Gioielli di famiglia. Ventimiglia, nel giardino degli inglesi

Dal 1867, alla Mortola, quasi al confine con la Francia, si trova un orto botanico di pregio che conserva piante rare ed esotiche e vale una visita. Le specie presenti nel 1912, quando il giardino era gestito dagli Hanbury, risultavano ben seimila, di origine prevalentemente tropicale

Si stupirà il lettore di questa rubrica leggendo che l’invito ad andare questa volta a Ventimiglia non contempli la parte antica con il piccolo, ma aggraziato teatro romano del II secolo d.C., la romanica cattedrale dell’Assunta duecentesca, con bel portale gotico, e la chiesa di S. Michele, pure romanica con una cripta che reimpiega colonne romane.
La proposta di puntare su Ventimiglia deriva infatti da un altro “gioiello” di questa città, fondata dai Liguri (popolo misterioso, forse libico, spintosi fino a Brescia) e poi romana. Non un monumento storico, ma una bellezza della natura: i Giardini botanici Hanbury alla Mortola. Un luogo dal quale si coglie quale meraviglia fosse la Riviera a metà Ottocento, quando nasce “le tourisme pour les Anglais”, i veri scopritori di tante nostre bellezze. The Enchanted April, il romanzo di Elizabeth von Arnim del 1922 diventato settant’anni più tardi un delizioso film ovviamente inglese (Un incantevole aprile), pur essendo ambientato sul Levante, rimanda i colori, i profumi, le atmosfere di questi pendii che scoscendono verso il mar Ligure dalle case rossastre lassù in costa.
Certo, i Giardini Hanbury sono oggi un orto botanico ben curato dall’Università di Genova, rimasto romanticamente british: i sentieri dall’andamento irregolare, i rustici coi pergolati, le mille diverse essenze, spesso tropicali, alte sull’abbacinante vista del mare restituiscono il clima del giardino inaugurato nel 1867 dal viaggiatore inglese sir Thomas Hanbury. Tuttavia nella parte di falsopiano verso il mar Ligure è stata conservata l’originale, rigogliosa, a volte rustica vegetazione mediterranea. Le specie presenti nel 1912, quando i giardini erano gestiti ancora dalla famiglia Hanbury (e lo furono sino alla seconda guerra mondiale), risultavano ben seimila: agavi, aloe, euforbie, cactus, eucalipti, brugmansie, passiflore, agrumi, ma anche avocadi e banani, e, ovviamente, rose e peonie a volontà, oltre a tutte le possibili piante aromatiche della Liguria. A salvarli da una decadenza che pareva inarrestabile fu proprio un grande cultore di peonie, Gian Lupo Osti (a lui è intitolata nei cataloghi giapponesi la Paeonia ostii rintracciata sui monti della Cina a costo di essere preso per una spia), il quale accanto alla siderurgia coltivava la botanica. «Sono molto sensibile al fascino dei giardini abbandonati», mi disse anni fa Gian Lupo, «e però nel 1980 la Mortola era un disastro. Per fortuna lo Stato l’aveva acquistata e c’erano alcuni giardinieri dell’epoca d’oro degli Hanbury». Osti, allora consigliere del presidente dell’Italsider, se ne occupò attivamente e, a metà degli anni Ottanta, insieme ad altri, inglesi e italiani fra i quali Marella Agnelli, Giorgio Luciani di Italia Nostra, Arturo Osio del Wwf, riuscì a salvarlo. Meritandosi, nel 2000, unico italiano, la medaglia d’oro della Royal Horticultural Society. Sì, perché il Giardino Hanbury è più noto in Gran Bretagna che in Italia. Ragione di più per visitarlo appena possibile.