di Viviano Domenici | Fotografie di Viviano Domenici
Anche in Sudamerica, il primo ad arrivare fu Cristoforo Colombo. Poi furono i conquistadores a scoprire la resina ideale per tingere: quella del “pau brasil”. E fu subito terra bruciata
Spesso i nomi delle cose nascondono vicende lontane e percorsi labirintici che non sempre è facile ritrovare, anche quando i segnali rivelatori ci passano accanto.
La storia è quella dell’Amazzonia e della sua foresta. Il primo indizio lo trovai – senza capire – in Mato Grosso, mentre ero nel villaggio di São Pedro, nell’area Parabubure, ospite degli indios Xavantes, gente nota per il carattere deciso che mi nominò guerriero onorario della tribù donandomi arco, frecce, piume e altri ornamenti che conservo con cura. Era una giornata di festa e gli indios si preparavano alla corrida de tora, la corsa dei tronchi, una staffetta di circa otto chilometri nella quale si sfidavano due squadre di guerrieri coi corpi dipinti di rosso e di nero. Il testimone non era però un bastoncino, ma un tronco di palma lungo oltre un metro e con diametro di circa 60 centimetri: un centinaio di chili, da scaricare sulla spalla del compagno al momento del cambio. Una sfida massacrante che tutto il villaggio festeggiò tra danze, risate e sberleffi tra le opposte tifoserie. Insomma, una festa.
In realtà c’era qualcosa d’altro dietro quella competizione, ma lo scoprii diversi anni dopo. La gara ricordava le terribili fatiche che gli indios dovevano sopportare quando, fin dal Cinquecento, portoghesi, spagnoli, francesi e altri conquistadores costringevano le tribù della costa ad abbattere certi alberi della foresta e trasportarli a spalla fino alle navi pronte a salpare per l’Europa. Un carico prezioso perché il legname imbarcato era quello della Caesalpinia echinata, che produce una resina
color rosso brace (brasa in lusitano), particolarmente adatta a tingere le stoffe di lana. Rapidamente il termine passò a indicare l’albero stesso (pau brasil), e infine anche il Paese di provenienza di quel legname: legno del Brasile, appunto.
Prima della scoperta dell’America i tintori europei utilizzavano come colorante rosso un legno di origine orientale (Caesalpinia sappan), noto come sappan, verzino, brasile o bersil, ma la presa di Costantinopoli nel 1453 da parte di Maometto II rese problematici i traffici con l’Asia e il prezzo del colorante salì alle stelle, perché il rosso è sempre stato di gran moda. Per questo la scoperta di un nuovo legno adatto allo scopo portò a un immediato e massiccio sfruttamento del pau brasil.
Il primo a individuarlo fu Cristoforo Colombo che nel 1498 ne portò in Spagna una tonnellata, ma la vera corsa all’oro rosso iniziò nel 1500, anno in cui Pedro Álvares Cabral scoprì ufficialmente il Brasile battezzandolo Vera Cruz, nome che già tre anni dopo fu cambiato in quello attuale. Ciò che subito accadde alla foresta litoranea del Sudamerica, la Mata Atlântica, è drammaticamente illustrato nel celebre Atlante Miller, realizzato pochissimi anni dopo, nel 1519. Le vignette che il cartografo dipinse sulla mappa del Brasile mostrano indios impegnati a tagliare e trasportare tronchi, mentre tutt’intorno l’ambiente appare già disboscato. L’Amazzonia appena scoperta cominciava a morire.
Quella che abbiamo raccontato è l’etimologia più probabile del nome Brasile, ma rimane un piccolo mistero. Per molti secoli i cartografi disegnarono nell’oceano Atlantico una fantomatica isola Brasil, e anche lo scrittore romano Plinio il Vecchio nel I secolo d.C. scrisse di un arcipelago oltre le Colonne d’Ercole chiamandolo Insulae Purpuraricae: una traccia di antichi viaggi fenici o cartaginesi nelle Americhe?