di Isabella Brega | Fotografie di: Maurizio Fabbro,Corbis,Andrea Forlani
Una crociera d’altri tempi su un quattro alberi a vela. Dalla Germania alla Svezia, la riscoperta di un modo di viaggiare antico e nuovo, a misura di uomo e di barca. Con una grande attenzione per l’ospite e per i luoghi toccati. In navigazione sul Mar Baltico senza fretta e con un rinnovato rispetto per la natura circostante. NELLA GALLERY FOTOGRAFIE ESCLUSIVE PER IL WEB
Fuochi d’artificio e birra. Folla davanti ai chioschi che insieme a leccornie e bevande rimbalzano da uno all’altro immagini di uomini che rincorrono una palla. Si gioca Germania-Grecia: match sportivo, match economico, Merkel e orgoglio ellenico. «Non potete sbagliare. Appena fuori dalla stazione ferroviaria vedrete gli alberi della nave» avevano detto. Facile in altre occasioni, impresa più complessa quando il cielo è un puntaspilli trafitto da pennoni e vele di ogni tipo e il mare è pettinato da decine di imbarcazioni ormeggiate con teutonico ordine. È la festa di Kiel, kermesse musicale e gastronomica che precede la parata del 23 giugno e segna l’inizio della Kieler Woche, la maggiore manifestazione velica tedesca. Un mare di giovani sciama ordinatamente lungo il ponte diviso in due da una fila di transenne, neanche i cani si azzardano a scompigliare tanta ordinata confusione. Musica, wurstel, palchi con complessi rock, una piacevole sorpresa come inizio di questa crociera firmata Star Clippers.
Il tempo di ambientarsi e puntare agli alberi più imponenti ed ecco l’elegante sagoma di Star Flyer, con le sue grandi ali candide. Il cocktail di benvenuto sul ponte, le cabine foderate di legno e via a scoprire ogni angolo di questo purosangue marino bianco e oro. I ponti ingombri di corde e vele accasciate, la piccola piscina, le sdraio allineate, il ristorante e il bar sfavillanti di cristallo e di ottone, le stampe di brigantini che cavalcano onde spumeggianti. Non manca neanche un pianoforte bianco, appollaiato su una balconata. Su e giù fra lucidi corrimani e moquette: tre piani e tanta discreta eleganza. E poi la bomboniera di velluto rosso della libreria e il ponte coperto, cuore di tutte le attività della piccola comunità di viaggiatori che presto si forma. Lingue diverse, stessa voglia di viaggiare in modo autentico, di vivere un’esperienza lontana dalle crociere omologate, chiassose e bulimiche che monopolizzano il mare. Questo non è un prodotto che si acquista al supermarket del turismo ma una scelta consapevole e forte, un ritorno alla natura e ai suoi ritmi, alle sue tradizioni e alle sue leggi.
Il mare è lì, a portata di mano, schiaffeggia con forza gli oblò delle cabine durante le traversate, presenza forte e sentita, a tratti ingombrante, non il leggero solletichio percepito dalle mastodontiche navi che lo guardano dall’alto dei loro dodici ponti. Mare attore e non spettatore, palcoscenico di feste pseudomondane e abbuffate di mezzanotte. Complice o antagonista, ma sempre autentico. Così come il Baltico, forte, ruvido, a tratti duro, dai colori densi e opachi, che il giorno dopo, durante la parata che celebre il patto fra uomini e natura, si colora di vele e bandiere danesi, svedesi, tedesche, russe.
Puntini multicolori lungo le banchine e le spiagge mentre la carovana passa accanto al municipio e disdegna le scatole di acciaio e vetro delle lunghe passerelle dei terminal crocieristici. Noi siamo un’altra cosa, un altro mondo, sembra dire lo stormo che lascia trionfalmente Kiel per slanciarsi in mare aperto.
A mano a mano che ci si allontana, piccole imbarcazioni attendono i giganti del mare per unirsi come pesciolini alle balene e in poco tempo l’orizzonte è sfilacciato di vele aguzze come cocci di bottiglia, brulicante di navigli affollati di uomini e cani con giubbotto salvagente. Macchine fotografiche e cerate, caffè bollente e birra, sirene e saluti. E poi via, si parte senza più voltarsi. Via verso Rügen, la maggiore delle isole tedesche, con le sue località balneari d’antan e le bianche scogliere immortalate nella celebre tela di Caspar D. Friedrich, manifesto dell’inquietudine romantica. Via sotto un cielo pesante come piombo e carico di lacrime che si placa in un tramonto che affoga in una luce dorata le vele gonfie di vento. Il giorno dopo Rügen ci accoglie imbronciata. La pioggia accresce il fascino di queste coste frastagliate che nei primi del Novecento furono meta dei pittori dell’avanguardia tedesca, attratti da questa natura pagana, ispida e gentile che non conosce il pathos delle vette ma solo la monotonia rassicurante delle lunghe spiagge sabbiose e il conforto dell’orizzonte. Facile smarrire l’animo in tanta apparente monotonia.
Ambra, ambra, ambra. Danzica, seconda tappa del viaggio, sembra vivere solo nella riserva dorata del centro storico, ampiamente ricostruito, circondato da staccionate che nascondono ferite antiche e moderne, campi abbandonati e brutti palazzoni senza storia né gloria, un’eterna periferia. Un museo dell’ambra e oltre 3mila negozi che coprono il 65 per cento della produzione mondiale della preziosa resina fossile, la Porta d’Oro, le facciate allineate come soldatini dei palazzi della Strada Reale, la mole compatta della gru medievale. Ma Danzica è soprattutto la Polonia di Solidarnos´c´, il sindacato di Lech Walesa che portò alla caduta del comunismo e che è celebrato dallo sfoggio muscolare dei cantieri navali.
Il rito del rimorchiatore, con il suo pilota che ci conduce con sicurezza fuori dal porto, e si riparte per la Lettonia. In navigazione tutto torna ad avere un significato: i corrimani solidi, le corde robuste, le vele possenti, nulla è superfluo, eccessivo. Neanche il mare. Il Baltico, le sue onde lunghe sono il senso e il fine ultimo di questo viaggio che si nutre di grandi vuoti ma anche di movimenti lenti, più naturali e a misura d’uomo, che permettono di decantare sensazioni e immagini. I colori non sono quelli smaglianti del Mediterraneo e la natura, ancora padrona dei propri spazi, non mira a stupire con effetti speciali. Il senso di libertà dato dalla purezza delle linee e dalla semplicità del paesaggio, come dal rigore ritmato delle coste che si annunciano con voli di gabbiani solitari. Star Flyer non è un mezzo ma un organismo vivente che avvicina passeggeri e abitanti dei luoghi visitati. Proprio come un tempo, quando ogni arrivo era un evento e ogni partenza un’emozione.
Come nel porto di Ventspils, sesta città della Lettonia, dove la nostra presenza richiama una folla di bimbi con il naso in su e la bocca spalancata, persi in sogni di gloria e sordi alle spiegazioni di padri compiaciuti e pedanti. Sullo sfondo di anonimi casermoni, gigantesche condotte e panciuti depositi di gas arrugginiti fronteggiano edifici color pastello che sembrano appartenere a una dimensione che nulla ha a che fare con il nostro quotidiano. Una cittadina priva di orpelli, senza pretese e grilli per la testa. Aiuole curate, fontane, negozi con vestiti improponibili, finestre con doppi vetri che imprigionano poveri fiori e piccoli oggetti.
Un mondo piccolo semplice, silenzioso, di grande fascino. Una manciata di punti fermi: il castellotto giallo pulcino, la statua dell’eroe, la cattedrale neoclassica, le cipolle dorate della chiesa ortodossa, ma anche la biblioteca ipertecnologica, il percorso ciclabile, il wi-fi gratuito, lavori in corso per grandi spazi vuoti da riempire. Ieri e domani: Ventspils sembra priva di un oggi, tenacemente dimentica del passato pesante e retorico rappresentato dal gigantesco radiotelescopio usato per spiare l’Occidente, protesa in un futuro ricco di promesse e consumismo.
Penultima tappa, Visby, sull’isola di Gotland, punteggiata di villaggetti legati all’epopea vichinga, è già aria svedese. Antiche steli di pietra dell’età del Bronzo, pecore nere e rose. Paradiso naturalistico caro a Linneo e agli amanti delle sue lunghe spiagge solitarie, vanta un centro storico racchiuso da imponenti mura medievali e dominato dagli scheletri di una serie di chiese medievali abbandonate e con il cielo come tetto. Cittadina elegante e garbata tutta da scoprire, a piedi o in bicicletta, con il suo gioco di forme e di colori fa impazzire le macchine fotografiche prima dell’ultimo salto verso Stoccolma.
Il modo migliore per chiudere questa avventura velica è uno solo, confrontarsi con la regina dei velieri. La Vasa parla il linguaggio del potere. Mai l’imperizia di ieri si è così trasformata nella fortuna di oggi, mai un re è stato tanto umiliato nel proprio delirio di onnipotenza; nessun colpevole per la morte di una cinquantina di marinai di questa nave, il sogno marino della Svezia spezzato dall’arroganza di Gustavo Adolfo II e ingloriosamente naufragato al suo varo. Ora, in un suggestivo museo tutto per lui, cullato dalla penombra il dinosauro cela ferite nell’orgoglio e nel corpo che, mentre gli hanno negato un momento di gloria effimera, l’hanno reso immortale. È lì, si fa ammirare, certo di essere come non è mai stato e come sarà per l’eternità. Libero dal giogo di dover essere, finalmente padrone di se stesso.