di Luca Bonora | Fotografie di Giacomo Fè
Pitigliano, Sorana e Sovano, le città del tufo (e del vino doc) del grossetano affondano le radici nella leggenda. Siamo andati a scoprirle.
Al primo sguardo, si resta affascinati da quel misto di magia e mistero che hanno in comune gli Etruschi, molta Toscana e tutti i borghi sull’Appennino costruiti sul tufo e nel tufo, roccia friabile nelle cui viscere si sono realizzate abitazioni, necropoli, cantine, ché oggigiorno è più importante conservare il vino che il passato. Al primo sguardo, si ammirano rocche, palazzi, chiese, siti archeologici. Il passato, la storia.
Poi, scavando nel passato, sotto e attraverso questa roccia nata quattro milioni e mezzo di anni fa dalla cenere di eruzioni vulcaniche, si scoprono miti, leggende, segreti. Prima della storia, oltre la storia. E la bellezza del primo sguardo si arricchisce.
Belle, Pitigliano, Sovana e Sorano, le città del tufo della Maremma grossetana, lo sono senza discussione. Non quella bellezza estetica e statica, che faceva scrivere a Oscar Wilde «le donne belle le lascio agli uomini senza fantasia», ma una bellezza vivace, spiazzante, molto misteriosa e un po’ brilla. Perché qui il vino è di casa.
A Pitigliano, dove si produce l’omonimo vino bianco doc e sventola la Bandiera arancione Tci, la storia racconta di come la famiglia nobile degli Orsini abbia dato aspetto rinascimentale all’insediamento etrusco, e di una comunità e di un ghetto ebraico tanto importanti da far chiamare il borgo “la piccola Gerusalemme”. Qui, dove da tempi remoti si brucia l’Invernacciu, la Festa delle cantine, a inizio settembre, è l’occasione per aprire le bottiglie conservate sottoterra, nel tufo. Quello stesso tufo in cui gli Etruschi scavarono le Vie cave, sentieri attraverso la roccia e fra i boschi che collegavano gli insediamenti circostanti – Sorano e Sovana – e oggi sono stati riscoperti come rete escursionistica.
Sorano è fratello maggiore di Sovana: il primo Comune, la seconda frazione. Al centro di Sorano, il Masso leopoldino (detto anche Rocca vecchia) è la sorgente da cui scende un dedalo di vicoli, archetti, scale, logge, cantine scavate nel tufo, confluendo poi nel fiume Lente. In vino veritas: sotto al settecentesco Masso si cela una calamita che attira i personaggi più sensibili convincendoli poi a prendere dimora nel paese. Per questa ragione i concittadini acquisiti sono detti “calamitati”.
La piccola Sovana vive di ricordi. Alle due estremità del pianoro su cui sorge l’abitato, le rovine dei poteri che l’hanno governata, la Rocca aldobrandesca e il Duomo dei Ss. Pietro e Paolo, sembrano controllarsi a vicenda. Ai piedi della rupe c’è il suo fiore all’occhiello, il parco archeologico della necropoli etrusca: «Tra le rocce coperte di muschio si scoprono una dopo l’altra decine di tombe. Quelle più monumentali prendono il nome da figure mitologiche dipinte nelle camere o scolpite negli architravi: si riconoscono figure di dei, sirene e tifoni», racconta con emozione Giacomo Fè, autore di questo reportage.
Le tre sorelle del tufo hanno sempre nel Grossetano un’elegante sorellastra, che al vino preferisce l’acqua e cerca frequentatori più altolocati, se non proprio principi azzurri almeno dirigenti d’azienda. Questa moderna Cenerentola è Saturnia, frazione di Manciano e località termale tra le più celebri d’Italia. Le origini del borgo sono sempre etrusche, ma il toponimo è legato al dio Saturno: stanco delle liti e delle guerre fra gli uomini scagliò un fulmine a terra in questa zona, pacificandoli (nonché terrorizzandoli) e facendo sgorgare l’acqua dal sottosuolo. Sistema drastico ma efficace, confermano in paese tra un bicchiere di morellino di Scansano e di sangiovese, che in queste terre sta vivendo una seconda giovinezza. In vino veritas.