di Stefano Bartezzaghi
Come si accentano i nomi geografici? Vediamo alcuni casi eclatanti, dove quasi tutti noi sbagliamo la pronuncia. Pe rimanere in casa nostra prendiamo l'ìesempio del Friuli. Che il Friuli sia una terra dimenticata lo dimostra il fatto che pochi italiani sanno che si pronuncia Friùli e non Frìuli. Ma anche di Ucraina sbagliamo quasi tutti il modo di pronunciarla correttamente!
Sono passati quasi quarant'anni e quindi mi scuserete se il ricordo è approssimativo, oltretutto ero anche molto, molto giovane. Era il 1976, vi era stato il disastroso terremoto del Friuli e io fui impressionato dalla prima pagina del Giorno che riportava la notizia. Vi era una grande foto di macerie in prima pagina e sotto incominciava un editoriale (mi pare
di Gianni Baget Bozzo) che nelle prime righe diceva, più o meno: «Che il Friuli sia una terra dimenticata lo dimostra il fatto che pochi italiani sanno che si pronuncia “Friùli” e non “Frìuli”».
Quarant’anni dopo non è cambiato molto: lo si sente nominare più frequentemente come “Frìuli”, e cioè sbagliato. Parlo anche per me: dopo aver letto quell’articolo mi sono ricordato che una delle due pronunce era errata, ma non sapevo più quale. Con i toponimi è così, ma è così anche con molti altri nomi propri. Diciamo “Bènetton”
ma è veneto e andrebbe invece pronunciato “Benettòn”. Al contrario, il ministro dell’Economia PierCarlo Padoan poco dopo la sua nomina ha fatto discretamente sapere di non essere veneto e che il suo cognome
va pronunciato “Pàdoan” e non “Padoàn”.
La battaglia con me stesso su “Friuli” l’ho vinta il giorno in cui ho scoperto che la regione prende il nome dal latino Forum Iulii, Foro di Giulio, e a quel punto l’accento si è attestato sulla U senza più bisogno di pensarci.
Un altro nome che ci viene da pronunciare sdrucciolo è “Ístanbul”, di cui è attestata anche la pronuncia “Istanbùl”. Ebbene, la cosa più corretta sarebbe dire “Istànbul” ma è così rara che chi l’adotta viene visto come uno che si sbaglia.
Ma poi cosa sono queste fisime? Non basta intendersi? In effetti nella lingua contemporanea, ma poi non solo in quella, l'importante alla fine è intendersi. Conosco fior di studiosi di letteratura antica che non mi riprendono se dico “Edìpo” e “Odisséo” anziché i corretti “Édipo” e “Odìsseo”: anzi loro stessi usano la pronuncia più corrente, almeno quando non parlano tra specialisti.
Un saggio amico italiano che vive da vent’anni a Manhattan quando parla in italiano di New York dice qualcosa come “niù iork” mentre con i colleghi usa la pronuncia corrente americana (molto più strascicata) che non provo neanche a imitare con la scrittura. E chi, parlando in italiano, pronuncia il nome di “Cànterbury” con il correttissimo accento sulla A appare sicuramente lezioso.
Mentre scrivo impazza la crisi ucraina e il ping pong fra lo studio del tg e il corrispondente è serrato. Qui il più delle volte si dice “Ucràina” (sbagliando), il corrispondente invece dice “Ucraìna” (giusto). Ora, finché si tratta di sforzarsi di emettere fonemi che in italiano non esistono è umano arrivare a soluzioni di compromesso. Ma quando è solo questione di mettere l’accento qui piuttosto che là viene un po’ di impazienza. In redazione non si parlano? Non possono sfogliare un dizionario e mettersi d’accordo tutti sul fatto che si dice “Ucraìna” e “Friùli”? Quando nello stesso testo, e un telegiornale è un testo, si dice lo stesso nome in due modi diversi il problema non è la fisima linguistica, ma la dignità editoriale. Oggi non è un problema sentito, e si vede che va bene così.