di Laura Sommariva | Fotografie di: Dave Yoder / National Geographic Society
Tra piazza Taksim e il Bosforo, la metropoli turca è piena di sorprese: Cihangir è il posto dove si susseguono i locali più trendy del momento, come il 5kat e lo Smyrna, dove hanno scelto di vivere gli intellettuali e gli artisti e dove ha lo studio anche il premio Nobel per la letteratura Ohran Pamuk. A due passi c'è Çucurkuma, un’altra delle zone che fa tendenza, amata e frequentata dai giovani. Nel medioevo era la zona commerciale, dove arrivavano prima le novità dell’era moderna. Qui Oriente e Occidente, vecchio e nuovo, tradizione e modernità si incontrano. E qui si trovano i souvenir più belli. Altro che Gran Bazar...
Interno notte. Quinto piano di uno stabile un po' fatiscente. Per raggiungerlo, Non un vero ascensore, ma un montacarichi scricchiolante. A guidarvi nell’oscurità solo un’insegna a forma di angelo e una leggera inquietudine che, varcata la soglia del locale, muta in meraviglia. La vista attraverso le ampie vetrate che si aprono sulla notte del Bosforo è quasi una folgorazione. Mille luci incorniciano il mare: i grattacieli, i minareti, i traghetti che collegano Europa e Asia, le barche dei pescatori, le luci delle case degli oltre 13 milioni di abitanti della metropoli turca. Il 5Kat è uno dei locali più alla moda di Istanbul, ma trovarlo non è facile, anche se è a due passi da piazza Taksim. Non a caso è a Cihangir, il quartiere più anticonvenzionale della città. Colonizzato dall’intellighenzia turca negli anni Ottanta, per la posizione centrale e i prezzi bassi degli affitti, e trasformato dal fenomeno della gentrification – l’ineluttabile fenomeno immobiliare per cui la borghesia benestante subentra agli artisti squattrinati – in una zona di gran moda, zeppa di localini di tendenza, di single (anche donne, cosa rara altrove in Turchia, persino a Istanbul), di stelle del cinema e della televisione e, ovviamente, di stranieri traslocati qui dal lavoro o dall’amore.
Sui fianchi della collina che da Taksim scende verso i pontili di Karaköy e gli spazi espositivi della Istanbul Modern (fra le sedi della Biennale di Design di Istanbul, in programma dal 13 ottobre al 12 dicembre), si inerpicano ripide viuzze alberate su cui affacciano i bovindo di romantiche palazzine d’epoca. Sembra quasi di essere a Parigi nel Marais, dove le botteghe creative e i ristorantini bio-fusion convivono con negozi di lampadari e magazzini di robivecchi.
Kati Hirschel, la libraia investigatrice nata dalla penna di Esmahan Aykol del recente romanzo Divorzio alla turca (pubblicato in Italia da Sellerio), nella seconda puntata delle sue avventure – L’appartamento a Istanbul – è disposta a tutto pur di aggiudicarsi una casa da queste parti. La Libera Repubblica di Cihangir – così è stata definita, a sottolineare la sua alterità rispetto al resto di Istanbul e della Turchia – è il posto dove hanno scelto di vivere gli intellettuali e gli artisti istanbulioti.
Ovviamente, anche il premio Nobel per la letteratura Ohran Pamuk ha lo studio in zona, anche se la sua nuova creazione, dal suggestivo nome di Museo dell’innocenza, lo ha invece recentemente aperto poco lontano, ma sul lato opposto di Istiklal caddessi, in una palazzina tutta rossa e fresca di restauro. Ideato e allestito dallo stesso scrittore, raccoglie oggetti di ogni genere in 83 vetrinette, una per ogni capitolo del suo omonimo romanzo, storia della passione impossibile e invincibile fra Kemal e Füsun, due ragazzi di una Istanbul che non esiste più.
Definito dallo stesso Pamuk «un museo sentimentale della città» e ispirato alle wunderkammer rinascimentali, è parte di un progetto che ha richiesto quindici anni di realizzazione e che dovrebbe presto concludersi con la pubblicazione di un catalogo in forma di romanzo. Sicuramente è un altro indirizzo da non perdere a Çucurkuma. Memorizzate questo nome (si pronuncia ciu-kur-ju-ma), perché vi innamorerete anche di questo quartiere, che diventerà per voi come per molti altri, compreso il regista italo-turco Ferzan Özpetek, il luogo dove aggirarsi per capire dove sta andando – e con uno stile tutto suo – la metropoli turca. Sono ambientate qui molte scene del film Ai confini del paradiso, firmato da un altro regista di culto, il tedesco di origine turca Fatih Akin (quello, per intenderci, di La sposa turca e del più recente Soul kitchen). Basta seguire le rotaie del tram di Istiklal caddesi verso Taksim e, una volta giunti davanti ai cancelli dorati del glorioso liceo Galatasaray, lasciarsi alle spalle le vetrine dei grandi marchi internazionali e i ristoranti con le fotografie sui menu.
Svoltando a sinistra in Cezayir sokagi (via Algeria, che prima si chiamava Fransiz sokagi, via Francia: il nome è stato polemicamente cambiato quando il governo transalpino ha riconosciuto il genocidio armeno), si scopre un’altra delle zone che fa tendenza in città, amata e frequentata dai giovani. Sebbene considerata fuori dai confini cittadini nel medioevo, fin da allora questa è sempre stata la zona commerciale, dove si stabilirono i mercanti genovesi e veneziani. Qui, ai piedi della Torre di Galata, arrivarono prima che altrove le novità dell’era moderna, come telefono, treni, tram, bar, pasticcerie, luce elettrica e gallerie commerciali. A Çucurkuma Oriente e Occidente, vecchio e nuovo, tradizione e modernità si incontrano da sempre. Spesso nella vetrina dello stesso negozio. Oggi accanto agli antiquari hanno aperto gli atelier di giovani designer e degli stilisti che fanno tendenza. Dimenticatevi del Gran Bazar: se volete ritornare a casa con un souvenir strepitoso andate a caccia in queste strade, nonostante i prezzi stiano diventando sempre più salati.
Cihangir e Çucurkuma sono la vera sorpresa per il viaggiatore che arriva per la prima volta a Istanbul, preparato soprattutto a una città da cartolina, di bazar e antichi monumenti. Lontano dalla sfarzosa immagine di Sultanahmet, è qui, sulla sponda opposta al Corno d’Oro, che vive la nuova metropoli, in cui il tanto ricercato incontro di civiltà, così assente nel mondo moderno da diventare utopia, è laboratorio e realtà quotidiana.
Come in un viaggio nella macchina del tempo, però, basta attraversare il ponte di Galata, fra i pescatori della domenica e l’andirivieni delle imbarcazioni sul Bosforo, per ritrovare la favola dell’antica Costantinopoli. La Moschea Blu, illuminata di giallo la sera con i gabbiani attorno ai minareti, missili puntati verso la luna, veglia sul Corno d’Oro insieme alla moschea del Solimano, la più grande, quella che si vede da ogni punto della metropoli.
Poco più in basso il leggendario Topkapı, lo straordinario dedalo di padiglioni e cortili, giardini e biblioteche dove viveva la famiglia allargata del sultano – madre, fratelli, mogli e concubine fino al numero di mille – trasformato in museo da Kemal Atatürk, primo presidente ed eroe nazionale dell’indipendenza.
E poi lo specchio magico della Cisterna basilica, l’antico serbatoio per l’acqua che sembra una chiesa (la medusa alla base di una delle colonne è capovolta, per dribblare, come suggerisce il mito, il suo sguardo pietrificatore). E ancora S. Salvatore in Chora, preziosa galleria di affreschi e mosaici del XIV secolo, oggi museo come Aya Sofya, nel VI secolo la chiesa della Divina Sapienza, eretta dall’imperatore romano Giustiniano e divenuta poi moschea. In questo spazio basilicale, che non ha uguali per respiro e grandezza, con i simboli dell’Islam che sono puri grafismi astratti, i greci anziani ancora si recano in pellegrinaggio per riannodare i fili di una storia dolorosa e mai dimenticata. Istanbul per loro è ancora e soprattutto la città dove risiede Bartolomeo I, il patriarca ecumenico della Chiesa ortodossa d’Oriente. E ancora, la stazione di Sirkeci, dove dal 1899 fermava l’Orient Express, il treno che fino agli anni Cinquanta incarnò l’esotismo di lusso, dopo aver percorso 2.900 chilometri da Parigi in tre giorni di viaggio. E, infine, il variopinto teatro dei bazar, da quello piccolo e profumato delle spezie, dedicato soprattutto ai generi alimentari, all’oscuro ventre del Grand Bazar, che con i suoi 4mila negozi, dai gioielli ai tappeti a tutto quanto fa Turchia, può dare la vertigine anche al più irriducibile degli spendaccioni.
Quanto è distante l’antica costantinopoli dalla moderna Istanbul? Almeno quanto le tradizionali sale da tè di Sultanahmet dalle terrazze di design di Cihangir o i chioschi di döner kebab di Üsküdar, sull’emergente sponda asiatica, dai ristorantini vegetariani di Çucurkuma. Una identità completa e spiega l’altra e insieme compongono il volto seducente di questa metropoli unica, fra le più elettrizzanti e vitali del pianeta, che Jean Cocteau avrebbe oggi qualche esitazione a definire solo «una vecchia prima donna, coperta di gioielli e antiche glorie».