di Gianluca Biscalchin
Al mercato con lo chef: Ballarò e la Vucciria, luoghi simbolo della Sicilia. A tavola e fra i banchetti nei vicoli tra abbanniate, frittellari e venditori di panelle: un mix di sapori e profumi che esaltano l'icanto del capoluogo isolano
Sarà quella luce che miscela Africa e Arabia, Spagna e Grecia, saranno i profumi, i colori, le facce, ma Palermo non smette mai di creare incanto. Qui l’eccesso si avvicina pericolosamente al sublime. Per questo è bene perdersi tra i vicoli, i mercati, le botteghe, i banchetti che friggono di tutto. Ci guida Fabrizia Lanza (vedi approfondimento), chef per passione: la sua famiglia vive a Palermo almeno dal tempo dei Normanni.
Si parte nel verde, all’ombra dell’Orto botanico (1), disegnato dall’architetto francese Léon Dufourny. Da qui si entra nel quartiere della Kalsa. Era la cittadella degli emiri, ora è un quartiere popolare. E regala alcuni dei monumenti più belli della città: S. Teresa alla Kalsa (2), palazzo Abatellis, S. Maria dello Spasimo e altri incanti arabo-normanni. Qui il cibo è tradizionale. Si vendono i babbaluci, chioccioline marinate con olio, prezzemolo, aglio e pepe e servite in cartocci da passeggio. Oppure le frittole, scarti di vitello saltati in padella, bolliti e rinchiusi in una misteriosa cesta chiusa con una coperta per tenere il caldo.
Dalla Kalsa si arriva a via dei Calderai (3) dove si trovano pentole e tegami di rame, stampi per timballi e la forma per fare la cassata. Si arriva quindi a Ballarò (4), uno dei mercati storici della città, forse il più antico. Oltre ai colori, la folla multietnica e la meraviglia della mercanzia, colpiscono le abbanniate: grida antichissime, canti ancestrali dei venditori per attirare i compratori. Qui, oltre che a frutta e verdura dall’entroterra, si trovano tutti gli street food palermitani: i frittellari, i venditori di panelle e i quarumari specializzati in interiora: trippa soprattutto, ma anche pane con la milza e il musso di Gioè, fatto con la testina, orecchia, musetto, lingua, guancia, il tutto pressato e poi tagliato a fette e condito con limone e sale.
Da Ballarò si raggiunge il Palazzo dei Normanni (5) per una visita agli strepitosi mosaici della cappella Palatina. Si prende quindi via Vittorio Emanuele, arteria della città, e si raggiunge la Cattedrale (6). Splendida e imponente. Una pausa per ammirare la stratificazione degli stili e si è pronti per il Maestro del brodo (7), ristorante tipico. Siamo all’ingresso della Vucciria (8), altro mercato mitico di Palermo. Qui si acquistano acciughe salate e aringhe affumicate da capogiro e bottarga di ottima qualità. Ma la cosa più bella è perdersi tra banchi di pescespada e tavoli stracarichi di limoni e pomodori, come nel famoso quadro di Guttuso.
Da qui si può procedere per i due templi dello spettacolo cittadino, il Teatro Massimo (9) e il Politeama (10). E finire la passeggiata nella frescura del Giardino inglese (11), splendido esempio della raffinatezza senza tempo di Palermo.
LA CITTÀ IN UNDICI TAPPE
(1) L’Orto botanico di via Lincoln. (2) S. Teresa alla Kalsa, gioiello barocco. (3) Via dei Calderai. (4) Ballarò nasce come mercato delle primizie (frutta e verdura), ma ormai offre di tutto. (5) Palazzo Reale o dei Normanni. (6) La duecentesca Cattedrale. (7) In via Pannieri 7 vi aspetta il Maestro del Brodo Bartolo e il suo ristorante tipico. (8) La Vucciria, mercato quotidiano del pesce da 700 anni. (9) Teatro Massimo, il più grande edificio teatrale lirico d’Italia. (10) Teatro Garibaldi, più noto come Politeama, capolavoro ottocentesco. (11) Il Giardino inglese.