di Viviano Domenici
Un capitolo corposo della storia dei souvenir è quello delle ampolle dei pellegrini (eulogie), prodotte in quantità davvero industriali in tutto il bacino del Mediterraneo a partire dal VI secolo.
Alzi la mano chi non ha mai ceduto alla tentazione di portarsi a casa un souvenir delle vacanze, che appena uscito dalla valigia ha fatto capire quanto il buon gusto ceda facilmente alle emozioni del momento. Quello del ricordino non è comunque un vizio tipico dei viaggiatori dei tempi nostri, anzi è vecchio di almeno due millenni, e le sue origini devono essere ben più antiche.
Gli archeologi hanno infatti ritrovato in diverse zone dell’impero romano – dall’Inghilterra alla Francia, dall’Europa centrale al Portogallo – una decina di fiaschette di vetro prodotte nell’area napoletana tra la fine del III e il IV secolo dopo Cristo, con incise tutt’intorno vedute della città di Puteoli (Pozzuoli) o di Baia, che caratterizzano questi recipienti come veri e propri souvenir. Le incisioni, tutte piuttosto simili, mostrano impianti portuali ad arcate, templi con all’interno statue colossali, archi trionfali con quadrighe, impianti termali, vasche per l’allevamento delle ostriche e anfiteatri.
A differenza delle nostre cartoline illustrate non presentano la classica scritta “Veduta di Pozzuoli” o “Veduta di Baia”, ma iscrizioni che specificano la natura degli edifici raffigurati con la precisione
di una buona guida turistica.
Tra i diversi ricordini di viaggio in vetro sopravvissuti ai secoli vi sono due bicchieri soffiati in stampi con scene di carattere sportivo. In uno si vedono coppie di gladiatori in combattimento: Spiculus in piedi di fronte a Columbus ormai a terra; Calamus e Holes che si affrontano; Prudes ormai senza più scudo in difficoltà davanti a Petraites; Procolus che ha sconfitto Cocumbus e ha in mano la palma della vittoria. Nel secondo bicchiere è raffigurata una gara di quattro quadrighe, vinta da un certo Cresces, salutato con la parola ave, “salute”, mentre per gli altri aurighi sconfitti c’è solo un beffardo va(le), “arrivederci”. Questi bicchieri del I secolo dopo Cristo, ritrovati in Francia e in Inghilterra, testimoniano l’esistenza di specifici souvenir per le diverse tifoserie che tornavano da lontane trasferte con le foto ricordo dei loro campioni.
Un capitolo corposo della storia dei souvenir è quello delle ampolle dei pellegrini (eulogie), prodotte in quantità davvero industriali in tutto il bacino del Mediterraneo a partire dal VI secolo. Molti laboratori ceramici si svilupparono accanto agli stessi santuari meta di pellegrinaggi dove era possibile acquistare recipienti simili a borracce, con stampigliati in rilievo l’immagine e il nome del santo locale. Nel corso di pochi decenni il turismo religioso divenne un fenomeno così vasto che portò alla produzione di guide per i pellegrini (Itineraria ad Loca Sancta) con notizie pratiche su strade e monumenti di città ricche di santuari come Roma
e Gerusalemme. Uno dei più frequentati fu quello dedicato a San Menas, presso Alessandria d’Egitto, dove la vendita di piccole borracce contenenti un po’ dell’olio utilizzato nelle lampade accese vicino al sepolcro raggiunse livelli da record. Tanto che ancora oggi le tipiche ampolle con l’immagine di San Menas affiancato da due cammelli sono rintracciabili in tutti i Paesi che affacciano sul Mediterraneo. Non fu
da meno il centro di produzione siriano di souvenir religiosi in vetro dedicati a San Simeone che, cacciato dal monastero per l’eccessiva austerità, estremizzò il suo rigore passando il resto della vita accovacciato in cima a una colonna, meritandosi così l’appellativo di Stilita. Una scelta esistenziale che ebbe molti imitatori e richiamò folle di pellegrini, persino dal lontano Afghanistan. Mentre i venditori di ricordini facevano affari d’oro.