di Carl Hoffman | Fotografie di: Alexandra Avakian
Un viaggio nei luoghi classici della terra dei Faraoni dopo l’ultima rivoluzione che ha cambiato il regime e a distanza di quasi trent'anni dal viaggio precedente. In treno nel deserto e in barca sul Nilo per riscoprire il fascino di questo Paese che sembra immutato nel tempo, come le piramidi, la Sfinge e i templi di Luxor e di Assuan, ma che invece sta cambiando. Forse il momento ideale, senza i milioni di visitatori da tutto il mondo
Lo scorso anno i dimostranti stipati in piazza Tahrir, al Cairo, occupavano il mio schermo televisivo. Li guardavo manifestare notte dopo notte con grande emozione: per me era come se sentissi la canzone che mi ricordava un vecchio amore.
Mi ricordo l’uscita dall’aeroporto del Cairo, gli odori sconosciuti, acri e dolci, di fumo e polvere, un mix di frutta marcia e gas di scarico. Mi ricordo un’oscurità rischiarata a fatica da lampioni troppo radi, un autobus sgangherato senza vetri ai finestrini che sputava fumo grigio. Nel centro del Cairo la gente affollava le strade. Mi ricordo la foschia e gli orli dei marciapiedi sbocconcellati, i gatti randagi, la stanchezza e il non saper dove andare a dormire. Quando alla fine trovammo una stanza in albergo, mi sentivo così agitato che mi rannicchiai nel mio saccoletto, tenendomi strette la macchina fotografica, i documenti e i soldi. Con la luce del mattino, tutto mi sembrò più rassicurante. Eravamo in un albergo squallido ma ospitale. Mi lasciai la paura alle spalle e trascinai la mia ragazza al mercato dei cammelli. A Luxor passammo ore sulle rive del Nilo a contrattare con il capitano di una feluca il costo di un viaggio di cinque giorni fino ad Assuan, un percorso spettacolare mangiando pesci del Nilo e pomodori: cinque notti sotto stelle tremolanti lungo quello che a me pareva il fiume più bello del mondo. Non mi ero mai innamorato prima di un luogo come mi capitò allora per l’Egitto. Mi sentii libero laggiù, ispirato, appassionato, rinvigorito, sciolto.
Era il 1984. Avevo 24 anni e leggevo le storie del Nilo di Alan Moorehead e I sette pilastri della saggezza di T.E. Lawrence, e avevo ancora un’idea vaga del mondo e di quello che volevo fare. Ero anche innamorato di una donna che aveva gli occhi del colore del mare e che aveva già visto tanto del mondo, mentre io non avevo visto nulla. Quelle due settimane in Egitto – me ne sono reso conto improvvisamente in questi ultimi mesi, guardando gli uomini e le donne sventolare le bandiere in piazza Tahrir – erano state determinanti per la mia vita. Mi era venuto il desiderio di scrivere, di raccontare, di invitare la gente a viaggiare, a conoscere il mondo. Pochi mesi dopo pubblicai il mio primo articolo. Sposai la ragazza dagli occhi blu. E ogni chilometro che percorrevo, in un certo senso, era alla ricerca dello stesso stato d’animo provato in piazza Tahrir e sulle rive del Nilo nel 1984.
Stranamente, non sono più tornato in Egitto. Ma negli ultimi giorni di potere di Mubarak, con le strade del Cairo piene di manifestanti, mi è venuto il desiderio di ritornare, di rivedere il Paese che aveva per me un significato molto particolare.
Quando arrivo al Cairo, Mubarak se n’è ormai andato. Lascio Tahrir in direzione di Giza e delle piramidi: che ora, molto più che nel 1984, sono assediate da un mare di case. Più tardi, girovagando nel vicino sobborgo di Nazlet el-Samman, con le strade piene di buche, rivedo l’Egitto che ricordavo: carretti tirati dagli asini, uomini dalle lunghe tuniche con cammelli al seguito: un mondo di polvere, di rumore e di colori brillanti sullo sfondo del deserto.
Per quanto abbia amato il Cairo, sono stati l’Egitto meridionale e il Nilo a segnarmi più profondamente. Ripenso a quei giorni, mentre il treno dal Cairo sferraglia nella notte verso sud. Luxor e Assuan nella mia memoria sono villaggi lungo le rive del fiume orlati di palme e di muri di fango. Le donne lavano i panni nell’acqua bassa. Il grande Nilo fluisce, punteggiato di barche dalle vele latine. Questi erano luoghi traboccanti romanticismo puro, in cui desideravo immergermi, avvolgerli attorno a me.
A un certo punto mi addormento. Quando mi sveglio siamo a Luxor, ma non la riconosco più. Il Nilo qui è fiancheggiato da staccionate che ne impediscono la vista. Vedo un Club Med e grandi alberghi. Non è più un villaggio, ma una città costruita per il turismo di massa. Ma in questo periodo non ci sono turisti.
Attraverso il Nilo in barca. I più importanti siti storici della città, comprese le tombe della Valle dei Re, si trovano nel deserto sulla sponda occidentale. Scendo a terra e ritrovo un ambiente che mi ricorda la vecchia Luxor: una manciata di caffè all’aperto e di ristoranti su una strada polverosa lungo il fiume. Mi siedo a un caffè per fumare un shisha e bere un bicchiere di karkadè freddo, fatto con i fiori di ibisco che crescono lungo le rive del Nilo. L’unico avventore è un egiziano, che fuma al tavolo vicino. Si chiama Mohamed e ha un amico tassista, e con quello mi tuffo nel mondo di rocce e deserto della Valle dei Re. Quando arriviamo, il parcheggio all’ingresso è deserto. Viaggiare in Egitto in questo periodo post rivoluzionario è in se stesso una rivoluzione: ho i più grandi e visitati siti del Paese tutti per me e pochi altri.
L’ultima tappa è ad Assuan. Il Nilo si restringe qui, come pure il corridoio di campi verdi lungo le sue rive; lungo quella occidentale il verde è largo appena un centinaio di metri, prima di scontrarsi con le montagne di roccia e sabbia, coronate da tombe vecchie di secoli. Tre giorni dopo prendo il traghetto affollato di donne velate e uomini con i baffi che mi incalzano con domande sull’America. Poi faccio conoscenza con un gruppo di egiziani e mi unisco a loro per una gita in motoscafo verso sud. Superiamo una cataratta e raggiungiamo una zona di piccole isole e canali orlati di canneti. Martin pescatori si tuffano nell’acqua, aironi cacciano le prede nelle acque basse. Ormeggiamo a un albero che si allunga sull’acqua, così trasparente che si vede il fondo.
Ritrovarmi di nuovo in Egitto mi ha emozionato, ma con conseguenze inaspettate. Succede, con i luoghi: sono abitati dai fantasmi. Ricordi e sentimenti dimenticati riaffiorano improvvisamente, riportandomi al primo amore e rendendomi conscio del tempo, passato e perso. Ma il viaggio consiste proprio in questo, farci provare emozioni che a casa non sentiremmo.
(traduzione di Elena Del Savio)