Inchiesta. Rivoluzione low cost

Ryanair, EasyJet e la altre low cost sono spesso criticate perché non trasparenti nei prezzi e troppo rigide con i passeggeri, eppure le compagnie aeree a basso prezzo hanno l'indubbio merito di aver cambiato le nostre abitudini di viaggio, democratizzando i cieli e aprendo nuove rotte per destinazioni prima assenti dalla mappa turistica europea. Una guida per capire come funziona il mondo delle low cost e per orientarsi tra opportunità e trappole.

Chissà se esiste in gaelico l’equivalente del detto «la botte piena e la moglie ubriaca». Se esiste deve essere il proverbio preferito di Michel O’Leary, amministratore della Ryanair, simbolo della rivoluzione nei cieli. Capace di far lievitare i profitti in anni tremendi per il settore, O’Leary è riuscito a rendere felici azionisti e passeggeri, cambiando il nostro rapporto con il mondo dell’aviazione. Più che di un’innovazione manageriale si è trattato di una rivoluzione sociale.

Graziana Gullotta, 34 anni, di Adrano (Ct) fa il medico del 118 a Torino. Sposata da quattro anni è l’esempio vivente degli effetti delle low cost sulla vita quotidiana. Il marito vive in Sicilia, la relazione va avanti e indietro sulla rotta Caselle-Fontanarossa. «Prenotiamo per tempo e finiamo per spendere meno di cento euro andata e ritorno. All’inizio ce la si faceva anche con trenta» racconta Graziana. Prima dell’era low cost questo pendolarismo affettivo non sarebbe stato possibile. «Per lo stesso prezzo avremmo dovuto prendere il treno, passando non meno di 15 ore in carrozza: farlo ogni settimana sarebbe stato folle» spiega. O’Leary non ha inventato nulla. Ha clonato il modello sviluppato negli Stati Uniti negli anni Ottanta dalla Southwest Airlines. Nel maggio 1986 sfidava la compagnia di bandiera Aer Lingus sulla Dublino-Londra. Un biglietto costava 400 sterline, Ryan mise in vendita i tagliandi a 94,99. Fu un successo. Anni dopo, Willie Walsh, capo di Aer Lingus, ammise: «Da anni derubavamo i clienti».

Ma come fanno RyanAir e le altre compagnie a far pagare dieci quel che prima si pagava 50? Abili nello sfruttare lo spazio creatosi in Europa con la deregulation dei cieli del 1997, le low cost hanno il merito di essere riuscite a ottimizzare i costi, eliminando il superfluo, dai giornali alle agenzie. Concentrandosi su ciò che è necessario: volare. Il metodo si basa su quattro principi: utilizzare un solo tipo di aeromobile (per Ryan Boeing 737, per Easyjet Airbus 319) per tagliare i costi di manutenzione riuscendo a mantenere la flotta giovane (età media 4 anni) ed efficiente. Movimentare gli aerei a terra velocemente per risparmiare sui costosi diritti di utilizzo delle piazzole riuscendo a far fare allo stesso aereo fino a due voli in più al giorno. Ridurre i costi all’osso (dipendenti pagati meno della metà dei colleghi) e non coccolare i passeggeri. Non per niente in inglese si chiamano no frills: senza fronzoli.

Oltre a questo, la differenza sta nei dettagli. «Una volta a terra l’equipaggio pulisce la cabina senza aspettare che salgano gli addetti alle pulizie, risparmiando tempo e denaro» spiega Andrea Catella, capo cabina. Non solo. «A ogni atterraggio l’equipaggio deve controllare che nella tasca del sedile ci sia il foglio d’emergenza e questo implica tempo. Ryanair ha eliminato la tasca e ha incollato il foglio sullo schienale, risparmiando minuti preziosi» racconta Giuseppe Carrabba, direttore del coordinamento aeroporti di Enac.

Ma tutte le operazioni a terra permettono risparmi. «Operando su aeroporti secondari le compagnie riescono a ottenere la massima efficienza in tutto: dal rifornimento ai bagagli» prosegue Catella. «Così un aereo rimane fermo per meno della metà del tempo di un vettore normale: 20 minuti contro 45». Il tutto rispettando le regole. «Quando si dice che le low cost risparmierebbero in sicurezza sono dicerie» aggiunge l’ex comandante Giuliano Mansutti, esperto di sicurezza. «Le compagnie che volano con una licenza europea devono rispettare gli stessi standard per aeromobili e per piloti».

Altra fonte di risparmio sono i servizi ai passeggeri. La tariffa stracciata reclamizzata si riferisce solo al trasporto dall’aeroporto di partenza a quello di destinazione. A questa vanno aggiunte tasse locali (le stesse per tutti) e ogni supplemento immaginabile: dalla stampa della carta di imbarco (fino a 60 euro se non l’avete), all’assegnazione del posto (da 3,25 a 11,25 euro con Easyjet), agli sms di conferma. Per non parlare del bagaglio in stiva il cui costo varia dai 15 ai 150 euro se si paga in aeroporto. Sono balzelli che fanno infuriare chi non è abituato a viaggiare low cost ed è ancorato a un’idea romantica del viaggio aereo, quando si era serviti e riveriti. Ora se si vuole un panino, si paga. «Ma non c’è nulla di illegale o truffaldino» spiega Carrabba. Tutto è esplicitato nel contratto di servizio.

Certo, alcuni aspetti fanno innervosire. Se il mestiere di una low cost è portare da un aeroporto A a un aeroporto B il maggior numero di passeggeri al minor prezzo, bisogna dire che non sempre l’aeroporto B è esattamente il posto dove si voleva arrivare. Spesso è lontano dalla destinazione finale (Francoforte Hahn si trova a 120 chilometri da Francoforte) e alle volte (è il caso di Bratislava venduto per Vienna) in un altro Stato. Altro aspetto che irrita i passeggeri sono i contenziosi sui bagagli a mano. «Oggi le low cost applicano alla lettera la one-bag-rule, il regolamento internazionale che specifica le dimensioni del bagaglio da cabina» racconta Carrabba. Su questo c’è tolleranza zero: una borsetta vale uno zaino di otto chili. Così si arriva a scene grottesche di passeggeri vestiti a strati in piena estate per non incorrere nelle ire dei controllori. Nonostante picchi di parossismo che non aiutano a rendere piacevole il viaggio, le regole sono rispettate. «Come Enac riceviamo, in forma scritta, tutti i reclami dei passeggeri che ritengono di aver subito torti. Quelli che riguardano le low cost sono in linea con le altre compagnie. Tutte sono vincolate al regolamento europeo 261, che dal 2004 tutela i diritti dei passeggeri e regola le controversie» prosegue Carrabba.

Se per quanto riguarda le regole di trasporto le low cost rispettano le legislazioni, esistono altri aspetti nebulosi che incidono sui margini. La sindacalizzazione del personale è minima, quando non osteggiata. Ci sono contenziosi aperti con le amministrazioni per il pagamento degli oneri sociali di piloti e hostess, spesso retribuiti nel Paese in cui è immatricolato l’aereo e non nel Paese dove fa base il lavoratore. Per questo Ryanair è stata multata per 12 milioni di euro dall’Inps. Altra questione aperta i finanziamenti che alcune compagnie riceverebbero dalle autorità per atterrare negli scali secondari. Nel 2002 l’Ue aprì una procedura contro Ryanair accusata di aver ricevuto dal governo della Vallonia milioni di euro di aiuti (sotto forma di sconti sulle tariffe e contributi per ogni rotta) per fare di Charleroi la propria base. Condannata a restituire i soldi, Ryanair vinse in appello. Nel 2004 la Commissione spiegò che i contributi alle compagnie non sono da intendersi come aiuti di Stato, ma come incentivi allo sviluppo di scali secondari. Da allora gli accordi di comarketing si sono diffusi. La Sardegna paga una media di 6 euro a passeggero per far atterrare la compagnia irlandese ad Alghero e Cagliari. Voli che sembrano a rischio perché la Commissione europea ha aperto una nuova procedura per verificare se siano aiuti in contrasto con la legislazione sulla concorrenza. Ma il contributo pubblico sotto forma di iniziative di comarketing è prassi diffusa: la Regione Puglia non più tardi di gennaio ha rinnovato il contributo da 12 milioni per gli scali di Bari e Brindisi.
 

A fronte dei contributi, i passeggeri arrivano. Sbarcano e incrementano esponenzialmente le presenze in destinazioni prima escluse dalla geografia turistica. Aeroporti come Forlì, Trapani o Treviso hanno oltre il 90 per cento dei passeggeri dalle low cost. Un’analisi del centro di ricerca Eurach sull’aeroporto di Pisa evidenzia come l’avvento di Ryanair abbia cambiato il mercato turistico regionale. Tra il 1996 e il 2000 in Versilia e nella provincia di Livorno gli arrivi di turisti britannici sono aumentati dell’836 per cento. Mentre le sistemazioni in alberghi di categoria economica sono cresciute quasi del mille per cento. Pochi, invece, sono rimasti a Pisa. Tutti turisti che senza un biglietto a basso prezzo forse sarebbero volati altrove. Il che porta a un’altra riflessione. «L’avvento delle low cost ha cambiato lo stile del viaggio. Portando un cambiamento di mentalità complessivo: sia nel modo di praticare il turismo, più autonomo, con scelte che sfruttano i nuovi media; sia nel modo di intendere il viaggio aereo, più spartano» spiega il presidente del Touring Franco Iseppi.

A beneficiare della rivoluzione low cost sembrerebbe essere la generazione Erasmus. Alessandra ha 23 anni: la scorsa estate ha girato tre capitali in 15 giorni. «Siamo state a Berlino, Londra e Dublino con 120 euro» racconta. «Abbiamo navigato un po’  e ci siamo adattate alle date che convenivano di più». Nessuna sorpresa con balzelli nascosti? «No, perché? C’è scritto tutto chiaro nel contratto, basta leggere». Dunque fate la vostra scelta e sperate che i bagagli arrivino.

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