Tra i grandi (vini) di Spagna

Dalle bollicine del Cava, vicino a Barcellona, ai rossi della Rioja, nel Nordest, le bottiglie più pregiate di Spagna nascono qui. Fra architetture moderniste e cantine di design

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Champagne, franciacorta e cava sono le tre aree vitivinicole che hanno sovrapposto il toponimo al prodotto, creando una identificazione totale. Dello Champagne francese sappiamo vita morte e miracoli, della Franciacorta, fiore all’occhiello della viticoltura lombarda, abbiamo scritto più volte, ma il Cava? Dov’è? Primo indizio: cava significa grotta (e per estensione cantina) in catalano. Proseguo l’indagine, e scopro che l’area è quella del Penedès, lungo la costa mediterranea della Spagna, fra Barcellona e Tarragona. Detto fatto, andiamo a scoprirla.
A essere pignoli, il Penedès non ha l’esclusiva della produzione del Cava (spumante metodo classico, come i suoi cugini francese e italiano), ma nel suo territorio se ne produce il 98 per cento del totale spagnolo. Le cantine sono 247: ogni centro abitato, per quanto minuscolo, ne ha una. Nella sola Sant Sadurní d’Anoia, con diecimila abitanti il secondo centro dopo Vilafranca del Penedès (35mila), ce ne sono 39.
Il Cava è lo spumante metodo classico più famoso della Spagna. La sua storia inizia nel 1851…

Il Cava è lo spumante metodo classico più famoso della Spagna. La sua storia inizia nel 1851 quando l’agronomo Luis Justo y Villanueva comincia a produrlo impiegando le stesse uve dello Champagne. Il boom arriva nel 1872 quando si inizia a vinificare con uve locali, con maggiore acidità e che meglio incontravano il gusto spagnolo: in breve il Cava soppianta lo Champagne a corte. I vitigni da cui si ottiene, ovviamente uve bianche, sono macabéo, perellada e xarel-lo (la doppia l in castigliano si pronuncia gl, mentre due l separate da un trattino indicano che si legge doppia elle, quindi «peregliada» e «ciarello»). L’affinamento minimo è di 9 mesi, 15 per i Reserva e 30 per i Gran Re­serva. Tutte informazioni che si possono scoprire visitando il Museo della cultura del vino di Catalogna a Vilafranca, per gli amici Vinseum: una collezione di 18mila oggetti, esposti a rotazione. In uno splendido palazzo del 1285, il Vinseum ospita anche un’enoteca, aperta dal tardo pomeriggio fino a notte. A tutti i visitatori viene offerta una copa, ovvero un calice, di Cava, perché «così la visita si degusta meglio» spiega Cecilia all’ingresso. Tra le mille curiosità del Vinseum, le teche dove ascoltare registrazioni delle canzoni popolari e degli stornelli da osteria.

Anche Sant Sadurní ha un museo dedicato al vino simbolo del territorio, piccolo ma molto interessante, il Cic, Centro d’interpretazione del Cava di Sant Sadurní. In una grande sala ospita un gigantesco insetto di cartapesta che ricorda, anche nelle dimensioni, i draghi che girano per le strade al Capodanno cinese: si chiama fillossera ed è la protagonista della festa più importante dell’anno, qui a Sant Sadurní. Ma che cos’è la Festa della fillossera, e perché è dedicata all’insetto che nel XIX secolo ha quasi completamente distrutto la produzione vinicola europea?

 

Originaria del Nordamerica e sbarcata in Europa nel 1863, la fillossera della vite (Daktulosphaira vitifoliae) provoca in breve tempo la morte della pianta. I primi focolai d’infestazione sono stati in Francia, poi la fillossera si è estesa a macchia d’olio. In Spagna arriva relativamente più tardi, nel 1877 (e in Italia nel 1879). Risparmia soltanto i vigneti impiantati in alta montagna, su terreni sabbiosi e alcune varietà americane che avevano sviluppato la capacità di resisterle. Ed è stato proprio grazie all’innesto della vite europea su quella americana che nel Vecchio Continente si è scongiurata la quasi totale scomparsa del vino.
Quando la fillossera distrusse i vitigni francesi, oltre i Pirenei, in Spagna, si piantarono uve dappertutto e per oltre vent’anni si produsse vino per il mercato francese, prima che il parassita colpisse anche questa zona. Poi, quando la fillossera arriva anche in Spagna, il mondo del vino sa come combatterla e i viticoltori spagnoli ne escono (quasi) indenni. Per questo a Sant Sadurní ogni anno, a settembre, si celebra la Festa de la fil-loxera: un nuovo inizio per la viticoltura spagnola o (più perfidamente) la celebrazione della rivalsa sui francesi e i loro vini.

Anche i primi grandi capitali in Catalogna, quelli che permisero la rivoluzione industriale prima e la rinascita architettonica di Barcellona poi, arrivarono grazie all’esplosione del Cava. Questo legame è talmente forte che alcune cantine del Penedès portano la firma dei più grandi architetti modernisti. È il caso della piccola Cava ludens di Font-rubí, ospitata in una finca (una fattoria) del 1570 ristrutturata da Josep Puig i Cadafalch, colui che a Barcellona realizzò casa Amatller. Ma soprattutto è il caso della cantina Codorníu, uno dei giganti del Cava (in tutti i sensi, per dimensioni e per produzione: 60 milioni di bottiglie e 900 dipendenti): la hall della cantina, da dove partono le visite guidate, è una maestosa cattedrale modernista realizzata ex novo sempre da Puig i Cadafalch.
Doveroso quindi inserire in un itinerario di visita Codorníu, una città del vino la cui immensa produzione si divide in 42 milioni di bottiglie di Cava e 18 di vino (gli altri giganti del Cava sono Torres e Fregenet). Metà vanno all’estero, pochissime verso l’Italia, dove il Franciacorta è un competitor qualitativamente superiore. Dalla sua il Cava ha il prezzo: una bottiglia media costa 7 euro; una di quelle top, il Codorníu Gran Reserva, appena 42 euro. La visita guidata alla cantina ci fa sentire lillipuziani, prima davanti ai torchi e alle botti gigantesche custodite nell’ex magazzino, oggi spazio espositivo, poi nei corridoi sotterranei dove invecchiano le pupitres, da girare in trenino e dove alcuni corridoi sono lunghi chilometri. Impressionante.

Sant Sadurní è famosa anche perché vi ha sede dal 1840, cioè dalle origini, la più aristocratica fabbrica di cioccolato della penisola iberica: la Simon Coll. Appartiene alla famiglia da sei generazioni e nel 1972 ha acquisito anche Amatller, marca di cioccolato celebre per le confezioni art déco e moderniste. Organizza visite guidate per scuole e turisti, in cui racconta la storia dell’azienda e le varie fasi della lavorazione del cacao.

 

Dopo le bollicine, puntiamo i riflettori sul vino rosso o, come si chiama qui, vino tinto. E c’è un’area che col vino si identifica completamente: basti dire che si chiama La Rioja e il fiume che la attraversa si chiama Ebro. La Rioja è una provincia nel Nordest, fra i Paesi Baschi e Saragozza. Ha 300mila abitanti, metà dei quali nel suo capoluogo, Logroño, molti paesi con meno di 200 abitanti, un reddito pro capite fra i più alti di Spagna e una della maggiori concentrazioni di cantine del mondo. Qui è il design contemporaneo a lasciare il segno: sono diverse infatti le cantine che portano la firma di archistar.
Ad Haro, capoluogo de La Rioja Alta, la cantina López de Heredia, una delle più antiche della provincia, nel 2006, per i 125 anni dalla fondazione, si è regalata una sala di degustazione disegnata da Zaha Hadid. L’architetto israeliano ha ideato così il gigantesco decanter che avete visto nella foto in apertura del servizio. Porta invece la firma di Frank Gehry la Ciudad del vino Marqués de Riscal nella vicina Elciego, tra La Rioja e i Paesi Baschi. Un complesso architettonico che comprende un hotel di lusso, una spa attrezzata anche per la vinoterapia (si capisce), ristorante, cantina, sala di degustazione. Gehry ha realizzato la copertura del complesso in stile Guggenheim di Bilbao, utilizzando lamiere di titanio incurvate e dipinte con i colori dei de Riscal: oro come lo stemma della famiglia, rosso come il vino e argento come i tappi a vite delle bottiglie. E ancora, a Laguardia ci sono le cantine Ysios, dello spagnolo Santiago Calatrava.
A Briones, invece, la bodega (cantina) Dinastía Vivanco, talmente celebre da avere dato il nome a una popolare serie tv spagnola, ospita il Museo del vino più grande e ricco d’Europa per reperti legati alla storia, realizzazione e cultura del vino, con calici d'oro, statue, mosaici e dipinti di (tra gli altri) Picasso, Sorolla, de Ribera, Mantegna, tutti rigorosamente a tema. Non manca una collezione di sacacorchos (cavatappi) di ogni epoca, forma e nazione, realizzati nei materiali più disparati, metallo, ceramica, corno: in tutto, oltre 3.500 esemplari. Qui lascia a bocca aperta la sala delle botti, un enorme salone dodecagonale con centinaia di colonne a reggere una volta altissima (eppure siamo sottoterra) e a vegliare su migliaia di botti.

Le uve riojane sono cinque: tempranillo (la più diffusa), grenacha, matuelo, además e graziano, la più pregiata. Si vinifica in purezza, con uve al 100 per cento di un solo vitigno, con poche eccezioni. La Rioja è una do, denominazione di origine, ovvero la nostra doc. Parliamo comunque di vino biologico, che qui non è eccezione ma norma.
Il Gómez Cruzado Reserva 2007, un tempranillo, è stato premiato come miglior vino della Rioja nel 2013. Ha profumi nitidi di frutti rossi, fragola, amarena e mora, e un’alta acidità in bocca. Caratteristica, questa, comune a tutti i vini riojani, meno corposi e molto meno tannici dei nostri, e più simili per gusto ai francesi, di cui sono discepoli (non dichiarati). Sono vini vivi, che ancora non hanno una piena maturazione, direbbe un enologo italiano; vini “verdi” come questa terra.

Anche il livello della ristorazione è alto, nella Rioja. Ventura Martínez è lo chef del Calle Nino, locale nato nel 1975 a Madrid e trasferitosi di recente a Calahorra, nella Rioja bassa. Geniale è il suo scampo in tempura con crema di caffè, impegnativo ma apprezzatissimo dagli intenditori il brodo di foie gras. Funghi, trufas (tartufi) e carciofi dominano un menu che ha una forte impronta vegetariana. Del resto la minestra di verdure, che qui ha come base fave, piselli e carciofi, è uno dei piatti tradizionali. Da provare, anche per il panorama sui vigneti e per la ricercatezza dei piatti, il ristorante Tierra, ospitato nella Finca de los Arandinos, bodega e boutique hotel alle porte di Entreña. Per la creatività in cucina, ma anche per gli arredi del locale, abbiamo particolarmente apprezzato il ristorante Casa Toni di San Vicente de la Sonsierra, uno dei paesi più suggestivi della Rioja, in posizione dominante sull’Ebro. Il fiore all’occhiello della regione è però il Venta Molcalvillo, una stella Michelin nel minuscolo paese di Daroca de Rioja. Lo chef è Ignacio Echapresto, autodidatta di talento devoto ai prodotti di stagione; nel suo menu anche le interiora e i tre must che non mancano nei ristoranti di alto livello spagnoli: foie gras, tartufi e ostriche. La cantina? È ben fornita anche di francesi, toscani e piemontesi.

Fra un giro in bodegas e un pranzo al ristorante abbiamo parecchio tempo da dedicare alla scoperta del territorio, sorprendente per ricchezza e varietà. Su un altopiano roccioso a strapiombo sulla pianura sorge il castillo de Clavijo, di origine araba, il più famoso della Ruta por los castillos. Dentro i centri abitati ma altrettanto scenografici sono il castillo de Sajazarra, dalla doppia cinta muraria, e quello di Cuzcurrita, entrambi quattrocenteschi. Da vedere a Briones la parrocchia di Nuestra Señora de la Asunción, splendido esempio di barocco spagnolo. A San Millán de la Cogolla si trovano due monasteri profondamente diversi ma dai nomi simili, Yuso e Suso, tutelati dall’Unesco. Isolato fra i boschi poco sopra l’abitato, Suso è originario del VI secolo, un luogo raccolto e di preghiera immerso nella natura. Yuso è invece un grande complesso nel paese, in stile romanico e risalente al secolo XI, con una chiesa gotica realizzata nel 1504. Entrambi sono visitabili e costituiscono un’importante deviazione lungo il Cammino di Santiago, che lambisce la Rioja Alta passando anche per Logroño. Il capoluogo è una cittadina piacevolissima, con una bella cattedrale, un vivace centro storico e il culto dei pinchos, come si chiamano qui le tapas. Un’associazione, La Laurel, prende il nome della principale via pedonale del centro, riunisce una cinquantina di tapas-bar e pubblica una guida tascabile che segnala per ognuno il pincho tipico, in stile Buon Ricordo. Ovviamente da accompagnare con una copa de vino o una cerveza, una birra. E così siamo tornati a parlare di cibo e di vino. Ma davvero pensavate che in Spagna bevessero solo sangria?

Fotografie di Massimiliano Rella