di Tino Mantarro | Fotografie di Clara Vannucci
È l’ora di parlare della città andando oltre il passato: grazei al Museo Novecento, l'opera di Firenze che ospita l'orchestra del maggio, le ex carceri delle Murate e la biblioteca della Oblate il capoluogo toscano sta cambiando volto. Segnali forti di un possibile nuovo rinascimento
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«Il passato non è morto. a dire il vero non è neanche passato». Nello scrivere queste parole William Faulkner non pensava certo a Firenze, ma avrebbe potuto. Perché ogni fiorentino sente di appartenere a un’idea ben radicata di civilizzazione e gusto. Passeggiando in centro si respira chiara a ogni passo la consapevolezza di appartenere ancora a un’epoca d’oro. «Noi abbiamo costruito Palazzo Vecchio, voialtri cosa avete fatto?» Già, cosa abbiamo fatto? È innegabile: Firenze in altri tempi ha immaginato e fatto immaginare un’idea di città divenuta modello planetario. Un’idea così trascendente da andare oltre la città storica e diventare archetipo, mito con il quale ogni generazione di fiorentini è costretta suo malgrado a confrontarsi. Mito che il marketing turistico planetario ha fatto suo, trasformando una parte della città in una scenografia gloriosa da fruire tutto compreso in tre giorni, due notti. Per cogliere in 72 ore le suggestioni che Henry James, George Eliot e tutti gli altri avevano maturato in anni e anni di appassionate frequentazioni.
«Il turismo mordi e fuggi è il male delle città d’arte e il loro peggior nemico: costa, sporca e non serve neanche a chi lo pratica» sostiene il sindaco Dario Nardella. «Fa aumentare i costi di pulizia, decoro, sicurezza e servizi con un ritorno economico decisamente inferiore, non vi è ricaduta per le strutture alberghiere ma soprattutto non c’è consumo di un’offerta culturale di qualità» aggiunge. Un’offerta culturale che faccia cambiare la prospettiva con cui ci si approccia alla città: ecco la strada per immaginare un’altra Firenze, una città contemporanea.
La scommessa allora sarebbe non citare mai in questo articolo Brunelleschi e Dante, il rinascimento e i Medici, la perfezione del David e la bellezza della Primavera. Perché esiste tutto un altro mondo: un’altra idea di città che si muove quasi nel silenzio e non si annida per forza nel centro storico. «Fino a qualche anno fa per andare a vedere quel che succedeva in Italia si doveva andare per forza a Bologna, 80 chilometri e un altro universo» racconta Vanni Santoni, scrittore toscano (di Montevarchi) che a Firenze ha dedicato un bel libro dal titolo emblematico Se fossi fuoco, arderei Firenze. Oggi le cose sono in parte cambiate. «Non è vero che a Firenze non accade mai niente: l’aria è diversa. Sono di Arezzo, ho studiato qui e ho sempre pensato che fosse una città noiosa. Ora invece le cose accadono, non so perché però accadono» racconta Giulia Matera, artigiana d’Oltrarno. Con altri ha messo in piedi Arnold «come molti turisti americani chiamano questa parte della città: dici Oltrarno, capiscono Arnold». Non sono una vera associazione, ma artigiani che si sono uniti per far conoscere il loro distretto creativo. «Le cose ci sono, forse devi andartele a cercare, uscire dal circuito classico» spiega. A credere che a Firenze le cose non siano poi tanto male sono anche Ilaria Marchi e Marco Provinciali, anime di Ful. Acronimo che sta per Firenze urban lifestyle: bimestrale gratuito che racconta quel che di nuovo c’è in città. «Il fiorentino dice sempre che qui non accade nulla, che tutto è già successo. Invece la nostra idea è dire a tutti i nostri concittadini: guarda, c’è qualcosa di nuovo, non serve andare a Londra, a Berlino o a New York. La modernità è arrivata anche qui» spiega Ilaria
Qualcosa si muove. anche se a dirla tutta i cambiamenti in città sono arrivati più dall’alto che dal basso. «Firenze non può più, se mai lo è stata, essere considerata uno scrigno del passato, certamente bellissimo e prezioso, ma del passato» sottolinea il sindaco. «Pensarla in questo modo equivarrebbe non solo a mortificare la sua immagine ma anche quella dei fiorentini. Interesse dell’amministrazione è tentare un connubio vincente tra la faccia più turistica e tradizionale della città e il nuovo volto della Firenze contemporanea» prosegue Nardella. Così in questi ultimi anni hanno visto la luce alcuni progetti che potrebbero ridefinire volto e ruolo della città. La prima linea della tramvia (di quattro previste) unisce la stazione di S. Maria Novella a Scandicci, avvicinando centro e periferia; la pedonalizzazione di piazza Duomo dona nuova vita a una spazio simbolico (e non solo) fondamentale della città. Mentre a Novoli il Tribunale – che non a tutti piace – e il polo delle Scienze sociali dell’Università estendono i confini del centro. Così come estendono l’offerta culturale sia il grandioso Teatro dell’Opera, nuova casa del Maggio fiorentino, sia il raccolto Museo Novecento, finito in pochi mesi dopo decenni di gestazione. E in futuro potrebbero arrivare un nuovo stadio e un nuovo aeroporto. Progetti che contribuiscono ad alleggerire Firenze da quell’aria da bellissimo negozio di antiquariato assai esteso. Atmosfera che finisce per farla assomigliare a un salotto di vecchie zie dove si va per le feste, ma poi si scappa via.
In questi anni alcuni interventi realizzati in pieno centro hanno modificato l'idea di come si possa vivere la città. All’antico carcere delle Murate, tra piazza S. Croce e il mercato di S. Ambrogio, hanno aperto due bar, una libreria e spazi espositivi per il contemporaneo. Ma una parte delle ex celle è stata trasformata in case popolari, con le signore che vociano dal balcone stendendo i panni e i bambini che giocano a nascondino nel cortile dove una volta si faceva l’ora d’aria. E poi ci sono le Oblate, a due passi (due di numero) dal Duomo. Una biblioteca ricavata in un vecchio convento che è quanto di più lontano dall’idea di un luogo polveroso e ingessato. È uno spazio aperto, con soffitti altissimi, un bar sul tetto, grandi chiostri dove gente di ogni dove legge, riposa, sorseggia un caffè e si gode una bella vista posteriore del cuore della città. L’unica cosa antica rimasta alle Oblate sono i gradini, scolpiti da secoli di passi. «Se vuoi fare qualcosa di veramente contemporaneo devi lavorare per rendere il centro uno spazio vivo e vegeto. Noi cerchiamo di farlo» spiega Giacomo Salizzoni, che porta avanti il progetto Orti Dipinti: ovvero la creazione di un orto sociale a scopo didattico nel giardino di Borgo Pinti 76, sul pavimento di una vecchia pista d’atletica. Costruito alla fine del XIX secolo, il secondo piano del mercato centrale di S. Lorenzo è stato rinnovato e riaperto nei mesi scorsi. Ma qui il risultato è ambivalente: tutto molto bello e ben fatto, ottimo per occhi e palato, ma forse non troppo genuino. Per quello, per trovare un locandiere senza maglietta griffata che non sorrida perché ha l’obbligo ma perché gli va a genio di farlo, allora meglio andare al mercato di S. Spirito. «A S. Lorenzo noi non si va a far la spesa, a S. Spirito sì: trovi prodotti con un packaging meno accattivante, ma un prezzo più equo» dice Fiammetta, che gestisce la centrale Libreria dei lettori. E lì sei ancora in centro, appena oltre le colonne d’Ercole dove il turista mordi e fuggi difficilmente si spinge.
Ma non sono solo i turisti a doversi confrontare con un’idea spaziale diversa: tanti fiorentini considerano ancora lontana qualunque cosa non sia chiusa dentro le mura. «Eh l’è un po’ lontanuccio» così ti dicono se chiedi indicazioni per il nuovo Teatro dell’Opera di Firenze che si trova giusto accanto alla recuperata stazione Leopolda, a una fermata di tramvia dalla stazione. Pare che i loggionisti più fedeli all’inizio si lamentassero che il teatro fosse più lontano del vecchio Teatro comunale di corso Italia. Oggi sono stati completamente conquistati dal nuovo teatro, uno spazio che può giocare un ruolo importante nel cambiamento della città: «Vero: anche grazie all’intera struttura che comprende la cavea e gli spazi esterni: da lassù si vede la cupola del Brunelleschi, un silenzioso e unico monito a creare “il nuovo” pensando alla qualità architettonica. Firenze è piccola e non la immagino con uno skyline di grattacieli, ma con punte di modernità nell’offerta culturale dove antico e contemporaneo si fondono. Un esempio? Il Museo Novecento» sostiene Francesco Bianchi, sovrintendente della Fondazione Maggio fiorentino. «Abbiamo cercato di dare alla città uno spazio che raccontasse come Firenze sia stata nel secolo scorso un centro importante per l’arte contemporanea, creando un luogo di autorappresentazione che storicizzi un’esperienza e fornisca a tutti la consapevolezza che anche qui si faceva arte di valore» spiega Valentina Gensini, energica curatrice dell’esposizione che ha nella multimedialità un punto di forza.
Certo, c’è anche chi dice, ma non si fanno nomi, che la città è piccola e la gente mormora, che l’arte contemporanea ha bisogno di quella classica per mettersi in vetrina. «Perché senza il contesto, senza aver di fronte S. Maria Novella disegnata da Leon Battista Alberti e il loggiato del Brunelleschi, in pochi andrebbero al Museo del Novecento: è difficile pensare che un giapponese faccia diecimila chilometri per venire a vedere qualcosa di contemporaneo». Ma questa è Firenze. «Qui la gente è contro tutto: contro la pedonalizzazione del Duomo, contro la tramvia, contro i turisti. C’è questa logica tragica di non toccare nulla. Ogni cambiamento è una battaglia. Si guarda sempre con sguardo nostalgico al passato. Sono sicuro: in pieno Trecento ci saranno stati quelli che dicevano: “ah, ma nel Duecento l’era meglio”» commenta Santoni.
È allora una dialettica tra innovazione e conservazione quella in gioco a Firenze. Una battaglia incruenta tra chi vuole cambiare senza stravolgere e chi vuole lasciare tutto com’era, con il rischio concreto – soprattutto dopo che dal centro sono state spostate alcune facoltà e Palazzo di Giustizia – che a vincere sia la musealizzazione a uso turistico. Ma un passo andava fatto. «È molto difficile perché la città è connaturata all’idea di bellezza rinascimentale, compenetrata da essa. E quindi il passo verso la contemporaneità richiede un cambiamento culturale delle persone. E, come sempre, i cambiamenti culturali necessitano molto tempo e grandi sforzi» sottolinea il sovrintendente Bianchi. Ma non bisogna per forza vedere tutto bianco o nero: neanche fosse una battaglia tra contemporaneità e rinascimento. C’è una via di mezzo. La contessa Simonetta Brandolini d’Adda, che a dispetto del titolo nobiliare è un’americana trapiantata nel capoluogo da trent’anni, presidente di Friends of Florence, organizzazione benefica americana che si occupa di finanziare restauri del patrimonio artistico, ha le idee chiare. «Firenze è patrimonio del mondo, non solo italiano. Vogliamo dare un contributo per preservarlo ma anche valorizzarlo con tecniche nuove» spiega. «Abbiamo finanziato un’introduzione multimediale al museo Horne, una collezione messa insieme da chi a fine Ottocento si è battuto per preservare la città che veniva sventrata per far spazio al nuovo. Noi ci ispiriamo alla sua idea: trasformare senza distruggere, conservare valorizzando in chiave moderna».
Conservare la tradizione innovandola sembra essere allora l’unica possibile via alla contemporaneità. Toshifumi Mitsubiki, detto Toshi, giapponese di Osaka che si è trasferito qui dal 1991: «Sono venuto perché ero appassionato della cucina italiana» racconta mentre taglia tonno per il sashimi. A Borgo Pinti ha aperto una trattoria toscana molto frequentata dai connazionali. Poi ha inaugurato un piccolo locale, Iyo Iyo, in cui serve lampredotto don, mischiando tradizione fiorentina e cucina giapponese. «L’idea mi è venuta parlando con i vecchi di Oltrarno: una volta si serviva una minestra di riso, bietole e lampredotto. E allora ho pensato che potevo farlo su un letto di riso, aggiungendo salsa di soia, ginger e la tamagoyaki, una frittata giapponese». Tutto molto, molto contemporaneo. Il passato non è morto e il futuro neanche.