La Venezia dei veneziani

Diego OrlandoDiego OrlandoDiego OrlandoDiego OrlandoDiego Orlando

È davvero possibile in una città sia pur speciale, ma visitata ogni anno da milioni di turisti, che si possano svelare ancora angoli, calli, campielli, palazzi e locali con l’atmosfera magica d’un tempo? Sì, se seguiamo da vicino le tracce e i percorsi dei veneziani doc. Scoprendo anche alcuni itinerari segreti... che ora vi sveliamo.

Nei giorni del Carnevale sono arrivate 140mila persone, per Capodanno 70mila e per la festa del Redentore (la terza domenica di luglio) 120mila. Numeri da capogiro. Del resto Venezia è da sempre in testa alle mete da sogno, quelle da vedere almeno una volta nella vita. Un vero museo all’aria aperta, che pare sospeso sull’acqua. Tanto che l’architetto razionalista Angiolo Mazzoni, quando nel 1924 progettò la stazione ferroviaria di S. Lucia, pensò di mettervi una grande vetrata panoramica proprio come a segnare l’ingresso in un museo.

Una volta scese le scale di quella stazione, la città è subito lì con quell’aspetto che la rende unica al mondo, e ognuno può coglierne un pezzetto, dalla mascherina acquistata al volo per pochi euro al giro in gondola lungo il Canal Grande, tutto ad alto rischio di kitsch. Ma io, tra i canali e i campielli cerco qualcosa di diverso. Per questo rimango stupita quando la mia guida Andrea D’Alpaos, un lagunare doc, mi dà appuntamento proprio davanti a Palazzo Ducale. Non gli avevo forse chiesto di condurmi in un tour alla ricerca di una Venezia insolita, lontano dalla pazza folla? Ebbene, nel luogo tra i più fotografati e gremiti della città, ci avviamo a una visita del tutto inusuale, a numero chiuso, chiamata Itinerari segreti. Entriamo nel palazzo, saliamo la bellissima Scala d’oro e, diversamente dagli altri, ci dirigiamo sopra le stanze del Doge, alla scoperta del volto autentico della Serenissima, quello del potere amministrativo e giudiziario. Davanti agli occhi si svelano ambienti arredati in modo semplice e austero, con scrivanie e scaffali dove si immaginano al lavoro decine di impiegati intenti a copiare, archiviare, registrare. Poi ci sono l’armeria, le sale degli interrogatori, le celle delle dure prigioni (i celebri Piombi) descritte anche da Giacomo Casanova che vi fu detenuto e da cui scappò avventurosamente. Tra corridoi e stanzette si compie un autentico salto indietro nel tempo, che si conclude con l’attraversamento di un passaggio segreto, all’apparenza un armadio, ma in sostanza una porta che ci fa sbucare all’interno di uno dei saloni affrescati, proprio mentre è in corso una visita guidata e tutti ci guardano come alieni usciti da chissà dove.

Dopo questo primo assaggio dei segreti veneziani percorriamo pochi metri da piazza S. Marco ed ecco un’altra sorpresa: il Casino Venier. È uno di quei luoghi in cui un tempo i libertini della Laguna, sulla moda di quelli francesi, venivano a divertirsi senza tanti freni. Nel Settecento, di posti simili ce n’erano moltissimi, ma ora è rimasto solo questo che, ironia della sorte, è sede dell’Alliance Française. La visita, anche in questo caso, è solo su prenotazione. Si supera un portone di legno per niente appariscente, si sale al primo piano e si accede a un piccolo appartamento con stucchi rosa, verdi, bianchi e arredi d’epoca. C’è anche una stanza-armadio in cui i musicisti suonavano senza poter vedere gli ospiti, e un buco nel pavimento, coperto da una mattonella mobile, da cui si controllavano gli ingressi al pianterreno, e l’arrivo di amanti gelose.

Dopo aver abbandonato le memorie del passato, mi ritrovo al­l’aperto, immersa in un fiume di turisti in perenne scorrimento. Ma l’ora di pranzo si avvicina ed è arrivato il momento per una giusta sosta ristoratrice in un bacaro, ovvero una delle osterie tipiche veneziane dove vengono serviti i cicheti, stuzzichini che anticipano il pranzo o la cena, ma che spesso possono anche sostituire il vero e proprio pasto. Si accompagnano magnificamente con un’ombra de vin ramato, il Pinot grigio come veniva prodotto ai tempi della repubblica di Venezia, quando la vinificazione si otteneva facendo fermentare il vino a contatto con le bucce dell’uva a bacca rossa.

La tradizione rivive con calici di cupra ramato, serviti sul bancone di legno dell’Antica Ostaria Ruga assieme a pesce fritto e crocchette di patate. Il locale non è distante dal mercato di Rialto, dove si trovano le bancarelle di frutta e verdura, i prodotti freschi di stagione che arrivano dall’isola-orto di S. Erasmo, famosa per i carciofi violetti e presidio Slow Food. Un’altra osteria doc è l’enoteca Schiavi, affascinante anche perché si trova di fronte all’ultimo squero, il cantiere dove si costruiscono le gondole in modo artigianale. Nella bella stagione, i cicheti si consumano all’aperto, appoggiati al parapetto di pietra vicino a un piccolo ponte sotto cui scorre l’acqua del canale.
 

Ora che la fame è stata placata da crostini al baccalà e salumi mi dedico di nuovo al safari di scoperta della Venezia eccellente e nascosta. E faccio un incontro di quelli che lasciano senza parole, varcando il portone del laboratorio dei fratelli Bevilacqua, che producono stoffe preziose usando telai di legno originali del Settecento. Tessuti, broccati, arazzi, cuscini sono realizzati a mano, pochi centimetri valgono decine di ore di lavoro di operaie altamente specializzate che sanno muoversi con sicurezza tra centinaia di fili sottilissimi. Le opere uscite dalle loro mani sono arrivate ad arredare perfino una sala della Casa Bianca a Washington.

Su appuntamento è anche la visita all’atelier di Alberto Valese, artista della carta marmorizzata. È stato il primo a riprendere questa tecnica dimenticata da secoli. Vederlo all’opera, quando con pochi gesti sapienti trasforma in un istante un foglio bianco in una spettacolare decorazione, è un momento di vera poesia. Ma la giornata delle sorprese nella Venezia autentica non è ancora finita e la guida ha previsto un’ultima sorpresa: una cena alla Trattoria della Marisa, un must per i veneziani ma anche per viaggiatori che hanno voglia di assaggiare la cucina tradizionale. Non c’è menu, si mangia solo quello che propone l’estro della cuoca. E guai a chi lascia qualcosa nel piatto!
 

Per trovare la Venezia dei veneziani si può anche fare un giro alla Giudecca, che offre il meglio di sé in luglio, durante la festa del Redentore (quest’anno il 14 e 15 luglio, ndr). È quella che gli abitanti chiamano la «notte famosissima», con uno scoppiettante tripudio di fuochi d’artificio che illumina il bacino di S. Marco e il ponte votivo che collega le Zattere con la chiesa del Redentore. Uno dei punti migliori in città per godersi lo spettacolo è lungo il canale dal lato della Giudecca, molto affollato quel giorno da famiglie e gruppi di amici che organizzano picnic e barbecue sulla riva, fino a notte fonda. Spettacolare anche la visione dalla terrazza del Molino Stucky (ora hotel a cinque stelle della catena Hilton), che per l’occasione della festa organizza aperitivi e cene di gala.

Un’altra zona amata dai veneziani doc è Campo S. Margherita, nel sestiere di Dorsoduro, dove si trova il Rosso, un bar che è un punto di ritrovo sicuro. Chi vive in questa città, infatti, non si dà appuntamenti, ma sa che a una certa ora può ritrovare gli amici in luoghi prefissati, come si faceva un tempo quando non esisteva il telefono cellulare. Nella parte opposta della città, vale la pena di fermarsi anche alla Serra Margherita, all’interno dei giardini di Castello. Costruita proprio come serra nel 1894 per ospitare palme e piante esotiche in occasione dell’Esposizione Biennale d’Arte, oggi è diventata uno spazio gradevole dove bere un caffè e leggere il giornale in santa pace. Lontano dai tradizionali circuiti turistici sono anche le Fondamenta Briati, a Dorsoduro, dove, a poche centinaia di metri una dall’altra, convivono due bocciofile storiche, quella di S. Sebastiano e la Mariano Cucco. Si fa il tifo, si beve un’ombra, si ammirano le numerose coppe e i trofei tirati a lucido sopra il bancone. Un’esperienza che da sola vale il viaggio, per capire come in questo universo liquido lo spazio, il tempo, i colori e i rumori hanno un significato diverso. Da cogliere e da portare a casa come migliore souvenir della laguna.
 

Fotografie di: Diego Orlando
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