di Tino Mantarro | Fotografie di: Andrea Forlani
Batumi d'agosto è come RImini, più o meno. Se arrivi la sera tardi, è buio e non hai prenotato, trovare una camera d'albergo a un prezzo decente è un'impresa che richiede tempo e fortuna, oltre a una certa fermezza nella contrattazione. Così abbiamo trovato una stanza in hotel che a prima vista sembrava equivoco (facciate di un pessimo viola, strane luci rosse all'esterno…) e poi si è rivelato decente. Peròsul prezzo c'è stato da penare: 240 lari voleva all'inizio (circa 120 euro) e sotto i 220 non scendeva. C'è voluta la scenata teatrale di andare via, un ritorno per chiedere informazioni e il buon senso di una ragazza chiamata Melano (giuro!) che ha fatto capire (in georgiano) al padrone che va bene l'alta stagione, ma alle undici di sera a Batumi chi vuoi che ti prenda ancora due stanze? E così pari e patta: Team Touring- Hotel Antik duecento a duecento.
La prima impressione di Batumi è che sia come il resto della Georgia: un bel bordello. Le regole della strada qua sembrano essere le stesse della vita in tutta l'ex Unione Sovietica: vince sempre il più forte. O quello che fa la cosa più impensata. Chi rispetta le regole soccombe: ma viene da pensare che non ci siano regole su queste strade.
Ci sono regole ferree nel campo dell'abbigliamento, invece. L'estate georgiana sulla costa del mar Nero per le donne prevede vestiti lunghi e spalle scoperte, ma poco importa. SIamo quattro maschi. Mentre per gli uomini prevede pantaloni (lunghi o corti poco importa) e petto rigorosamente scoperto, sia di giorno che di sera. Meglio se sotto il petto spunta una pancia pantagruelica. Unica eccezione gli anziani: per loro va di moda la camicia purché aperta a mostrare la panza. Lo chiamano Georgian Armani. Ed è quanto di più chic ci sia tra Sukhumi e Baku.
Pance esposte a parte, Batumi di giorno è meglio che di sera, perché almeno con la luce non rischi di inciampare nel marciapiede rotto. E poi di giorno riesci e vedi la spiaggia per cui tutti vengono fin qui: una striscia larga di ciottoli che non sembrano essere troppo comodi e un lungomare ben attrezzato che corre per chilometri e chilometri. Alle spalle della passeggiata, un parco verde, come si usava nei paesi ex-socialisti, oltre una fila di palazzi primo Novecento in vario stato di conservazione, qualche relitto architettonico trasformato in lussuoso Sheraton e una manciata di nuove costruzioni che sfidano Dubai e pare siano finanziate dai Trump in persona. Oltre tutto questo la città del popolo in vario stato di disfacimento, anche se nonostante tutto riesce ad avere anche un certo fascino. Sarà per via delle viti che si arrampicano sui balconi, sarà perché di sera si vede poco, sarà perché il nome a me evoca altri mondi però Batumi merita una seconda chance, un'altra volta, con più tempo. A noi tocca sempre partire troppo presto.
Basta fare qualche chilometro di strada per rendersi conto che qui siamo giunti in un'altra dimensione. L'eredità del'Unione Sovietica è scritta ancora nei muri screpolati, nelle fabbriche gigantesche e vuote, nelle facce burbere dei tutori della legge, nel paesaggio urbano arrugginito e trascurato. Ma nonostante questo la prima impressione della Georgia è di un Paese bello e antico. Dove l'idea di antico non la danno tanto le case, quanto le croci grandi, di ferro, disseminate lungo la strada e le lettere dell'alfabeto georgiano, che ricordano le iscrizioni in aramaico delle prime chiese cristiane. Per il resto lungo la strada si vede di tutto, come se passato il confine ci fosse stato il “liberi tutti” e le regole minime fossero saltate. Mucche in quantità pascolano ai bordi dell'asfalto, e poi galline, polli, pulcini, oche, maiali con un collare di legno che sembrano usciti da una ripresa di Kusturica, cavalli che pascolano dentro pompe di benzina chiuse da decenni e signore che attendono acquirenti al loro banchetto di pomodori e pesche meste ordinate in bellavista, qualche pattuglia della polizia e anche una strana processione di uomini barbuti che sembrano essere musulmani assai praticanti che portano in mano bandiere del Daghestan. Tutto così per oltre 300 chilometri, cambiando paesaggi (dal subtropicale della costa, alla montagna lussuriosa, fino agli altipiani coltivati a grano dell'Ossezia) e prodotti venduti a bordo strada. Ma non la follia composita dei guidatori georgiani. Comunque sia, anche se già è buio, siamo arrivati a Tibilsi. Mettiamo un punto e domani la vediamo.