di Marco Restelli | Fotografie di: Macduff Everton
Natura intatta di boschi, montagne e mare, templi e oasi di spiritualità, bagni termali fedeli a una tradizione secolare. Shikoku, la meno turistica e meno frequentata tra le quattro isole maggiori del Sol Levante propone ai visitatori un Giappone dalla grazia antica, lontano le mille miglia dalla frenesia delle metropoli. E regala pace - esteriore e interiore - a chi si spinge fino al lembo meno occidentalizzato dell'arcipelago giapponese.
Immerso fino al collo nel piacevole caldo dell’acqua termale, appoggiato al bordo della vasca all’aria aperta, apprezzo i profumi dei fiori e degli alberi mentre osservo il fitto bosco che circonda Iya Onsen, la stazione termale di Iya nella prefettura di Tokushima. Non si sentono suoni, a parte i versi degli uccelli nella foresta e il gorgoglio del vicino fiume Iya. Nella vasca fumante sono felicemente solo, allungo un braccio per bere un bicchierino di sake ghiacciato e chiudo un attimo gli occhi.
È un momento di magnifica pace, un’esperienza frequente negli onsen, le stazioni termali del Giappone, e ancor più qui, a Shikoku, la meno turistica e la meno frequentata (dai giapponesi stessi) fra le quattro isole maggiori del Sol Levante.
Scordatevi le luci al neon e la frenesia metropolitana di Tokyo o di Osaka: questo è un altro Giappone, con una grazia antica ancora per noi tutta da scoprire.
La pace – esteriore e interiore – è il primo dono che i visitatori ricevono all’arrivo in quest’isola, la meno occidentalizzata dell’arcipelago giapponese, la più legata alla cultura tradizionale.
Shikoku, poco popolata, è rimasta isolata per secoli, prima che in anni recenti fosse collegata al resto del Paese da lunghissimi ponti. È una terra di boschi e montagne, templi buddhisti e casette in stile tradizionale, antiche feste popolari e villaggi di pescatori sulle coste (dove si può mangiare il miglior sashimi di tutto il Giappone). E poi di onsen: il Sol Levante ha una ricchissima tradizione termale, con centinaia di stazioni in tutto il Paese, ma è nel verde di Shikoku che raggiungono il culmine della bellezza.
Mentre rifletto e mi rilasso a occhi chiusi nell’onsen, all’improvviso un’ondata mi sommerge: mi guardo in giro sbalordito e vedo il gigante di duecento chili che è entrato nella vasca. Dalla mole straordinaria e dai capelli raccolti in un codino capisco che si tratta di un lottatore di sumo. È un ragazzo di poco più di vent’anni che nonostante le dimensioni ora si muove nell’acqua con sorprendente leggerezza cercando di non disturbarmi: non si aspettava di trovare un occidentale (nudo come lui) in un luogo così giapponese. Gli sorrido: l’esperienza termale nipponica – ben diversa dalla nostra – può provocare qualche imbarazzo anche a noi occidentali.
A me è accaduto in un’altra stazione termale, la più famosa del Giappone, Dogo Onsen: si trova a Matsuyama, sempre su Shikoku, nella prefettura di Ehime. È un’istituzione gloriosa....
… È un’istituzione gloriosa, antica di tremila anni; è stata frequentata da numerosi imperatori e le sue vasche sono divise fra «acque degli Dei» e «acque dello Spirito».
Prima di provare l'ebbrezza dei bagni imperiali è doveroso lavarsi con minuzia estrema stando seduti su sgabellini e versandosi addosso secchiate e secchiate d’acqua. Purtroppo i giapponesi sono convinti che noi occidentali curiamo poco l’igiene (anche se non lo ammetterebbero mai in una conversazione) perciò può essere un po’ imbarazzante lavarsi mentre si viene scrutati dagli occhi curiosi di una piccola folla di nipponici nudi. Ma ne vale la pena: «Non sei mai entrato nell’acqua termale se non sei entrato nelle vasche di Dogo Onsen», dice un proverbio locale.
Tradizioni, spiritualità, natura: sono le parole magiche di quest’isola dove la vita ha ancora un ritmo lento, dove i bagni termali simboleggiano un ritorno alla purezza dello spirito e i giardini non sono semplici parchi ma vere opere d’arte, «scolpite» nei secoli da pazienti architetti del verde che hanno meditato sulla collocazione di ogni fiore, ogni albero, ogni sasso. La contemplazione, in Giappone, è un esercizio spirituale che mira a incorporare le qualità di ciò che si contempla: quindi se un giardino è armonioso anche chi lo contempla diventa armonioso. Per vivere quest’emozione basta entrare nel Ritsurin Koen, un giardino del XVII secolo – capolavoro assoluto di quest’arte – che si trova nella città di Takamatsu (prefettura di Kagawa): fra laghetti, isolotti, ponticelli e case da tè, la fioritura dei ciliegi è uno spettacolo indimenticabile.
Tradizione e spiritualità si intrecciano pure nel modo giapponese di vivere le montagne, sacre in quanto abitate dai kami, gli spiriti della natura venerati dalla religione shintoista. E sui monti di Shikoku si svolge il più antico e celebrato pellegrinaggio del Giappone: è chiamato «il pellegrinaggio degli 88 templi» perché tanti sono i templi buddhisti da raggiungere in un percorso di 1.400 chilometri che a piedi richiede uno-due mesi. La tradizione risale a un importante santo buddhista dell’ottavo secolo d.C., Kobo Daishi, fondatore della scuola shingon (il tantrismo esoterico giapponese); ma i devoti arrivano ancora oggi, accolti con simpatia dagli isolani che spesso li ospitano e li nutrono.
Il pellegrino è riconoscibile da una sorta di divisa tradizionale acquistabile in molti templi: cappello a pagoda fatto di strisce di bambù...
...cappello a pagoda fatto di strisce di bambù ricoperte da tela bianca, lungo bastone con due campanellini, giacca e pantaloni bianchi. La ragione di questo abbigliamento? Il bianco è il colore del lutto in Giappone: sta a indicare che durante il pellegrinaggio la persona che lo compie è morta al mondo, è in ritiro spirituale per liberarsi dal proprio karma negativo.
Di recente questo percorso è diventato meta anche di alcuni turisti ed escursionisti occidentali, attirati sia dai tesori d’arte dei templi sia dai panorami fra boschi e rocce a strapiombo sul mare; soprattutto nella prefettura di Kochi, paradiso per campeggiatori, escursionisti, amanti della canoa e del rafting. È un percorso circolare lungo il perimetro dell’isola e costituisce un ottimo modo per vedere tutta Shikoku, ma oggi ben pochi hanno tanto tempo a disposizione: farne anche solo una parte è comunque molto piacevole, tanto più che parecchi luoghi sacri sono ormai raggiungibili in macchina o in autobus.
In ogni caso tutti – giapponesi e occidentali, devoti e no – rimangono colpiti dal fascino di quest’esperienza. Così come suscita sempre entusiasmo partecipare alle feste popolari tradizionali. La più famosa – in grado di attirare un milione di spettatori – è l’Awa Dance Festival che si tiene a metà agosto a Tokushima: per tre giorni e tre notti, in un clima di allegra follia collettiva, i cittadini scendono nelle strade per eseguire in gruppi – vestiti in abiti tradizionali – le coreografie dei «pazzi danzanti».
Al suono di tamburi, flauti e liuti si susseguono i balli e i canti dei gruppi maschili e dei gruppi femminili. Il ritornello più comune dice: «Siamo folli noi a danzare e siete folli voi a guardarci. Perché allora non vi unite alla danza?».