Giorno 5. Istanbul (Turchia) - Safranbolu (Turchia)

Di mattina, quando passeggi per le strade strette di Fatih ti rendi conto che durante il Ramadan la vita è diversa. Poca gente, meno rumore, quiete e silenzi. E allora per vedere del movimento non rimane che andare sul Bosforo a osservare le navi. Come i galeoni di una volta attendono placide alla fonda che sia il loro turno di salpare verso il mar Nero. Vivessi qui passerei il mio tempo ipnotizzato a guardale aspettare. Come Abdul Bashur diventerei un sognatore di navi.

Sarà per rendere inconsapevolmente omaggio a Bashur (protagonista del romanzo di quel genio di Mutis), o forse solo per evitare il traffico, ma per uscire dalla città invece del ponte prendiamo il traghetto per Hardim. Venti minuti, il tempo che l'immancabile cha (il the) si freddi, ed è fatta. Sei in Asia. Tutto un altro viaggio.

Vista dall'autostrada direzione Ankara la parte asiatica di Istanbul è un tappeto di palazzi e palazzoni in costruzione che assomigliano tanto a quelli di Pechino o Shanghai. Solo che qui di tanto in tanto spunta qualche moschea e non mancano i centri commerciali. Però ti lascia quella stessa sensazione che si ha quando si visita la Cina: il boom è qui e ora. E le cose cambiano e si evolvono a una velocità che noi in Italia ci siamo dimenticati.

Noi con la nostra auto ci muoviamo comodi a 120 chilometri all'ora, sorpassiamo camion e camion ed entriamo dritti in Anatolia. Dopo chilometri di boschi e salite lente e costanti arrivano in cima a quest'altipiano immenso e il paesaggio cambia definitivamente. Sembra la Sicilia dell'interno: fin dove si riesce a vedere solo colline giallastre dove si affaccendano mietitrebbia e pastori. Il granaio della Turchia deve essere questo. Oltre l'autostrada finisce e si fa rotta verso Samsun, fino a quando non deviamo per vedere che posto è Safranbolu. Dice la guida che si tratta di un paese dall'architettura ottomana rimasto grossomodo com'era e per questo entrato dritto nel Patrimonio Unesco. E' abbastanza ben conservato, senza essere esageratamente finto da non ospitare più abitanti ma solo venditori di cianfrusaglie e posti letto. Però è lo stesso un bell'esempio delle strane rotte del turismo globale.

Qui è pieno di orientali. Ma non orientali generici: sono tutti coreani. Sarebbe bello capire davvero perché arrivano a frotte fino a qua. Che è bello, per carità, ma non certo la Firenze della Turchia come dice la Lonely Planet. Al ristorante, seduti per strada dopo aver aiutato il padrone a portare il tavolino e aver con scarso tatto (ma molta sete) comprato delle birre Efes in un altro negozio poco distante, abbiamo anche provato a capire da tre coreane perché vengono qua.
Tra una serie di "ooohhh" a ogni parola e un inglese maccheronico abbiamo capito che:

a) vengono many koreans. true.
b) vengono perché c'è una guida turistica scritta da coreani che ne parla
c) questa guida si chiama Enjoy Turkey (sorrisino)
d) un'altra guida (sorrisino) si chiama Friend Turkey e ne parla anche lei

Perché queste guide parlino di questo paese, che è di certo periferico a qualsiasi rotta turistica, è un mistero. Perché poi siano proprio i coreani (e anche i giapponesi) e non i cinesi, i russi o gli italiani è un mistero ancor maggiore. Sarà semplicemente perché oramai siamo in Asia?
Comunque: viene voglia di far l'affare e far segnalare qualche borgo italiano da una guida coreana e vedere l'effetto che fa.

Fotografie di: Andrea Forlani
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