Gastronomia. Maremma che piatti

Un viaggio alla scoperta della cucina (di terra e di mare) del promontorio dell'Argentario, dove assaggiare una Maremma differente, tra anguille e cinghiale

Esiste un’isola che non è un’isola. Una rocca verde che traspira timo, mirto, biancospino e lentisco legata alla costa da tre lingue di terra. In mezzo, la laguna. Questo frammento di Maremma si chiama Monte Argentario, in provincia di Grosseto. Ma Argentario è un toponimo che comprende un territorio più vasto e coinvolge le isole del Giglio e di Giannutri e una porzione di costa maremmana, da Talamone a Capalbio. A Orbetello, l’ambiente lagunare offre meraviglie uniche in Toscana. Come sua maestà l’anguilla. Che viene affumicata, marinata e poi condita con una salsa a base di peperone chiamata «pimento». Forse è un lascito gastronomico del possedimento spagnolo: lo Stato dei Presidii. Oggi gli unici presidi rimasti sono quelli di Slow Food. Come la bottarga di Orbetello, ricavata dalle uova del cefalo. O la palamita, cugina dei tonni, i cui filetti si mettono sott’olio con foglie di alloro e pepe. Altre bontà sono l’ombrina e il cefalo affumicati e lo scaveccio, anguilla marinata e condita con aceto bollito. Delizie da assaggiare (e acquistare) al centro degustazione I pescatori, scuderia trasformata in ristorante e affidata allo chef Davide Sergio. Con la ricevuta del conto si può fare una gita gratuita in battello nella laguna. Il tutto è gestito dalla società agricola Orbetello pesca lagunare. Sempre a Orbetello consigliamo il punto vendita di Campagna Amica, farmer market di Coldiretti: ortaggi, frutta di stagione, olio, vino, formaggi, miele e altre produzioni locali (in piazza Antonelli 1).

L’abbinamento ideale per le ricette di pesce è la doc ansonica Costa dell’Argentario, un vino bianco che si produce da secoli in zona: vitigni e cantine si trovano a Manciano, Orbetello e a Capalbio, ma anche sul Monte Argentario e addirittura al Giglio. L’isola, oltre al relitto della Concordia, offre infatti antichi vitigni da poco riscoperti.  Tornando a terra si sente bisogno di carne: in fondo siamo in Maremma. Bastano pochi chilometri nell’entroterra e si raggiunge Capalbio. Forse non è più la roccaforte vacanziera della sinistra radical chic, ma di certo è ancora una mecca della cacciagione. Cinghiale alla cacciatora, capriolo alla palma ma anche le lumache: tutte ricette da accompagnare con il vino Capalbio doc. Ma la storia della Maremma, non solo culinaria, si sintetizza in un piatto: l’acquacotta. L’essenzialità, la povertà della ricetta prevede proprio acqua al posto del brodo. È uno di quei piatti dove si metteva ciò che si trovava nelle cucine contadine: cipolla, olio, pomodoro, odori, pane raffermo. Alla fine si aggiungevano uova e un pizzico di pecorino. È un piatto strepitoso, talvolta proposto con il brodo e altre nefandezze che nel tentativo di nobilitarlo lo stravolgono. Ma è proprio l’acqua che racconta la storia di questo piatto e del suo mondo.

Posto d’incanto davanti al mare, il ristorante dell’hotel Il Pellicano di Porto Ercole è tappa d’obbligo per i gourmet. Lo storico resort 5 stelle che ha ospitato Charlie Chaplin e i reali d’Olanda ha due meritatissime stelle Michelin e una stella in cucina, il salentino Antonio Guida. Certo i prezzi non sono da trattoria, ma l’esperienza vale fino all’ultimo euro speso. Per la location, ma soprattutto per le proposte dello chef. Una mano felice, con un tocco francese che esalta le grandi materie prime della zona. Piatto d’artista è il risotto al nero di seppia con calamaretti e crema di riso alla curcuma, bello da vedere e strepitoso da mangiare. Molto pesce quindi, ma non manca, in autunno, la cacciagione. Eccentrica la scelta di mettere in carta il pollo, ma «ficatum», alimentato cioè con fichi secchi macinati. Grandi i dolci di Nicola Di Lena, golosi e leggeri.

Ristorante Il Pellicano, località Lo Sbarcatello, Porto Ercole (Gr), tel. 0564.858111;
www.pellicanohotel.com

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