di Barbara Gallucci
Che cos’è l’italianità? Perché in tutto il mondo sembra un concetto chiaro e vincente e in patria è trascurato e non valorizzato? Eppure, anche nel turismo, bisognerebbe puntare proprio su quello.
«È più grande di uno stadio di baseball!». Il presidente degli Stati Uniti Barack Obama in visita a marzo a Roma non ha resistito al richiamo del Colosseo e nemmeno alla voglia di sintetizzare, in una battuta, il suo pensiero sull’anfiteatro Flavio. C’è andato perché gliel’avevano detto le figlie che meritava. Loro, insieme alla madre, l’avevano visto durante un viaggio di qualche anno fa e sono diventate testimonial perfette per il loro impegnatissimo papà. Forse bisognerebbe invitarle più spesso. La loro comunicazione diretta (pubblicità gratuita e per niente occulta) potrebbe ridare slancio al turismo straniero in Italia, uno dei punti cardine anche per rilanciare l’economia che potrebbe, proprio nel settore turistico, trovare la sua svolta giusta. Potrebbe, appunto.
Negli anni cinquanta l’italia era in cima tra i sogni dei turisti internazionali (19 per cento sul totale mondiale), secondo un’elaborazione del Centro Studi del Touring Club su dati dell’Unwto (United Nation World Tourism Organization). Poi il lento e costante declino fino all’attuale 4,4 per cento sul totale. Certo, se da una parte si viaggia di più, dall’altra è aumentata la concorrenza tra le destinazioni. E dai vertici della classifica il Belpaese è finito al quinto posto. Fortunatamente i dati più recenti della Banca d’Italia parlano anche di un incremento, nel 2013, del numero di viaggiatori pernottanti del 2,7 per cento e anche le previsioni del World Travel & Tourism Council indicano un potenziale aumento del 2,6 per cento sul pil del settore turistico italiano, con un altrettanto potenziale aumento del 2 per cento nell’occupazione. Freddi numeri che strappano un sorriso, ma sono ancora ben lontani dalla soddisfazione completa visto il potenziale. Già, il potenziale che fa sognare tutti nel mondo anche solo al citare la parola Italia e scatena, questa volta sì, larghi sorrisi e immagini positive.
Per capire che cosa significa “prodotto Italia” per il pubblico mondiale, FutureBrand, società che si occupa proprio di analizzare e sostenere i marchi con strategie ad hoc, e che realizza ogni anno il Country Brand Index, ha focalizzato l’attenzione sul nostro Paese fornendo un quadro piuttosto interessante. A partire dalla classifica sui brand Paese, ovvero quanto è riconoscibile all’estero l’immagine di uno Stato legata anche ai suoi prodotti. L’Italia si piazza al 15° posto dietro alla Svizzera, che è prima, ma anche dietro a Paesi come Nuova Zelanda (5° posto) e Finlandia (9°). Un segnale non edificante che dimostra quanto poco si è fatto per la promozione del Made in Italy, non solo per i prodotti, ma anche per il concetto stesso che identifica. Perché è proprio l’assenza di un marchio legale unificato Made in Italy a farci perdere quote sui mercati internazionali. Per assurdo è più facile vedere una bandiera italiana stampata su una finta pizza surgelata magari fatta in Ungheria piuttosto che su un prodotto autentico. E basta fare una gita in Svizzera per notare l’infinita quantità di bandiere piazzate dappertutto, dai campanacci per le mucche alle felpe per snowboarder, per non dire degli orologi. Stesso discorso per la Gran Bretagna che ha fatto dell’Union Jack un sinonimo di stile rock che piace ai giovani e ai filomonarchici. Per tentare di ovviare a questa lacuna è appena partita la campagna di promozione turistica internazionale dell’Enit, l’Ente nazionale italiano per il turismo che, affidandosi all’agenzia Pomilio Blumm, ha puntato tutto proprio sul Made in Italy che diventa un’etichetta di tessuto (come quella che dovrebbe esserci sui vestiti) appiccicata sui panorami italiani più belli e da cartolina. Se si rivelerà o meno un successo lo capiremo fra qualche mese, ma senza dubbio si è identificato, finalmente, il punto vincente per la promozione di questo Paese. All’estero già lo sanno tanto che, meglio di noi, identificano l’Italia e il Made in Italy con la genialità di designer, stilisti e artigiani, con l’arte e con l’Italian lifestyle, che comprende cibo, vino, ma anche modo di godersi la vita e il paesaggio.
Ma non si tratta solo di manifattura e posizionamento internazionale. Perché l’italianità rappresenta il sogno di milioni di persone. È una particolare vibrazione che il nostro Paese emana entrando nell’immaginario collettivo in ogni emisfero.
Per capire meglio di cosa si sta parlando, gli esempi concreti fanno comodo. Ferrari è il marchio più forte al mondo secondo la classifica annuale di Brand-finance. Ha superato persino Google. Ne sanno qualcosa al museo Ferrari di Maranello che, ogni anno, accoglie oltre 300mila turisti da ogni parte del mondo e li sfama anche, nella caffetteria dove si punta tutto sui sapori del territorio. La Ferrari non se la compreranno tutti, ovvio, ma intanto il cavallino rampante li ha fatti arrivare fino nel Modenese e non è poco. Secondo esempio virtuoso è proprio legato al cibo. L’esplosione mondiale del fenomeno Eataly è ormai più di una moda passeggera. Dopo i punti vendita di Tokyo, New York e Chicago ne apriranno altri e venderanno prodotti realmente Made in Italy, come la carne di razza piemontese allevata nel Montana. Quale miglior testimonial per il Paese di un buon bicchiere di vino e qualche scaglia di Parmigiano Reggiano? Pare che anche l’arcivescovo di Manhattan abbia fatto la stessa considerazione... La sintesi nella memoria di chi andrà a fare la spesa o a mangiare da Eataly all’ombra del Flatiron building sarà: in Italia si mangia benissimo, la prossima vacanza la organizzo lì (si spera).
Stesso pensiero fatto da molti fra le migliaia di studenti, architetti, designer e semplici modaioli che hanno affollato le strade di Milano durante l’ultima edizione della Design week (perché parlare di Salone del mobile è un po’ riduttivo). Si è parlato di un aumento del 10 per cento di presenze ma, a occhio, sembravano molti di più. Un successo innegabile che, grazie anche a un meteo particolarmente clemente, potrebbe essere il miglior biglietto da visita per l’Expo del 2015. Tra gli ospiti d’eccezione di quella gloriosa settimana anche l’italiana d’esportazione Paola Antonelli, curatrice e direttrice del MoMa design di New York. Durante una lecture a Palazzo Reale ha dato anche un consiglio turistico: «Milano dovrebbe ospitare anche una settimana del design digitale. Nessuno ancora la fa e questa città sarebbe perfetta... se mantenessero un po’ più bassi i prezzi degli hotel!». Due suggerimenti da cogliere al volo per trasformare una sola settimana gloriosa in una costante capacità attrattiva.
Motori, enogastronomia e design sono calamite vincenti. Alle quali si sta aggiungendo la moda diffusa internazionalmente dei viaggi a tema cinematografico e televisivo. Se Obama (come le sue figlie) ha fatto il suo buon lavoro da promoter involontario della capitale, c’è da dire che l’Oscar come miglior film straniero a La grande bellezza di Paolo Sorrentino farà il resto riportando (anche qui, si spera) in auge Roma tra gli stranieri cinefili. A volte basta poco. L’hanno scoperto i pugliesi ospitando le produzioni di alcuni film di Bollywood che hanno poi provocato una incredibile ondata indiana. Se n’erano accorti i materani che, dopo The Passion di Mel Gibson, si sono ritrovati a organizzare tour nei Sassi senza però riuscire a soddisfare pienamente le assurde richieste di salire sul gerolosimitano Golgota. Ultima in ordine temporale la pacifica invasione britannica della Sicilia di Montalbano. Da quando le avventure del commissario nato dalla penna di Camilleri vanno in onda sulla Bbc l’effetto traino è stato piuttosto dirompente. Che siano produzioni straniere o italiane il profumo di Italia si respira in ogni inquadratura e i risultati sono immediati.
La bellezza come esperienza quotidiana è la vera, unica e fenomenale calamita non imitabile. Questo è il punto di forza dell’Italia. Forse se ne accorgono di più all’estero perché questa bellezza diffusa non fa parte della loro quotidianità. Il Paese più bello del mondo deve solo imparare da una parte a mettersi in mostra nel modo giusto, come dimostrano gli esempi positivi di cui sopra, e dall’altra sviluppare una cultura dell’ospitalità più simile a quella che ogni italiano riserverebbe al suo migliore amico. Anche se parla di baseball mentre visita il Colosseo.