di Giuliano Malatesta | Fotografie di: Cuboimages,Contrasto,Alexandre Gelebart/Contrasto,Gunnar Knechtel/Contrasto,Ruth Tomlinson/Cuboimages
La Languedoc-Roussillon, nel sud della Francia, è definita spesso la "nuova Provenza", senza però l'assalto del turismo di massa. Ideale per viaggi lenti, in bicicletta e houseboat, è un alternarsi di villaggi, città medievali e scorci che hanno a lungo ispirato Matisse e Derain. E non manca ovviamente il coté gastronomico, tra vino e sapori da gustare con piacere, ma soprattutto con calma.
La «nuova provenza», come da queste parti la chiamano le agenzie immobiliari che hanno fiutato il business, si trova qualche centinaio di chilometri più a Ovest, affacciata sul mar Mediterraneo ma con vista sulle pendici innevate dei Pirenei. Per una volta, però, dimenticatevi i profumati campi di lavanda, gli odori di spezie e le signorili dimore di campagna. Perché nella regione del Languedoc-Roussillon si respira ancora passione catalana, nei villaggi più rurali si balla la sardane, una danza tradizionale, e la corrida resta, più che in alcune zone di Spagna, un sentimento popolare. In questi luoghi, dove spadroneggia la cuisine campagnarde, si viene per bere ottimo vino, camminare sui Pirenei e prendere il sole sulla Côte Vermeille, una Costa Azzurra in miniatura ma un po’ meno branché, resa celebre dalla sensuale luce di Collioure, un fascinoso porticciolo che agli inizi del Novecento richiamò una nutrita pattuglia di pittori, capeggiati da Matisse e Derain, che diedero vita al movimento del fauvismo, elevando il colore puro a ultimo simbolo di libertà. Ma negli ultimi anni la regione è diventata meta di un turismo lento ed ecologico, che sempre più si dirige in queste terre di Francia per risalire il canal du Midi o, come lo chiamano i locali, la longue randonnée. Un percorso navigabile lungo 240 chilometri e largo tra i 15 e i 20 metri che unisce il porto di Sète, il più grande porto peschereccio di Francia sul Mediterraneo, alla città di Tolosa, prima tappa di un percorso che collega l’Atlantico al Mediterraneo. «Ci voleva tutta la pazzia di un modesto esattore di imposte di Béziers per portare a termine una delle più fenomenali opere di ingegneria idraulica del XVII secolo», mi spiega il funzionario comunale di questa cittadina del Sud della Francia, distante una manciata di chilometri dal mar Mediterraneo, indicandomi la strada da seguire per raggiungere il canale, inaugurato nel 1681 dopo 14 anni di lavoro e l’impiego di ben 12mila uomini. Grazie all’idea un po’ folle di Pierre-Paul Riquet, un ingegnere ed esattore francese di Béziers che aveva sognato di costruire una via navigabile andando dal Mediterraneo all’Atlantico per evitare di circumnavigare la Spagna, all’epoca potenziale nemica. Oggi il Canal du Midi resta uno dei più antichi canali d’Europa ancora in funzione, percorso da houseboat abitate da famiglie con il padre al timone e i figli di vedetta.
Ma in una terra dove sono nati i primi ciclisti professionisti non poteva certo mancare un’alternativa per le due ruote. Da queste parti, d’altronde, la bicicletta non è solo un deambulare più veloce servendosi di un mezzo meccanico, ma una vera cultura diffusa soprattutto nelle campagne. E le vélo, come chiamano la bici in francese, è riconosciuto come un mezzo di trasporto vero, con tutto quel che ne consegue: moderne piste ciclabili, spazi riservati sui treni, sconti per cicloviaggiatori, macchine attente a non metterti sotto e albergatori che ti aspettano festosamente e senza considerarti alla stregua di uno straccione ambulante, come sovente avviene dalle nostre parti. Superando Béziers in direzione di Tolosa raggiungiamo la pista ciclabile, un sentiero acciottolato e ombroso nascosto da platani giganti che segue gli argini del canale zigzagando tra rive droite e rive gauche, e dopo un’ora di rassicurante pedalata ci imbattiamo nelle Écluses de Fonserannes, una delle opere più imponenti di tutto il percorso, composta da nove chiuse (sono 63 lungo tutto il canale), di cui otto ancora in funzione, che superano un dislivello di 21 metri e mezzo su una lunghezza di oltre 300 metri. «Una meraviglia formata da otto bacini di forma ovoidale e nove porte», racconta Philippe Calas, esperto della zona e autore della guida Le canal du Midi à vélo, evidenziando che alcune chiuse sono oramai diventate automatizzate ma che ne rimangono molte altre, in particolare tra Carcassonne e Tolosa, dove la manualità svolge ancora un ruolo predominante. Lungo il cammino, mi spiega con una punta di orgoglio molto francese che la tecnologia non ha del tutto preso il sopravvento e sono circa 350 le persone che ancora lavorano durante l’anno per far funzionare il canale.
Il tempo di approfittare della sosta per una fugace merenda a base di chèvre ed erbe aromatiche e siamo nuovamente in sella, seguendo un percorso dove perdersi sembra impossibile, considerato che sul muro di ogni chiusa una placca indica direzione e chilometri della successiva. In breve si arriva Le Somail, un piccolo e incantato villaggio adagiato sulle rive del canale, volendo luogo ideale per una sosta notturna. Ma non serve essere un passista alla Indurain o ricordare il motto di Marco Pantani, «vado così forte per abbreviare la mia agonia», per fare un ultimo sforzo e tirare fino a Carcassonne, dove l’arrivo al tramonto con vista dei contrafforti medievali della fortezza-cittadella, ripaga delle fatiche di giornata. Qui riposavano le armate dei re di Francia venute a estirpare l’eresia catara e a sterminare tutti i suoi fedeli. Luoghi che adesso sono stati restaurati e trasformati in botteghe di artigiani dove si vendono soprattutto terrecotte marroni, tipiche della zona. Il giorno successivo giro d’ordinanza ai mercati della ville basse e poi ancora sui pedali lungo l’argine del canale seguendo un sentiero sconnesso. Questa volta la destinazione finale di tappa è obbligata: Castelnaudary, sede della Legione straniera francese ma soprattutto celebre per il suo cassoulet, superbo piatto contadino di maiale, anatra e fagioli bianchi, a cui da queste parti manca soltanto la beatificazione. Il cassoulet «è il Dio della cucina occitana – chiarisce serioso un critico gastronomico locale – la versione di Castelnaudary è il Padre, quella di Carcassonne il figlio e quella di Tolosa lo Spirito Santo». Ultime fatiche e la mattina seguente una pista meravigliosa e liscia come il marmo ci conduce in meno di tre ore fin dentro il centro di Tolosa, la ville rose. Il canal du Midi termina qui, in questa città universitaria e dinamica che sembra fare il verso alla Catalogna e dalla quale si intravedono a sud le cime dei Pirenei. Ma il sentiero d’acqua prosegue, perché da Tolosa il canal du Midi lascia il posto al canal de la Garonne, che conduce fino a Bordeaux, sulla costa atlantica. Esattamente come aveva immaginato l’esattore di Béziers, morto in bancarotta un anno prima dell’inaugurazione del canale.