di Tino Mantarro | Fotografie di: Daniel Simon/Corbis,Andreas Ellinger/Corbis,Corbis
Mai come oggi viaggiare e muoversi su due ruote rappresenta una grande opportunità. Per coglierla servono investimenti coordinati e una politica lungimirante, nonché garanzie per la sicurezza dei ciclisti. Il 30 settembre Touring presenta un’idea originale per non perdere questo ritorno di fiamma: il Parco cicloturistico dei Navigli.
Non serve un matematico per capire che l’equazione è sbagliata. «Spesso si pensa che il turismo in bicicletta sia uguale ai ciclisti con tutina attillata e bici da corsa che la domenica mattina riempiono le statali» spiega Elena Riatti, direttrice di Girolibero, agenzia veneta specializzata in viaggi su due ruote. Niente di più fuorviante. «Il cicloturismo si fa in maglietta e scarpe da tennis, senza bisogno di essere troppo allenati. Perché il cicloturismo è un’esperienza alla portata di tutti, pensata per famiglie e persone che amano pedalare, senza essere sportivi» prosegue Riatti. Un’esperienza che sempre più persone vorrebbero provare, racconta Luca Magrin, direttore di Jonas, agenzia che dal 1988 si è specializzata in turismo in bicicletta. «Quando abbiamo iniziato i nostri clienti erano ventenni alternativi che volevano fare una vacanza diversa. Oggi il pubblico si è allargato anagraficamente ed è diventato trasversale: il cicloturismo ha preso piede nonostante le inerzie e i ritardi del nostro Paese».
Il 2012, vuoi per la crisi, vuoi per un ritrovato senso ambientalista, sembra essere davvero l’anno della riscossa delle due ruote. Mai come adesso la bicicletta è di moda: laboratori artigianali sfornano modelli eleganti, stilisti griffano manubri e telai, alcune amministrazioni locali la riconsiderano un mezzo di trasporto a tutti gli effetti e la sicurezza dei ciclisti diventa un tema di dibattito pubblico. Qualcosa, forse, sta cambiando. Certo, ma in campo turistico siamo incredibilmente in ritardo. Se il pubblico potenziale è cresciuto, l’offerta latita e i turisti preferiscono l’estero. «Su 15 viaggi che organizziamo solo due o tre sono in Italia. E quando li facciamo sono con un accompagnatore e con gruppi ristretti perché le condizioni non permettono altrimenti» prosegue Magrin.
Ma che cosa manca al nostro Paese per sviluppare il cicloturismo? «Mancano i servizi: poter prendere con facilità un treno o un battello lungo il percorso. Mancano sistemazioni adatte cui appoggiarsi, officine attrezzate, la possibilità di avere assistenza e una rete estesa di servizi pensati per chi fa questo tipo di vacanze» spiega Magrin. Così si arriva al paradosso che racconta Alessandro Cresto, direttore di Dolcevita biketour, un tour operator attivo in Sardegna: «Quest’anno avevamo un gruppo di dieci turisti canadesi che arrivavano con le loro biciclette. Dal Canada tutto bene, poi da Roma a Cagliari si sono dovuti dividere su tre voli e perdere una giornata in aeroporto. La compagnia non accetta più di quattro biciclette per volo». Eppure in Sardegna il cicloturismo sarebbe fondamentale per destagionalizzare. «Si lavora da febbraio a novembre, ma qui si è fermi all’idea del turismo balneare e non si riesce a fare passi avanti» conclude Cresto.
Se le precondizioni ci sarebbero, quel che è mancato finora è uno sforzo globale per lo sviluppo del settore. «Dovrebbe essere una scelta di sistema. Bisognerebbe crederci e investire di conseguenza adottando una politica coerente di sviluppo infrastrutturale, ma anche di creazione e offerta del prodotto turistico» spiega Magrin. Invece ognuno pensa per sé. «In questi anni si sono costruite tante ciclabili, ma sempre a spizzichi e bocconi, non si è creata una rete organica di piste. I comuni hanno costruito piste per uso urbano, non pensate per il turismo ma solo per accontentare i propri cittadini» commenta Riatti. «Tutto invece dovrebbe essere pensato dalla testa, ma il ministero dei Trasporti l’ultima cosa che fa è pensare alle biciclette» aggiunge Magrin.
Eppure, dove si è investito in maniera coerente, i risultati sono arrivati. «In Trentino abbiamo iniziato a progettare interventi per la mobilità alternativa nel 1988 e da allora sono stati investiti 120 milioni di euro» spiega Marcello Pallaoro, direttore dell’ufficio ciclabilità della provincia autonoma di Trento. «Il risultato sono 410 chilometri di ciclabili che coprono tutti i principali fondovalle e che nel 2011 hanno visto transitare almeno 800mila persone». Non tutti turisti, visto che in provincia di Trento l’intento principale è stato sviluppare una rete per la mobilità alternativa. «Le piste servono per permettere ai nostri concittadini di poter effettuare in sicurezza gli spostamenti a breve raggio tra casa-lavoro, perché come testimoniano tutte le ricerche: sotto i cinque chilometri la bici è il mezzo più economico e veloce» aggiunge Pallaoro. Per questo in Trentino la finalità è sempre doppia. «La legge del 2010 dice che la creazione di piste ciclabili deve servire anche a sviluppare la conoscenza del territorio attraverso un turismo sostenibile».
Stessi ottimi risultati in Alto Adige. «Da noi la rete di ciclabili che ricalca il corso dei fiumi è completata e dallo scorso anno interamente interconnessa» spiega Hugo Gotsch, presidente dell’associazione Bici Alto Adige. «Chi vuole può fare la traversata da ovest a est, dal passo Resia al confine di Dobbiaco interamente in sede protetta». In provincia di Bolzano negli ultimi anni hanno puntato a sviluppare tutti i servizi che rendono una ciclabile appetibile al cicloturismo. «Con l’inaugurazione del treno della val Venosta, nel 2005, il cicloturismo è aumentato. La possibilità di poter combinare l’uso delle due ruote e della ferrovia, l’apertura di vari punti noleggio in tutta la Provincia e la creazione di una Bikemobilcard che permette di usare treno, bicinoleggio e trasporto pubblico, ha dato al cicloturismo un ulteriore impulso» spiega l’assessore alla Mobilità Thomas Widmann. I dati premiano queste scelte: nel primo anno sono state vendute quasi 20mila Bikemobilcard e nei primi mesi di quest’anno l’incremento è del 30 per cento, mentre i 23 noleggiatori del circuito lo scorso anno hanno affittato 130mila biciclette.
«Dal 2001 in Trentino abbiamo sperimentato i bicigrill: strutture pensate come le vecchie stazioni di posta dove i ciclisti trovano un punto ristoro, servizi igienici, assistenza meccanica e un punto informazioni turistiche» prosegue Pallaoro. Oggi ce ne sono cinque. A Nomi, lungo l’asta dell’Adige lo scorso anno si sono avuti 180mila visitatori. «Dove ci sono le strutture il successo è tale che cominciamo ad avere problemi di sovraffollamento» racconta Pallaoro. La conferma che se si investe con intelligenza e lungimiranza i risultati arrivano. Queste esperienze virtuose non sono state replicate nel resto d’Italia. Questo nonostante il cicloturista abbia un profilo turistico molto interessante per diversificare, sia temporalmente sia fisicamente, il mercato degli arrivi. Lo spiega bene la ricerca commissionata nel 2010 dalla rete Eurovelo al Centro per il trasporto e il turismo sostenibile dell’università di Breda, in Olanda: «I cicloturisti percorrono rotte lontane dai circuiti del turismo di massa e dunque supportano concretamente le economie locali, soprattutto nelle zone rurali, contribuendo in maniera determinante a destagionalizzare gli arrivi e sfruttando in modo bilanciato le risorse esistenti». Non solo. La stessa ricerca evidenzia come il turista su due ruote non sia un alternativo senza molti soldi da spendere. Tutt’altro. Dal punto di vista economico rappresenta un buon affare. «In Europa – si legge – il turismo in bicicletta genera un volume di affari di 54 miliardi di euro, la spesa media per persona arriva a cento euro al giorno».
Siamo dunque in presenza di un mercato potenzialmente redditizio che però il sistema Italia non riesce a intercettare. «In questo settore il mercato fa l’offerta. O crei un prodotto cicloturistico integrato e completo o altrimenti non riesci a sviluppare la domanda. E se non hai un prodotto il pubblico potenziale va dove sono più pronti, ovvero all’estero» spiega Massimiliano Vavassori, direttore del Centro studi Tci. Anche perché, oltre ai problemi strutturali, esistono difficoltà di gestione. «In Italia in alta stagione è difficile convincere un albergatore a dare una camera per una notte sola, vogliono settimane intere. Ma questo è un turismo itinerante per definizione. Gli albergatori si difendono dicendo che non ci sono i numeri che giustifichino: ma se non si offrono le possibilità non si creeranno mai i numeri» spiega Riatti. Negli ultimi anni qualcosa si è mosso: in alcune zone sono stati creati i bikehotel che offrono servizi – dall’officina ai pranzi al sacco – pensati per i cicloturisti. Ma è ancora poco. Siamo dunque lontani anche solo dall’immaginare qualcosa di simile alla Passau-Vienna, la ciclabile più famosa d’Europa. «Trecento chilometri lungo il Danubio che si percorrono con tranquillità in una settimana» racconta Tina Haderer, dell’ufficio turistico dell’Alta Austria. «Il progetto è iniziato alla fine degli anni Ottanta per rivitalizzare una zona che turisticamente non era appetibile» spiega. Ogni anno 50mila persone percorrono l’intera ciclabile, dal confine tedesco fino a Vienna. «E oltre 150mila fanno almeno un paio di giorni sul percorso, con una spesa media di 96 euro al giorno. Linz esclusa. il cicloturismo rappresenta l’80 per cento del movimento turistico della regione» aggiunge Haderer.
Ma qualcosa si muove. Il Politecnico di Milano ha elaborato Vento: il progetto, ambizioso, di una ciclabile di 697 chilometri che corre lungo il Po, da Torino a Venezia. «Una grande infrastruttura leggera che costerebbe 80 milioni di euro, quanto due chilometri di autostrada. Ma per realizzarla dobbiamo cambiare radicalmente la filosofia di utilizzo dei nostri territori, pensando a un’idea diversa di turismo, qualcosa di veramente alternativo», spiega il professor Paolo Pileri, coordinatore del progetto. A una diversa idea di turismo, più sostenibile e lento, capace di entrare in profondo nei luoghi che si visitano e non solo attraversarli, fa riferimento il parco cicloturistico dei Navigli, il nuovo progetto targato Touring che verrà presentato a fine mese a Milano (vedi a fianco). «Questo parco, il primo del Tci in Italia, prenderà vita nella zona compresa tra le province di Milano, Pavia e Novara» spiega il presidente Iseppi. Di cosa si tratta? «Di una rete di percorsi cicloturistici di qualità ideati e realizzati per scoprire in bici l’enorme patrimonio italiano di bello diffuso» racconta Iseppi. Un’idea replicabile ovunque in Italia, perché un parco di questo tipo richiede interventi infrastrutturali minimi, poiché mette a sistema quanto già esiste in termini di viabilità a scarso traffico. «Non si tratta di costruire nuove ciclabili, ma utilizzare la viabilità esistente creando dei percorsi sicuri che siano interconnessi con gli altri mezzi di trasporto e abbiano una propensione all’accoglienza del cicloturista, sia in termini di offerta alberghiera per il ciclista sia in termini di opportunità di servizi come manutenzione, noleggio bici e guide turistiche» spiega Iseppi. Realtà che spesso sui diversi territori si trovano già, ma non sono mai state organizzate e inserite in un percorso coerente pensato ad hoc per il cicloturismo. Così, anche se la matematica dice il contrario, alle volte cambiando l’ordine degli addendi il risultato cambia.