di Clelia Arduini | Fotografie di Michele Palazzi - Contrasto
A pochi chilometri dalla capitale, verso il mare, nel sito archeologico di quello che fu il più grande porto dell’impero romano. A lungo abbandonato e poi rinato nel 1884, divenne meta prediletta di Federico Fellini e del suo cast. Oggi si rilancia, accogliendo sempre più visitatori, anche con l’aiuto del Tci
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Erano seicento, erano giovani e forti, arrivarono dal Ravennate nel novembre di 130 anni fa per bonificare la costa romana, ma non sono morti. I loro discendenti li fanno rivivere ogni giorno a Ostia Antica parlando in dialetto romagnolo, mangiando cappelletti e percorrendo strade a loro dedicate specie nel borgo chiamato La Rocca, ma anche la Trastevere ostiense, lo stesso che li ospitò tanto tempo fa.
Un curioso intreccio della Storia, che spesso trama orditi e percorsi impensabili. Proprio come il Tevere che oggi sfocia più a nord e un tempo trovava qui il suo sbocco nel Tirreno. Ostia infatti vuol dire foce, acque di fiume che abbracciano quelle del mare e hanno decretato per millenni le sorti del territorio a sudovest di Roma, plasmandolo a piacimento e trascinando terriccio e intrecci di grandezze e miserie, trasformate oggi in limo culturale del luogo.
Fanno da ouverture le vestigia dell’antico porto romano, più estese del sito di Pompei con 85 ettari tutti visitabili, 300mila visitatori l’anno, con un aumento del 10 per cento nei primi sei mesi del 2014 e del 25 in luglio e agosto, e tutti i crismi per entrare tra i luoghi tutelati dall’Unesco; seguono le suggestioni della Rocca di origine altomedievale. Un sorprendente museo a cielo aperto che dovrebbe diventare più facilmente raggiungibile grazie ad Archeobus, una nuova linea che dall’aeroporto di Fiumicino conduce alla scoperta delle bellezze archeologiche del litorale romano: prevista già per l’estate 2014, al momento in cui scriviamo non è ancora stata attivata.
Come le grandi storie iniziano dalle cose semplici, tutto comincia da un castrum posto dai Romani a controllo di questo tratto di costa laziale, che comincia a espandersi. «In età imperiale», spiega l’archeologo Angelo Pellegrino, che per trent’anni ha vissuto in simbiosi con il sito, «Ostia risulta il più grande porto del mondo antico da cui arrivano i beni essenziali per la vita di Roma, città “parassita”. Quando viene costruito da Claudio e poi da Traiano Portus, vero e proprio porto in mare (nell’odierno Comune di Fiumicino), Ostia si trasforma in un centro amministrativo e direzionale dei commerci, divenendo una grande infrastruttura con circa 50mila abitanti, paragonabile per importanza a Rotterdam o a New York». Seguono secoli di splendore, poi la decadenza: la fine dell’impero romano, il tratto ostiense del Tevere non più navigabile, le scorrerie dei pirati e dei Saraceni sanciscono la morte di Ostia.
«Il calendario del tempo segna la fine del IX secolo d.C.», racconta Piero Labbadia, storico del luogo, «quando gli ultimi abitanti di quel che rimane dell’antica città romana diventano i primi abitanti di Gregoriopoli, voluta da Gregorio IV per difendere la costa dagli attacchi degli infedeli e costruita a tempo di record alle spalle di Ostia, che diventa per l’occasione una cava di materiale da sfruttare. Da queste costole di pietra prenderanno vita secoli dopo la Rocca e il castello voluto da Giuliano della Rovere, futuro Giulio II, il Papa guerriero».
Nel borgo la storia si sovrappone a se stessa. Oltre la porta sormontata da un ponteggio “dimenticato” dopo un restauro che non è stato mai completato, è un tripudio di archi, scalette, scuri e tre file di case a doppia schiera. In piazza della Rocca la mole del castello e la chiesa di S. Aurea ti prendono il cuore, ma è un incanto che dura poco: il maniero è aperto solo una volta e mezzo a settimana – il giovedì e la domenica mattina – e accoglie un numero contingentato di persone.
Gerani, bouganville, lavanda e rosmarino profumano l’abitato che sembra una comune del terzo millennio, dove condividono la bellezza di vivere nel passato appena 50 persone. Fra questi, i figli e i nipoti dei già citati ravennati: uno squadrone di 550 uomini dalle mani come badili e 50 donne dalle spalle robuste, che arrivarono a Ostia nel 1884 dopo aver vinto l’appalto per la bonifica del litorale romano, territorio paludoso infestato dalla malaria e dai briganti.
In sette anni il paesaggio cambia aspetto: lagune, dune e macchia mediterranea sono inghiottite da filari alberati, colture, strade e canali che permettono il deflusso delle acque. Una delle romagnole, mamma Nerina, trasforma un casale di caccia in un’accogliente cucina con il fuoco sempre acceso, che, dopo 26 lustri, continua a sfornare i cappelletti secondo la sua ricetta originale. In questo ristorante, Il monumento, Federico Fellini si rifugia spesso durante le riprese di Amarcord (1973), girato in parte in questa zona. Il regista romagnolo mangia il suo piatto preferito, parla in dialetto con Nerina, si sente a casa. Sicuramente anche questa donna, nel suo piccolo, ha contribuito al premio Oscar come miglior film straniero che la pellicola si aggiudica nel 1975. Le grandi storie iniziano dalle piccole cose.
Il ciak si gira, del resto, è una prerogativa del litorale romano e del borgo dove sono state girate decine di film, l’ultimo nel 2013, Un cuore matto, con Luigi Proietti. Anche lui si reca al ristorante e ordina i cappelletti perché ormai è un rito e porta bene.
A qualche centinaio di metri, in via dei Romagnoli 717, è l’ingresso del sito archeologico, il principio di tutto, dove un’anziana coppia d’inglesi sta per salire su una delle due golf car guidate dal personale della Soprintendenza speciale ai beni archeologici di Roma. Il servizio, inaugurato quest’estate – che nasce dal progetto Ostia Antica città senza età cui collabora anche il Tci, coerentemente con la sua visione di sviluppo sostenibile del turismo culturale – consente ai turisti con mobilità ridotta di poter visitare le propaggini più distanti dall’ingresso.
Marito e moglie sono imbarcati sul veicolo elettrico che si allontana sotto un tetto di pini marittimi, tra case, botteghe, monumenti, affreschi, mosaici dove affiora timida qua e là la memoria dei marmi colorati del rosso dell’Attica, giallo della Numidia, verde della Tessaglia. Un’emozione che potrebbe aumentare con la creazione di un unico parco archeologico tra Fiumicino e Ostia Antica: il sogno di addetti al lavoro, cittadini e associazioni. «Qualche anno fa», racconta ancora Angelo Pellegrino con orgoglio, «un cardinale sudamericano in attesa di essere ricevuto dal Papa viene a visitare il sito e rimane talmente colpito che quando è l’ora di andar via mi dice: “Il Pontefice può aspettare” chiedendomi di continuare il giro. Anche Marcello Mastroianni, Kim Novak, Sofia Loren sono rimasti stregati, mentre qualche decennio fa la moglie di uno dei personaggi all’epoca più importanti del mondo (non dice il nome, forse il presidente degli Stati Uniti?) durante la visita si nasconde dietro una domus e ne esce trionfante vestita da antica Romana.»
La luce del tramonto scivola sul basolato e infiamma le case giardino, i dipinti murali, il teatro, la necropoli, le terme. A quattro chilometri il Tirreno luccica con il quartiere marino, “il Lido di Roma”, realizzato dal regime fascista che lo collega alla ferrovia e alla via del Mare, una delle prime superstrade d’Italia. Da questa Ostia gli antichi Romani, i Saraceni, i ravennati sembrano lontani, eppure sono parte della stessa Storia.