora posso dire che camminare, parlare e bere dentro una mia scultura è stata un’emozione grandissima.

Che tipo di esperienza è stata?
Il problema è stato coniugare l’invenzione artistica con gli elementi funzionali e le migliori soluzioni tecniche per la produzione e la conservazione del vino, perché si tratta di un’opera che è allo stesso tempo architettonica e sculturale. Quindi, per me un’esperienza nuova e importante che riassume un po’ tutta la mia ricerca artistica. Vorrei citare le parole di Gillo Dorfles, che ha saputo ben sintetizzare il significato di questo mio lavoro, dicendo che nel Carapace «non è la scultura che si estroflette, è la scultura che si introflette e che quindi crea la sua spazialità».
Fin dai primi anni della mia attività, ero spinto a dialogare con lo spazio e, nello stesso tempo, a interpretarlo come contesto fondamentale per la scultura. Con il Carapace a Bevagna credo di avere realizzato un’opera di forte impatto visivo per il pubblico che viene a visitare la grande cantina e a degustare il vino, ma che sembra quasi appartenere al territorio. L’idea di dare alla cantina una forma che ricorda il carapace della tartaruga (da qui il nome dell’opera) è nata da una necessità strutturale di copertura, ma ha anche un valore simbolico in quanto serve a proteggere un elemento vivente, come è il vino.

Arte contemporanea e paesaggio. un mix possibile?
Le colate di cemento e le costruzioni abusive deturpano il paesaggio. La scultura, invece, quando si integra nel contesto in cui è posta e evita ogni monumentalità celebrativa, dà nuovo valore all’ambientazione architettonica o spaziale ed è come una creatura vivente: muta nel volgere della luce e delle ombre e nell’incontro con la gente diversa e, superando il limite di un’arte chiusa nei musei e nelle collezioni private, diventa dominio di tutti.

Ci sono progetti ai quali vorrebbe partecipare?
Penso al mio progetto per il nuovo cimitero di Urbino che risale al 1973, ma che non è stato realizzato, nonostante avesse vinto il concorso indetto dal Comune di Urbino e avesse suscitato grande apprezzamento. La collina urbinate era spaccata da solchi percorribili come strade con alte pareti in cui collocare le tombe, per creare un giardino scavato dentro la terra che si collegasse idealmente ad antichi modelli di culto funerario e si ispirasse all’ideologia cristiana dell’uguaglianza degli uomini di fronte alla morte. Io continuo a ritenerlo un’operazione innovativa, nella speranza che possa un giorno essere costruito in un altro luogo del mondo, perché sono certo che potrebbe collocarsi bene in molti altri contesti.

Arte e vino. due espressioni «dell’italianità» da preservare e valorizzare?
Sono ambiti differenti, ciascuno con le proprie specificità e forme di intervento e partecipazione; ma, sia l’espressione artistica sia la tradizione e la cultura del vino fanno parte della nostra storia e meritano la massima considerazione da parte di tutti.

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