Lazio: modello Ciociaria

La campagna frusinate non è solo terra di pastori e contadini ma un bacino di intelligenze, creatività e bellezza. Lo capirono Cicerone, Mastroianni, Cézanne. Andiamo alla sua scoperta

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 Sono due ragazzi ciociari che da tanto tempo vivono a Londra. Il primo, Angelo Colarossi, osserva lo sciamare di Piccadilly Circus in cima alla Shaftesbury memorial fountain: il suo corpo perfetto immortala Eros o un Angelo della carità. L’altro, Vincenzo Mancini, si trova nei giardini di Kensington, a ovest di Hyde Park, immobile e sempiterno nei panni di Peter Pan. E che dire di un altro adolescente, Michele De Rosa, che dona il suo aspetto impertinente al Ragazzo dal panciotto rosso realizzato in più versioni da Paul Cézanne (Fondazione Bührle, Zurigo; National Gallery, Washington) il quale impazzisce perché non riesce a rendere con i colori chimici quel rosso naturale di Ciociaria?  
Sono solo alcuni dei modelli che, in cerca di una vita migliore, tra la fine del Settecento e l’inizio del Novecento invadono l’Europa, soprattutto Roma, Londra e Parigi, influenzando i pittori dell’epoca con la loro bellezza mediterranea (vedi box a pag. 54).
Una schiera di meravigliose creature la cui migrazione prende il via da un angolo della campagna frusinate, la val di Comino (con Atina, Picinisco, Gallinaro), per poi coinvolgere altre località della Ciociaria di cui la zona fa parte.
Un fenomeno che ha del prodigioso. Forse perché la bellezza è scritta nel Dna del paesaggio ciociaro, fortificatosi a grano, uliveti, vigneti, tra vallate lasciate al pascolo e possenti montagne. E una terra bella partorisce di norma figli belli; o perché in questo millenario ponte tra Roma e Napoli, terra di acropoli e abbazie, alberga un genius loci che, per vendicarsi della capitale, da sempre al centro di tutto, ha seminato bellezze umane, naturali e artistiche rivelandole a sorpresa a chi ha nel sangue il piacere della conoscenza e della scoperta. Come gli intellettuali del Nordeuropa, che nel Grand Tour in Italia alla ricerca di grandi emozioni, avvertirono in questo quadratino di mondo la potenza delle popolazioni antiche le quali forgiarono il paesaggio con mura megalitiche da lasciare senza fiato. Uno fra tutti, lo scrittore inglese David Herbert Lawrence che per ultimare il romanzo La ragazza perduta si immerse nella campagna di Picinisco.

 

Anche oggi è fresco e sincero lo stupore per queste opere monumentali, per una natura in certi punti ancora intatta e per ogni singolo paese che ha sempre una storia da raccontare, un personaggio da evocare, un paesaggio da rispettare. E ci si rende conto che la Ciociaria – il cui nome deriva dagli antichi calzari dei pastori, le “ciocie” – è un bacino di intelligenze, creatività e bellezza, lontana anni luce da quell’immagine che certi film hanno descritto: una regione primitiva con ruvidi personaggi dal dialetto improbabile utilizzati anche dalla satira politica con gli spettacoli de Il bagaglino. E pensare che qui sono nati, nel IX secolo, i primi idiomi della lingua italiana, stampati nel 1465 i primi libri del Paese e plasmati nel 1501 il corsivo e la punteggiatura. Tra i borghi che, secondo il mito, furono innalzati dal dio Saturno e che stregarono i viaggiatori d’Oltralpe, c’è Atina, da cui i primi modelli partirono: una terrazza sulla valle del Melfa, che i Volsci dotarono di robuste mura di cui rimangono i resti; qui nacque il console romano Lucio Munazio Planco che, oltre a fondare Lione e Basilea, inventò per l’imperatore Ottaviano la qualifica di Augusto. Nel centro è la casa-museo dedicata all’Accadémie Vitti, una scuola di disegno fondata dai modelli Maria Caira e Cesare Vitti, suo marito, a Montparnasse, nel 1894.

Arpino è una rivelazione per l’eleganza dei palazzetti con i tetti in coppi. Proteso sulla valle del Liri, sembra un paese della costiera ligure per la limpidezza del cielo e i colori dell’arredo urbano. La sua ricercatezza è dovuta al fatto che tra il Settecento e l’Ottocento questa zona del Regno di Napoli fu un distretto d’eccellenza per la tintura delle stoffe e la concia delle pelli; in seguito gli imprenditori e gli artigiani del luogo si specializzarono nella produzione di divise dell’esercito borbonico: si viaggiava, i soldi giravano e le bellezze architettoniche ammirate altrove si realizzavano in patria.
 

Nella piazzetta, in uno spazio che non gli rende giustizia, si trova il monumento al cittadino più importante, l’oratore romano Marco Tullio Cicerone cui è dedicato il Convitto Tulliano poco distante: qui ogni anno studenti di tutto il mondo si danno appuntamento per il Certamen, gara di traduzioni dal latino. A qualche metro è il cinema Splendor, set dell’omonimo film diretto da Ettore Scola nel 1989, con Marcello Mastroianni - ciociaro doc - e Massimo Troisi.  Altri cittadini celebri: Caio Mario, il tribuno di cui gli scolari democratici sono stati innamorati; Marco Vipsanio Agrippa, costruttore del Pantheon e genero di Augusto; Giuseppe Cesari, celebre pittore detto il Cavalier d’Arpino che ebbe tra gli allievi il Caravaggio; Francesco Saverio Maria Bianchi, il Santo. Poco fuori è la frazione della Civita Vecchia cinta da possenti mura poligonali d’epoca preromana su cui sono la Torre di Cicerone e un perfetto arco “a sesto acuto” tra i più belli d’Italia. Un luogo dell’anima che infonde armonia e ispira pensieri alti. Sorpresa per le cascate del Liri che irrompono fragorose nel centro di Isola del Liri vicina a Ferentino, città degli Ernici di cui parlano la cerchia di mura megalitiche con 12 porte e l’acropoli, antichissima. Un linguaggio fatto di pietre su cui si innestano storie e stili successivi: le case medievali, il Duomo romanico, il Vescovado, le chiese di S. Maria Maggiore, primo esempio di architettura cistercense in Italia, e di S. Antonio con la pietra tombale di Papa Celestino V. Il mercato romano coperto, tra le vie e le botteghe, è così ben conservato che sembra in funzione.

 

Alatri, altro centro degli Ernici, è incarnata nelle mura ciclopiche e nell’Acropoli, fra i più emozionanti e meglio conservati siti archeologici d’Italia, che ammaliò lo storico tedesco Gregorovius: «Quando mi trovai di fronte a quella nera costruzione» scrive nel 1859 «provai un’ammirazione per la forza umana, assai maggiore di quella che mi aveva ispirata la vista del Colosseo». In realtà anche l’uomo del XXI secolo, supercivilizzato e globalizzato, si sente minuscolo di fronte all’imponente complesso e continua a chiedersi come sia stato possibile costruire con i mezzi di allora, IV secolo a. C., una cinta che si innalza fino a 14 “piani” . Lo sguardo corre sul mosaico di pietre ed ecco un fallo appena visibile sulla superficie a indicare che servono virilità, forza, orgoglio – e forse un aiutino di Dio – a realizzare un’opera simile. Poi ci sono il Duomo del Seicento in cima alla collina, la chiesa di S. Maria Maggiore con il bel rosone centrale, gli affreschi del Quattrocento nella chiesa di S. Francesco.
La Ciociaria, ambasciatrice di pace, benessere, armonia. Come la giovane che da cento anni tiene tra le mani la conca da cui sgorga l’acqua. Siamo di fronte alla Casina Valadier, a villa Borghese, Roma: è la fontana della Ciociara. Qui passa tutto il mondo che attinge a quella semplice, eterna grazia e si porta a casa, racchiuso nel cuore, un pezzo d’Italia. 

Fotografie di Luca Sola