di Tino Mantarro | Fotografie di: Andrea Forlani
Poco prima del confine serbo, mentre si sfila tra foreste ordinate neanche fossero scandinave, dall'asfalto si leva una nebbiolina. Sembra quelle dei film girati in qualche shire britannico, in autunno. Tenue e vaporosa, quando arriva a tre metri d'altezza sparisce nel nulla. Come dal nulla era venuta. Sembra che voglia piovere in questo pezzetto di Slavonia. Fuori fa caldo. Dentro peggio. Il Land Rover ha questa speciale capacità di riscaldare come fosse un braciere: si accende piano, piano e poi il soffio dei chilometri lo fa avvampare e il telaio si surriscalda a livelli da uova in camicia. E' l'unico inconveniente perché poi il paesaggio piatto della pianura pannonica riesce a essere bello pur essendo monotono. Campi di grano raccolto da poco, covoni di fieno matematicamente disposti a seccare, falchetti in attesa sulle reti dell'autostrada, cicogne solitarie e girasoli penitenti che invece di guardare il cielo guardano terra, come se avessero qualcosa di cui vergognarsi.
Passata Zagabria questa terra diventa una pianura inaspettata. Come inaspettato arriva il confine serbo. Da quando entri in Croazia fino a una ventina di chilometri dal Carina, la dogana, non vedi mai un cartello che indichi Belgrado, o la Serbia. Bosnia, Ungheria, una volta persino l'Austria, ma la Serbia no. Scomparsa dai cartelli: e di certo sarà un caso e non una scelta deliberata. Ma l'impressione è la stessa che si avrebbe se, passata Savona, sui cartelli ci fosse solo e soltanto indicata Ventimiglia e mai Nizza, o la Francia. Lo chiamano nazionalismo, o anche solo rancore: o forse uno è una forma dell'altro, chissà.
Fatto sta che il primo cartello Beograd (Srb) appare tra la nebbiolina, quando la pianura è stata sostituita dai boschi e la Croazia è bella che finita. Al controllo passaporti si perde tempo. I croati guardano con attenzione tutte i documenti di chi ha targa serba, o macedone. Agli altri uno sguardo disattento. Ai noi qualche domanda per curiosità.
"Dove andate" dice la guardia.
"Tajikistan??"
"----istan??"
"Tajikistan".
E mentre sfoglia i passaporti ripete: "Kazakistan?"
"Yes, yes…. -stan. -stan".
"Cosa portate: fucili? munizioni? cacciatori?
"Turisti. No cacciatori".
"Dobro. Dobro doslji Srbia".
"Grazie":
Mai fidarsi degli uffici stampa troppo entusiasti. "L'estate a Belgrado? Stupenda! Calda, caldissima, oltre 40 gradi. Per questo andiamo sui nostri fiumi, la Sava e il Danubio e passiamo le serate nei splavovi, i barconi ancora lungo gli argini che la notte diventano bar e discoteche. Lì si sta bene, al fresco".
La ragazza che cura le relazioni esterne della città di Belgrado qualche mese fa non diceva altro. "Quando passerete di qua, a fine luglio, sarà un città piena di vita".
Sarà. Dopo una giornata passata in macchina, 9 ore, quattro soste per il rifornimento e 643 chilometri fatti l'idea di una serata belgradese allettava. Però ad accoglierci invece delle sirene c'era il monsone. Un muro d'acqua con contorni di lampi (i tuoni non li sentiamo che la nostra auto fa troppo rumore), torrenti per strada e la vaga sensazione di aver sbagliato a non portarsi un ombrello. Per cui addio passeggiate per cercare di capire una volta per tutte se questa è una città assai bella, irriducibilmente brutta o con un'anima tutta particolare, da decifrare cercando ti trovare il fascino intimo (che c'è, eccome se c'è) pur nella decadenza esteriore. Ci ritiriamo mestamente in un ristorante quasi chic a tracentocinquanta metri dall'albergo tirando fuori gli indumenti più pesanti cui abbiamo pensato.
Al tavolo l'orchestrina serba con contrabbasso e chitarrina intona canzoni serbe che suonano sempre tristi e strazianti, invece sono cantate dai commensali con lo stesso allegro trasporto che se cantassero "Iamme, Iamme". Che uno si chiede se sarà l'anima balcanica, il testo profondo che ahinoi non riusciamo a comprende o se non sono le rakije e le slivoviòe che scaldano petto, cuore e voce anche di queste due eleganti signore sedute sole al tavolo, contornate dai musici. Non sarà la stupenda estate di Belgrado in riva alla Sava e al Danubio, ma è pur sempre una bella scena.